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Social networks: se la democrazia si trasforma in socialcrazia

I social networks sono ormai l’ambiente in cui viviamo. Chi non è su Facebook, su Instagram, su Twitter? Chi non è attratto, addirittura assorbito dalle opportunità che essi offrono? Con il rischio di continuare a chattare su WhatsApp, di non riuscire a staccare anche quando guidiamo l’automobile.

Non solo, però, dei social non riusciamo a fare a meno, ma, più ancora, non riusciamo a prendere le distanze dalla loro logica. Siamo vittime di una sorta di «servitù volontaria» – com’è stata chiamata già nel Cinquecento – che ci fa preferire la subordinazione a certi meccanismi piuttosto che l’esercizio della libertà. Di conseguenza i social non sono solo una cassa di risonanza della mentalità che predomina nel nostro tempo, ma sono soprattutto ciò da cui tale mentalità è in buona parte guidata e plasmata.

Qual è infatti la logica dei social? Due sono i meccanismi che voglio sottolineare. Da una parte, essi diffondono opinioni fra loro polarizzate, favoriscono la contrapposizione piuttosto che la mediazione. Dall’altra parte, hanno la capacità di aggregare chi la pensa allo stesso modo, mettono in collegamento chi ha gusti simili, scoraggiano un reale confronto fra posizioni diverse.

Nel primo caso i social esaltano l’espressione di un risentimento diffuso nei modi di una protesta anche violenta. Nel secondo caso fanno da filtro, ci chiudono all’interno di una bolla in cui tutti la pensano come noi.

Entrambi questi aspetti, poi, presuppongono un ulteriore elemento. I social offrono a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione, senza però introdurre, in parallelo, la consapevolezza che l’opinione è qualcosa di diverso dalla verità e, soprattutto, inducendo a considerare uguali, sullo stesso piano, tutte le opinioni. Ognuno, certo, ha diritto di esprimere le proprie idee. Ma non sempre ha le competenze per manifestare un’opinione corretta e fondata. E così la distinzione tra vero e falso, tra giusto e sbagliato si fa quantomeno sfumata.

Molti degli episodi che in questi giorni sono agli onori della cronaca, dalle polemiche sulle Ong ai dibattiti sull’utilità dei vaccini, sono il frutto di questa situazione. Basta che sia diffusa una notizia capace di suscitare interesse o reazione da parte di un vasto pubblico e subito essa viene rilanciata, a essa si risponde con vigore, si prende partito, si crea addirittura, sulla base di una certa posizione, il proprio partito. E basta che uno abbia accesso a internet per sentirsi in diritto di dire la sua e di decidere anche per gli altri, in base alla sua semplice opinione.

La democrazia si trasforma in socialcrazia. Per uscire da questa subordinazione ai meccanismi dei social networks forse qualcosa, però, lo possiamo fare. Possiamo anzitutto stare attenti a come Facebook, Instagram, Twitter trasformano i contenuti che attraverso di essi vogliamo condividere. Possiamo capire che sono molti i modi in cui i contenuti che ci stanno a cuore vengono comunicati, a volte anche migliori di quelli offerti dalle reti sociali.

Possiamo in altre parole evitare che le cose di cui parliamo siano solo quelle che i social network diffondono, secondo la loro logica. Solo così eviteremo di scambiare il verosimile con il vero, saremo in grado di verificare, anche grazie a internet, le idee che ci vengono proposte e potremo distinguere chi ne parla con competenza e chi no. Solo così, insomma, non saremo preda dalle bufale e non saremo più attirati dalla notizia dello squalo che attacca una gondola nella laguna di Venezia.