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Scherza coi santi ma lascia stare i gay altrimenti sei un mandriano della curia

di Umberto FolenaD’accordo, come non detto. D’ora in poi scherzeremo solo sugli eterosessuali, sui mariti e sulle mogli. Sugli omosessuali no. I loro sedicenti rappresentanti ideologizzati hanno deciso altrimenti e così facendo negano agli omosessuali la possibilità di essere normali, pari a chiunque altro. Quindi guai a fare dell’ironia e guai a rivendicare per gli eterosessuali un simbolo, un’icona cinematografica. I cowboy per esempio: non per quel che erano, ma per quel che rappresentano al cinema. Lo facevamo la settimana scorsa con un articolo («E così ci hanno tolto anche i cowboy», sul film Brokeback Mountain vincitore a Venezia) che basta leggerlo senza gli occhialoni muffiti dell’ideologia per giudicarlo quello che è, una cosa lieve di cui i gay intelligenti, capaci di autoironia, avranno sorriso per primi. Invece è accaduto quanto temevamo: prima è sceso in campo un autentico plotone d’esecuzione, ben quindici uomini (sulla cassa del morto, la nostra) tra cui critici cinematografici e teatrali, giornalisti e sociologi, a cantarcele, un’invettiva ingiuriosa che loro amabilmente definiscono «lettera aperta» e che potete leggere, se ce la fate ad arrivare fino in fondo, andando al sito www.culturagay.it. Finito il bombardamento preventivo, è scesa in campo la cavalleria cosacca dell’Unità. Che poteva rispondere per le rime, e ci saremmo tutti divertiti, e tutti avremmo imparato e potuto avviare un dialogo. Invece ha scelto il processo sommario zuppo di pregiudizio ideologico, fin dal titolo greve: «Razze in estinzione: non toccate i mandriani della Curia».Secondo L’Unità, il pezzullo sui cowboy del regista Ang Lee altro non sarebbe che un’anticipazione del dibattito sulle coppie di fatto e di «quanto sia condizionato dalla concezione clericale dell’omosessualità», espressione di un «immaginario virile» che «deride» i gay in «un’affannosa (e ansiosa) difesa di una cultura che, se sfiorata dagli omosessuali, si sente condannata e degradata». Bum!

Ho accettato con difficoltà di scrivere queste righe. Ma eccomi qua, per dire cosa? Che per poter scrivere bisogna prima saper leggere? Che mai ho usato l’aggettivo «virile», che L’Unità mi attribuisce ingannando i suoi lettori, e semmai rivendico il diritto a un «immaginario eterosessuale», con i suoi simboli e, perché no, miti, almeno al pari dell’immaginario omosessuale? Che l’ansia è tutta sua, nel tono moralistico e greve dell’articolo, del tutto difforme da quello lieve e ironico del mio? Che non «derido», ma faccio dell’ironia, arte in cui i toscani tutti sono cultori?

Se eterosessuali e omosessuali vogliono vivere sereni gli uni accanto agli altri, dovranno imparare a lasciarsi spazio e a sorridere, senza appiccicarsi addosso etichette non desiderate. Per questo quel «clericale» puzza di proiezione: clericale è chi appartiene a una «chiesa» che pensa al posto suo e che gli mette in bocca slogan e frasi fatte, la sciabola e il cavallo del cosacco. La libertà è un’altra cosa.

Festival di Venezia: e così ci hanno tolto anche i cowboy