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Roma, i cattolici smettano di stare in surplace

Ora una scossa, ha detto il cardinal Vallini, serve una nuova classe dirigente. C’è molto di Roma, nella fragorosa caduta del sindaco Marino, ma non c’è solo Roma, come fu, nell’’89 e nel ’93 negli ultimi anni della cosiddetta Prima Repubblica. Il commissario prefettizio che ancora una volta dovrebbe insediarsi tra qualche settimana, come era successo allora, sottolinea, tra la fine della Seconda e l’avvio della Terza Repubblica un momento periodizzante. Che non è solo di Roma.

E allora cominciamo a porre quantomeno le giuste domande, perché si comincino ad articolare quelle risposte che tutti aspettiamo. Risposte strutturali, al di là di quelle che necessariamente tanto l’ormai ex sindaco, che il suo (forse ex) partito dovranno cercare di darsi a conclusione di una vicenda che sembra proprio l’Hellzapoppin de’ noantri, una prolungata tragicommedia con un pizzico di nonsense, se non fossero in gioco interessi di grande rilievo e la qualità della vita quotidiana di milioni di cittadini.

Il primo tema, in epoca «glocal» è proprio il grande rilievo, la grande importanza del governo della città. Non è un caso che alla guida del governo nazionale, con la prospettiva di restarci a lungo, anche per effetto delle due riforme, elettorale e costituzionale condotte pervicacemente in porto, oggi ci sia non un parlamentare, ma un sindaco. Destrutturate nella loro articolazione interna ormai le forze politiche si aggregano intorno alla leadership, cittadina, regionale e appunto nazionale. La destrutturazione dei partiti ha portato a forme di selezione della rappresentanza o assolutamente verticistiche o estemporanee, vuoi attraverso le cosiddette «primarie» vuoi attraverso forme di cooptazione diretta. Qualche volta riesce bene, qualche altra invece i risultati sono disastrosi. In realtà la questione non investe solo i partiti, ma proprio il tessuto sociale. Alla lunga una selezione sbagliata della rappresentanza provoca corruzione e decadenza: proprio come si è sperimentato (anche) a Roma. Ne consegue lo scollamento tra eletti e strutture amministrative, aggravato dai problemi di bilancio che si scaricano sugli enti locali.

Ma questo tessuto di prossimità, di comunità locale, da cui solo può nascere una classe dirigente adeguata, non si crea per decreto. Neppure è dato una volta per sempre. Richiama radici storiche, capacità progettuale, valori radicati. Implica una forte soggettività sociale. L’impressione è che il collasso dell’amministrazione di Roma sia la rivelazione di un rischio lacerazione, cui bisogna porre responsabilmente rimedio.

Ce n’è per tutti. Anche per i cattolici, che sembrano in surplace. E’ invece piuttosto il momento di muoversi, raccogliendo il pressante appello di papa Francesco, a riconfigurare una presenza, dunque anche nella vita delle città. Senza complessi.