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Verso un Natale tra crisi e simboli fraintesi

Pare infatti che, per la mentalità comune, ci sia restato solo questo: un pasto troppo abbondante e lo scambio dei regali. Il Natale lo si celebra per i bambini. I simboli tradizionali sembra abbiano perso valore. Il presepio e l’albero li facciamo stancamente. Che Natale, dunque, è quello che ci aspetta?

In realtà lo stesso Natale come festa consumistica – quello, per intenderci, del babbo Natale della Coca Cola – ce lo stiamo lasciando alle spalle. C’è un divario sempre più grande tra il mondo luccicante della pubblicità e la nostra vita quotidiana. Un atteggiamento sobrio è oggi non solo una necessità, ma un valore. Papa Francesco interpreta appunto questo sentire, proponendo modelli di vita più giusti e rispettosi nei confronti di tutti.

Ma se il Natale del consumo viene meno, che cosa rimane? Non molto, a quanto pare. Perché – lo accennavo prima – i simboli tradizionali in buona parte non ci prendono più. Dobbiamo riscoprirne il senso. Dobbiamo scoprire sensi nuovi, in grado di coinvolgerci nelle nuove situazioni quotidiane.

Proprio per il fatto che il presepe è un simbolo che non ci coinvolge più sembra che a esso possiamo facilmente rinunciare. Anche quest’anno assistiamo a iniziative di insegnanti che, per malintese ragioni di rispetto nei confronti di studenti di altre religioni, evitano di farlo in classe. Come se fare il presepio non potesse essere una pratica che integra, invece che separare. Come se il cristianesimo rivendicasse un’identità chiusa ed escludente, invece che celebrare il Salvatore di tutti.

Qualcosa di analogo sta accadendo anche per il simbolo, ben più laico, dell’albero. Certo: alberi addobbati continuano a essere eretti, nelle piazze, dalle amministrazioni pubbliche. Ma sta cambiando la loro funzione. Com’è accaduto all’abete della stazione di S. Maria Novella: trasformato in una sorta di bacheca di Facebook, dove può scrivere il suo bigliettino chiunque abbia un desiderio da esprimere.

C’è molto disorientamento, dunque. Il Natale dei consumi non vale più. Ma anche i simboli tradizionali vengono fraintesi. Rifaccio la domanda: in questa situazione che Natale ci aspetta? Forse proprio il Natale in cui possiamo trovare un senso nuovo: un senso rinnovato per questa festa così centrale nella cultura dell’Occidente e così presente nell’infanzia di tutti, credenti e non credenti. Nell’approssimarsi del Natale, certo, ciò che si sperimenta è proprio l’attesa. È questo sentimento di attesa ciò che vivono i nostri bambini e che, magari, può continuare a vivere anche il bambino che c’è in noi. Ma un’attesa pura e semplice non basta. Perché si attende davvero solo ciò che ha un senso profondo.

Questo senso profondo, che il Natale appunto manifesta, è l’idea di una salvezza che viene, e che s’insedia nella nostra vita. Si tratta di una salvezza che c’è realmente, non di una semplice speranza; di una salvezza che ha forme innocenti, vulnerabili, povere. Ecco un Natale che può coinvolgere. Ecco, forse, un senso che comprendiamo tutti: perché di questo sbocco, oggi, tutti sentiamo la mancanza.