Opinioni & Commenti

Segnali di cambiamento nella dialettica parlamentare

Ferma restando la determinante questione di una visione che corrisponda alla domanda di buona politica «gridata» dal popolo nelle scorse elezioni con astensionismo, voto di protesta, invalido e «di rassegnazione» (questione non liquidabile sostenendo sbrigativamente e semplicisticamente che non vi è spazio alcuno per un «partito cattolico»), l’elezione dei nuovi Presidenti delle Camere offre qualche spunto di riflessione, pur senza ancora risolvere il problema di un risultato elettorale di per sé improduttivo di una maggioranza parlamentare di governo, risultato, peraltro, prevedibile e, comunque, per niente escluso sulla base della legge elettorale approvata appena quattro mesi fa.

L’elezione a scrutinio segreto dei Presidenti delle Camere, primo atto della nuova legislatura, richiede una maggioranza qualificata almeno nei primi scrutini in modo da farne tendenzialmente organi «super partes». Ciò per evitare che il Presidente di Assemblea, a causa delle delicate funzioni affidategli, che richiedono di essere svolte nel più rigoroso rispetto del principio di imparzialità, sia legato da un rapporto troppo intenso con una specifica maggioranza parlamentare (come accaduto tra il 1994 ed oggi), ma goda, invece, di un più ampio consenso.

L’elezione dei presidenti Alberti Casellati e Roberto Fico – sulla base di una prima convenzione parlamentare: il riconoscimento della designazione alle due forze politiche più forti in questo Parlamento, la coalizione di centrodestra ed il Movimento 5 Stelle – può essere letta come una prima occasione di recupero di questo ruolo? I Presidenti sono stati eletti – con metodo magari perfettibile – quando era ormai sufficiente la maggioranza assoluta dei voti, eppur tuttavia con una maggioranza qualificata elevata come quella richiesta al primo scrutinio.

Vi sarà spazio in questa legislatura per appositi accordi istituzionali, tali da avviare su binari non necessariamente di governo, ma costituzionalmente corretti e trasparenti un dialogo condiviso nel metodo tra le forze politiche rappresentate? Questa prima sperimentazione pare aver prodotto un esito non certo privo di sbavature, ma forse complessivamente positivo in questo senso, e che consente di non disperare ancora circa la sostituzione degli avvelenati rapporti freschi di campagna elettorale con uno stile improntato ad un certo qual fair play.

In questo senso, un primo incoraggiamento a standing più elevati di confronto istituzionale è offerto già dai discorsi di insediamento dei nuovi Presidenti. M. Elisabetta Alberti Casellati ha sottolineato quanto servano unità di intenti e rispetto ed ha invitato la politica a dare risposte concrete, per recuperare alla partecipazione anche chi si è astenuto. Roberto Fico ha incisivamente sottolineato, accanto all’esigenza di rinnovamento delle istituzioni e di taglio dei costi della politica, la «questione della centralità del Parlamento» rispetto al rapporto con il Governo ed al perseguimento dell’interesse generale e non di vantaggi particolari, il miglioramento del modo di legiferare e, soprattutto, i tre principi di: a) garantire un alto livello qualitativo della discussione parlamentare; b) garantire il rispetto di tutte le componenti, sia di maggioranza sia di opposizione; c) interpretare lo spirito di cambiamento che i cittadini ci hanno espresso nelle ultime consultazioni elettorali.

Se tutti questi obiettivi siano realisticamente non irraggiungibili, inclusa la trasparenza dei processi decisionali ed il ripristino del ruolo proprio dei Presidenti stessi, ce lo diranno le prossime settimane ed i prossimi mesi, così come se questo avvio di legislatura possa essere perfino letto come un modo istituzionalmente corretto nella vita pubblica per «iniziare processi anziché occupare spazi», come scritto nella IV parte dell’Evangelii gaudium. Ma qui si tornerebbe alla questione iniziale.