Opinioni & Commenti

Territorio, la messa in sicurezza dal rischio frane e alluvioni

È ormai chiaro che le frettolose battute – dispiace dirlo – dovute prevalentemente ai geologi, secondo cui tutti i dissesti sono riconducibili alla «cementificazione», alla edificazione in zone geomorfologicamente sconsigliate, alle violazioni edilizie assunte a metodo ecc., al netto della quota di «patologia» disgraziatamente presente, non sembrano più sufficienti a spiegare ciò che accade. Né, francamente, il mutamento climatico planetario, che ci regala «precipitazioni di pioggia» con valori gravemente concentrati in brevissimo tempo (le cosiddette «bombe d’acqua»), può giustificare la latente impotenza verso le ultime catastrofi sul territorio.

Ci sono, credo, due interrogativi che dobbiamo porci. Il primo riguarda le funzioni, l’operatività e l’efficacia delle cosiddette «Autorità di bacino»; queste, istituite con legge regionale nel 1989 (integrata nel 1998), furono attivate con un non indifferente apparato burocratico, per occuparsi più propriamente e organicamente, della «difesa del suolo» e dell’equilibrio idraulico del «bacino» geografico di competenza. Nella struttura funzionale di bacino vi sono un Comitato istituzionale, un Comitato tecnico, una Segreteria generale, una Segreteria tecnico-operativa. Dal 1989 (anno di attivazione) ad oggi son passati ventitré anni: non sono pochi. C’è dunque da chiedersi se davvero la prevenzione e la capacità operativa sia migliorata rispetto alla precedente gestione che faceva carico al Ministero dei Lavori Pubblici. Personalmente esprimo qualche dubbio e mi chiedo se, visti i risultati, non convenga riaccorpare la funzione al Ministero! Né sarebbe disdicevole fare il coacervo di quanto sia costata questa «struttura» in ventitré anni, rispetto alle risorse che è riuscita a gestire e trasformare in interventi reali.

Il secondo interrogativo riguarda l’applicazione dell’art. 62  della legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1, «Norme per il governo del territorio», ove i Piani Strutturali dei comuni si fanno precedere dalle verifiche sulle «pericolosità» del territorio sotto il profilo geologico, idraulico e sismico. E qual è dunque la sede per indicare provvedimenti di contenimento delle pericolosità se non la parte «geologica» dei Piani strutturali e dei relativi Regolamenti urbanistici?

I tragici precedenti toscani della Lunigiana, di Massaciuccoli e di Massa (solo per citarne alcuni) dovrebbero finalmente spingerci a dare risposta a questi due interrogativi, con semplificazioni nei soggetti istituzionali e con maggior rigore nelle prescrizioni idrogeologiche. E finalmente, varare un piano nazionale per la reale «messa in sicurezza» dalle fragilità del territorio. Ce lo chiedono le vittime di questi ultimi anni, ce lo chiede il buon senso di un paese civile, lo dobbiamo quale atto riparatorio a chi, in questo momento ha appena finito di spalare il fango dalle proprie abitazioni.