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Atene 2004, la lezione dei Giochi

di Daniele Rocchi 10 medaglie d’oro, 11 d’argento e 11 di bronzo. È il ‘bottino’ della squadra olimpica italiana alle Olimpiadi di Atene che si sono chiuse domenica 29 agosto nello stadio Panathinaiko, dove sono nati i Giochi moderni e dove è risuonato, per ultimo, l’inno di Mameli, grazie alla vittoria nella maratona di Stefano Baldini. Una vittoria prestigiosa perché conseguita nella città patria dei Giochi, storica perché ottenuta su quello stesso percorso che Filippide nel 490 a.C. coprì correndo per dare la notizia agli Ateniesi, prima di morire per lo sforzo, che i persiani erano stati sconfitti. Su questi Giochi abbiamo posto alcune domande al giornalista e commentatore sportivo Bruno Pizzul.

10 medaglie d’oro, 11 argenti e 11 bronzi. Come giudica il bottino olimpico della squadra italiana?

“Direi positivo e non solo dal punto di vista agonistico I tecnici del Coni avevano pronosticato circa 25 medaglie. È stato positivo anche alla luce dei problemi delle varie federazioni, dotate di risorse sempre più esigue, e di fronte a notizie allarmistiche che davano alcuni sport impossibilitati a partecipare proprio per ristrettezze economiche. Un bottino di medaglie consolante che ha suscitato l’emozione e la fantasia degli italiani ma di cui non ci si può accontentare per valutare lo stato di salute del nostro sport. Speriamo, da questi risultati, di poter costruire una cultura sportiva che non può essere solo calcistica”.

Sport italiano in buona salute, allora?

“Le conquiste di medaglie olimpiche generano sempre entusiasmo e interesse con vantaggi, diciamo così, di reclutamento giovanile e nell’ampliamento della base dei praticanti. Le polem iche e i problemi che hanno riguardato lo sport italiano derivano dal fatto che è necessario modificarne la struttura organizzativa e gestionale, un tempo invidiata da tutti. Fa ben sperare, comunque, che si sia riusciti ad allestire una spedizione olimpica competitiva e numericamente rilevante. Significa che si stanno trovando strade nuove che autorizzano un certo ottimismo per il futuro. Deve poi crescere la cultura sportiva che accompagna i giovani nella pratica di uno sport. Come dire: meno pretese e più sacrificio”.

L’Italia si è confermata tra le più forti in assoluto nei giochi di squadra. Questo ha un significato?

“È un risultato importante tenuto conto anche di un certo individualismo italiano. In ambito sportivo abbiamo dimostrato di saper ‘forgiare’ squadre molto competitive che hanno raggiunto risultati lusinghieri grazie allo spirito di squadra, all’amalgama e allo spirito di sacrificio e di collaborazione”.

Come tradizione le medaglie italiane vengono spesso da quelle discipline che non occupano le prime pagine dei giornali, dedicate quasi sempre al calcio. Si dice che hanno poco seguito e dunque scarsa audience. Atene invece ha dimostrato che possono suscitare emozioni ed interesse. Crede che si possa invertire la tendenza ed avere più informazione per gli sport minori?

“Spero di si anche se temo che il processo sarà un po’ lento. Il calcio garantisce uno zoccolo duro di attenzione, di audience, con un notevole ritorno economico. Il successo di pubblico dei Giochi olimpici credo che abbia aperto una traccia, un sentiero da seguire per dare ad altre discipline, cosiddette minori, il giusto rilievo. Sono proprio queste, per esempio la scherma, il canottaggio, il tiro, la maratona, il judo che hanno esaltato il tifo e la fantasia degli italiani. S eguendole con maggiore attenzione non sarà così difficile riconoscere loro una spettacolarità intrinseca e far crescere nel pubblico un’attenzione ‘polisportiva'”.

C’è un’immagine di questi Giochi che può essere presa come spot migliore per il nostro sport?

“Direi delle facce. A cominciare da quella di Baldini il maratoneta. Senza fare torto a nessuno atleta credo che l’immagine di Yuri Chechi sia esemplare non solo per il valore tecnico-agonistico ma anche per quello morale, per la caparbietà e l’impegno messo per conseguire questo ennesimo trionfo, per la voglia di dimostrare che con il sacrificio nessun traguardo è impossibile. Ma ognuno dei nostri atleti merita la riconoscenza di tutti noi. Con le loro gesta ci hanno trasmesso l’orgoglio di sentirci italiani”.

Quale messaggio arriva al termine di questi Giochi, così segnati dalla minaccia del terrorismo?

“Quello che gli uomini possono giocare e lottare insieme, anche se di razza, religioni e nazionalità diverse. Il rischio è quello di pensare che possa trattarsi di un’utopia: io credo, invece, che anche attraverso la condivisione di momenti agonistici si possa costruire un mondo migliore. Dentro il villaggio olimpico c’era una ‘area sacra’ riservata agli atleti delle più svariate confessioni che volevano raccogliersi in preghiera. Questo è accaduto in un momento in cui l’integralismo religioso sembra costituire un grosso problema ed uno scoglio alla pacifica convivenza. Da questo punto di vista i Giochi possono insegnarci ancora molto”.

Toscana sul podio olimpico