Opinioni & Commenti

Roma e Mosca insieme per salvare le oasi cristiane del Medio Oriente

L’8 febbraio scorso, parlando a Santa Marta, il Papa ha preso nettamente le distanze da chi ha cercato di alimentare e sfruttare il fenomeno ambiguo e alla fine devastante delle cosiddette «primavere arabe». «Si poteva immaginare prima quello che poteva succedere», ha detto Francesco, «dove prima c’era un Gheddafi ora ce ne sono cinquanta». In Medio Oriente, a cominciare dalla Siria, il Papa non vuole la vittoria di nessuno, ma solo la pace subito e per tutti. Questo giudizio sulle primavere arabe trova oggettivamente una coincidenza con l’atteggiamento assunto sul fenomeno fin dall’inizio dalla Russia di Putin sostenuta in questo dalla Chiesa ortodossa e messo alla prova dall’alleanza di fatto per cui nell’estate di tre anni fa il Vaticano e il Cremlino evitarono un coinvolgimento generale nel conflitto siriano che prendeva a pretesto il presunto uso dei gas fatto Assad. Bisogna anche aggiungere che, nel momento in cui il riavvicinamento fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa è avvenuto soprattutto per quello che si chiama l’«ecumenismo di sangue», cioè per la persecuzione che riaffratella cattolici ed ortodossi divisi, e, nel momento in cui il mondo occidentale ha mostrato una sostanziale indifferenza alla sorte dei cristiani nel mondo, Putin, in questo ancora con il sostegno granitico della Chiesa ortodossa, ha ripreso, seppure nella forma discutibile e sbrigativa dell’intervento militare, la tradizione ottocentesca degli Zar della Santa Russia tesa a proteggere i cristiani all’interno del mondo musulmano.

Meno distante dal resto del mondo occidentale rispetto alla Russia è stato papa Francesco anche sulla questione dell’Ucraina dove pure la guerra fra ucraini e russi sembrava avere tutti gli ingredienti per diventare anche una guerra di religione fra cattolici e ortodossi e dove la Chiesa  greco cattolica locale ha partecipato spesso con i propri rappresentanti alle manifestazioni di ostilità contro la minoranza filorussa identificata con gli ortodossi del patriarcato di Mosca. Nella udienza generale concessa agli ucraini il 3 febbraio dell’anno scorso il Papa è sfuggito alle pressioni dei cattolici locali che tendevano ad arruolarlo in una sorta di neocrociata fra cattolici e ortodossi e di neoguerra fredda fra Ovest ed Est. In quella occasione il Papa e si è presentato come rappresentante di tutti i cristiani ucraini più che dei cattolici. «Voi avete lo stesso battesimo – ha ricordato loro –  state lottando fra cristiani, pensate  a questo, a questo scandalo». E ha aggiunto, applicando anche all’Ucraina come alla Siria il principio della pace innanzitutto: «Quando io sento le parole “vittoria” e “sconfitta”, sento un grande dolore, l’unica parola giusta è “pace”».

Sono questi atteggiamenti che hanno riavvicinato il papa di Roma al metropolita Kirill prima ancora dell’incontro di Cuba. Già appena eletto papa Francesco si presentò come «vescovo di Roma» cercando forse non a caso di evitare quella parola «papa» che da secoli si mette di traverso alla riconciliazione fra le due grandi Chiese cristiane. La grave questione delle Chiese «uniate», sorte dal distacco di una parte delle Chiese ortodosse rientrate in comunione con Roma, viste come scherno dagli ortodossi perché usano il loro rito senza condividere gli stessi dogmi e ormai considerate anche oltre Tevere un’offesa alla carità ecumenica perché basate su una separazione nella separazione, finora è stata la ragione che ha impedito ogni incontro fra qualsiasi papa di Roma e qualsiasi patriarca di Mosca. Anche su questo tema complicato e cruciale papa Francesco ha avviato un percorso di riflessione. Il 30 novembre dell’anno scorso nell’aereo di ritorno da Istanbul dopo avere incontrato il patriarca Bartolomeo il Papa ammise: «L’Uniatismo è una parola di un’altra epoca. Oggi non si può più parlare così. Bisogna trovare un’altra strada».

Ora, come appare dal comunicato finale di Cuba, il dialogo fra Roma e Mosca si fonda soprattutto sulla necessità di salvare le ultime oasi cristiane nel Medio Oriente. Emergenza questa sentita forse più che altrove proprio a Mosca, se non altro perché la cancellazione delle comunità cristiane orientali appare alla Chiesa russa come una mutilazione del suo corpo visto che la Chiesa di Sant’Andrea come «terza Roma» si è sempre considerata erede di quella Chiesa di Bisanzio che a suo tempo raccoglieva i cristiani dell’Africa e dell’Asia e si è sempre sentita loro patrona anche quando i cristiani erano oppressi e discriminati dentro l’impero ottomano.

Né può meravigliare che un papa Francesco in Italia descritto a torto o a ragione come abbastanza discreto sul tema scottante delle unioni civili firmi poi a Cuba un documento comune con il patriarca Kirill in cui ci si rammarica «che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello» della famiglia, «mentre il concetto di paternità e maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica». In realtà, anche se in genere di questo argomento si parla poco, fra le diffidenze della Chiesa ortodossa russa nei confronti della Chiesa di Roma c’è anche il timore di un cedimento che una Chiesa profondamente collocata nel mondo occidentale finisca per cedere su quelli che una volta si chiamavano i valori non negoziabili. Il comunicato di Cuba ribadisce anche su questi temi la solidarietà della Chiesa di Roma verso una Chiesa che è popolare in tutti i significati del termine compresa la pratica dei riti, la devozione ai segni e la fedeltà alla tradizione sociale. Ma d’altra parte, proprio per questa identità delle Chiese orientali, anche l’ecumenismo cattolico che ormai ha quasi un secolo, mostra nuove attenzioni oltre che nuovi atteggiamenti.

Se in un primo tempo la riflessione ecumenica era rivolta prevalentemente verso il mondo protestante anche per la presunta scomparsa del mondo ortodosso sotto l’oppressione del comunismo, oggi le Chiese protestanti hanno perso seguito popolare e spesso fanno parte di stati in cui purtroppo il numero degli atei e degli agnostici è quasi pari al numero dei loro fedeli. Al contrario nel mondo ortodosso, risorto quasi miracolosamente da un secolo di persecuzione come i martiri decapitati dell’Apocalisse, i credenti di una grande e radicata religione popolare sono ancora un fenomeno di massa. E anche il resistere, sopravvivere e rinascere nella persecuzione di questa fede basta già a farne non solo una possibile protettrice, ma prima ancora un punto di riferimento, un sostegno e una speranza per chi è perseguitato tuttora.