Opinioni & Commenti

Un metodo per le riforme e per sveltire il Parlamento

Prima, però, sia consentita una premessa. Bisogna ammettere che il modo con cui è partita questa – ennesima – stagione di riforme non è il massimo della chiarezza e concisione. Due mozioni con cui la Camera e il Senato hanno chiesto al Governo di presentare un disegno di legge costituzionale per modificare la Costituzione, costituendo una commissione bicamerale; il Governo decide di avvalersi di una commissione di «saggi» per affiancare il lavoro del Parlamento (perché il Governo e non il Parlamento?); i saggi inaugurano i propri lavori dinanzi al Presidente della Repubblica (perché il Presidente e non il Governo?); il Governo comunica che i saggi lavoreranno fino a febbraio 2014 (!) prima di avviare la discussione in Parlamento.

Sui temi: «prima» la riforma costituzionale e «dopo» la riforma elettorale, com’è logico che sia, peraltro. Una considerazione si impone: ma ci crediamo veramente in questa riforma? Era davvero necessario aspettare 9 mesi per «iniziare» la discussione della legge costituzionale (e solo dopo affrontare la questione elettorale)? Abbiamo già il documento dei «vecchi saggi» – quelli costituiti dal Presidente Napolitano alla fine del suo mandato – esperti nominati dagli stessi tre partiti che oggi compongono il Governo; non si poteva partire da quel lavoro già svolto? Il dubbio, un po’ malevolo, che sia una «melina» – si direbbe nel calcio – per assicurare almeno un anno e mezzo di vita al Governo, francamente, viene.

Ma veniamo alle domande sul metodo. Per non diffondere pessimismo, impariamo dai casi di successo e non ripetiamo gli errori. Un successo, clamoroso, nella nostra storia lo abbiamo avuto: la Costituzione. Se pensiamo alle condizioni – sociali, economiche e politiche – dell’Italia nel 1946, penso che nessuno possa dubitare del successo. Ebbene in quel caso i partiti accettarono una regola fondamentale: non discutere a partire da posizioni «precostituite».

Così, inevitabilmente, si genera il dubbio che ognuno proponga la riforma che più serve al suo interesse e non a quello comune. Purtroppo, mi pare che siamo avviati su una strada diversa: i partiti stanno già tutti schierandosi sposando soluzioni opposte (ad esempio, elezione diretta del presidente della repubblica o elezione diretta del presidente del consiglio?). Questo metterà gli esperti dinanzi ad una scelta: seguire la propria «scienza e coscienza» o gli input dei partiti? È ovvio che se prevarrà la seconda ipotesi è molto probabile che i saggi non riusciranno ad arrivare ad una soluzione unitaria e proporranno – film già visto – diverse ipotesi alternative (ipotesi A o ipotesi B). In questo modo verrà vanificata qualsiasi utilità di una commissione di esperti, rimettendo tutto al voto politico della commissione bicamerale.

Un’ultima domanda. Siamo proprio sicuri che tutte le riforme di cui abbiamo bisogno debbano essere «costituzionali»? Voglio dire, ci sono aspetti decisivi del funzionamento del nostro sistema istituzionale che non sono scritti in costituzione. Cito solo due esempi: uno conosciuto e l’altro un po’ meno. La legge elettorale: tutti sappiamo che non è scritta in Costituzione, basta una legge ordinaria per modificarla, dunque una procedura molto più semplice e rapida. Ma c’è un altro grandissimo settore decisivo per la funzionalità della Repubblica: i regolamenti parlamentari. Le regole interne delle due Camere. Abbiamo ancora un procedimento legislativo sostanzialmente uguale a quello del 1800.  Le leggi sono votate «articolo per articolo e votazione finale»; forse i tempi sono maturi per rendersi conto che anche una «macchina per decisioni» com’è il Parlamento dovrebbe essere aggiornata: e basta solo la maggioranza assoluta di una Camera.