Opinioni & Commenti
Sì alle marce della pace. No alle appropriazioni indebite
Come Razgon, per ben altri motivi, gente delle nostre parti, si chiede, magari dopo la marcia Perugia-Assisi: «Servono queste marce?». E aggiunge: «E le veglie di preghiera?». «Dov’è il profumo ghandiano?». Il fenomeno è in evoluzione e i duecentomila di domenica scorsa lo evidenziano. Dalla pace si passa alla giustizia e da questa si può progredire nella infinita costellazione di parole che indicano quei valori che più si ripetono più si dissolvono.
Lo evidenziano i presenti e gli assenti e la scarsa preoccupazione di essere veramente tanti, se non tutti. Lo confermano le interviste, i simboli, le bandiere: le appartenenze politiche rimbalzano in primo piano, incontenibili, fuori luogo e riconfermano che marciare per la pace, in Italia, è spesso l’opposto del nobile appello del presidente Ciampi: «La pace è un bene indivisibile». Perché lo sanno tutti quali sono i comportamenti che uniscono e quelli che dividono. Eppure, nonostante questo, in attesa di forme nuove che non tarderanno a imporsi, rigenerando quelle vecchie, ci ostiniamo a dire che non è vero che non servono. Oltre il credo spirituale nella comunione dei santi, la solidarietà visibilmente espressa è un chiaro valore laico e il movimento per la pace più grande mai visto al mondo quello alla vigilia dell’attacco in Iraq crescendo di giorno in giorno, da Piazza della Signoria alla Nuova Zelanda contribuì paradossalmente ad anticipare l’attacco militare, perché proprio quel movimento stava minando il consenso di molti governi
Da Bombay a Timishoara a Berlino molti tiranni sono stati cacciati da fiumane di pace colorate, anche se così non è andata a Tienammen o a Santiago. Ma il popolo della pace pur legittimamente diviso in tante posizioni diverse nell’individuazione dei mezzi per fermare il prepotente o disarmare il criminale nei momenti corali di popolo deve abbandonare la tentazione fondamentalista di fissare i confini entro cui possono stare i «pacifisti doc». Il pluralismo è un bene non praticabile a senso unico: è circolare. Se con la voce lo affermi, ti tocca le spalle un attimo dopo e ti chiede conto del tuo dire.