Toscana

«118», turni scoperti e tagli. Servizio da ripensare

di Simone Pitossi

Centocinquanta postazioni di emergenza sanitaria territoriale, circa mezzo milione le richieste che pervengono alle centrali operative e quasi quattrocentomila le chiamate seguite dal successivo invio di un mezzo di soccorso. Questi tre numeri indicano l’enorme mole di lavoro svolto ogni anno in Toscana da un altro numero davvero prezioso: il 118, il servizio di emergenza e urgenza sanitaria.

Purtroppo, la tragica morte di una bambina di 6 anni in una scuola di Borgo San Lorenzo (Firenze) ha messo sotto processo il meccanismo di soccorso. Non è ancora chiaro se l’intervento tempestivo di un’ambulanza con medico a bordo avrebbe potuto salvare la vita alla piccola che soffriva di una rara patologia congenita al cuore – sul posto sono intervenute prima una ambulanza con soli volontari, poi un secondo mezzo di soccorso equipaggiato con infermiere – ma l’episodio ha riaperto le polemiche e messo in evidenza alcuni punti critici. Soprattutto, la necessità che i numeri citati in precedenza abbiano una corrispondenza nella realtà e una copertura effettiva del servizio.

Per Marco Carraresi, capogruppo Udc in Consiglio regionale, si tratta del frutto di «una serie di comportamenti incomprensibili che rischiano di provocare lo smantellamento di un sistema che in questi anni ha ben funzionato». «L’evidenza – continua il consigliere regionale – è infatti oramai sotto gli occhi di tutti, anche dei non addetti ai lavori, perché sono centinaia i turni scoperti nelle 23 postazioni di ambulanza con medico a bordo dell’area fiorentina. Fino al caso drammatico che ha visto coinvolta proprio la postazione di emergenza sanitaria del Mugello che in questo mese di ottobre, su disposizione della Direzione del 118 fiorentino, non poteva usufruire della presenza del medico su nessuno dei 36 turni previsti».

È lo stesso governatore della Misericordia di Scarperia (Firenze) Paolo Berti a sottolineare la «grave situazione» che dal giugno scorso affligge la postazione di emergenza sanitaria territoriale «Mugello» (Scarperia-San Piero a Sieve) riguardo alla copertura dei turni diurni per «carenza di personale medico». Fino ad arrivare a questo mese di ottobre quando nessuno dei turni è stato coperto da un medico. «Esprimo – osserva Berti – il mio disagio come cittadino e, come Governatore della Misericordia di Scarperia, denuncio la situazione di difficoltà in cui si trovano quotidianamente i nostri volontari che si trovano ad operare su codici di gravità maggiore in assenza di personale medico».

Sull’adeguatezza del servizio di soccorso e sulla copertura dei turni la direttrice del 118 fiorentino Lucia De Vito ricorda che «i bandi di assunzione di nuovi medici pubblicati in questi anni sono andati tutti deserti». Ma il sindacato dei medici Snami ribatte che «molti stanno chiedendo il trasferimento perché la gestione del lavoro e degli orari è pessima». Non solo. Giovanni Di Luccio, responsabile regionale Snami, ha più volte denunciato che per carenza di personale la Centrale operativa del 118 continua «ad utilizzare impropriamente per un numero elevato di casi l’istituto della “reperibilità” per coprire turni vuoti per carenze di organico adducendo una motivazione di “urgenza”». «Da questo si deduce – conclude Di Luccio – che il servizio 118 della Asl 10 di Firenze lavora in una situazione di emergenza stabile».

La situazione è quindi delicata. Ma non è proprio tutto da buttare. Per Marco Batisti, medico del 118 fiorentino, «da un punto di vista pratico le cose non vanno malissimo anche se c’è stata la riduzione del personale medico sulle ambulanze». «Prima – spiega Batisti – probabilmente c’era una ridondanza di personale, oggi però si richia l’eccesso opposto. Il problema è che manca un progetto chiaro della distribuzione delle risorse umane sul territorio per avere una copertura ottimale». L’ambulanza con l’infermiere professionale a bordo, per il medico, «è una novità positiva e può avere anche una certa autonomia operativa, anche se l’ottimale sarebbe avere l’equipaggio misto medico-infermiere». Un valido aiuto nel settore emergenza, sottolinea il medico, ci «arriva dal servizio di elisoccorso». Ma ci sono anche dei settori migliorabili. «Innanzitutto – spiega Batisti – bisognerebbe potenziare l’informazione ai cittadini sul funzionamento del 118. Spesso ci sono chiamate improprie che intasano i centralini: molto spesso le persone chiamano per una febbre a 38 e non segnalano dolori al petto; in alcuni casi ci sono ritardi perché la comunicazione del luogo che necessita di intervento non è chiara. Altro problema è la difficoltà che incontra la Centrale operativa ad interfacciarsi con chi chiama per l’emergenza. Infine – conclude – servirebbe un migliore coordinamento tra Centrale stessa e le postazioni territoriali per l’emergenza».

Il problema del 118 si incrocia con quello delle postazioni di primo soccorso che, secondo una delibera della Giunta regionale del luglio scorso, dovrebbero nascere in alcuni punti dell’emergenza sanitaria territoriale presidiati da un medico. Questi punti di primo soccorso sarebbero adeguati a trattare piccole cose come congiuntiviti, punture da insetti, ferite superficiali, piccole ustioni, traumi lievi. Attualmente, in Toscana, ne sono attivi 35 su 136 postazioni con medico. Un’operazione positiva in primo luogo per i cittadini spesso costretti a rivolgersi al pronto soccorso degli ospedali per patologie di lieve entità e, in secondo luogo per le strutture ospedaliere spesso intasate da «codici bianchi».

La verità, secondo Carraresi, è che «molti degli attuali punti dell’emergenza sanitaria territoriale, se non adeguatamente potenziati in termini di strutture e di personale, rischiano di diventare “inoperativi” ogni volta che il medico lì presente viene impegnato per una prestazione comunque non urgente ad un paziente in sede, con la conseguente impossibilità di intervenire su una situazione, magari di estrema gravità, verificatasi nelle vicinanze della postazione, e costringendo la centrale del 118 a far arrivare l’automedica o l’ambulanza medicalizzata da una postazione più lontana o ad inviare addirittura un mezzo senza medico a bordo».

Come funziona una Sede operativa:il difficile lavoro di chi raccoglie le chiamateIl telefono squilla. Pochi attimi per capire, decidere, agire. Un filo del telefono che collega la disperazione alla speranza, la morte alla vita.

Abituati (speriamo non troppo spesso) a stare al di qua del telefono, ci rendiamo poco conto del lavoro che, in casi di emergenza, invece viene fatto dall’altra parte del filo, e cioè all’interno di una Sede Operativa del 118. Tutto si svolge nel giro di pochi attimi, eterni per chi richiede aiuto, importantissimi per chi invece deve decidere che cosa fare.

Pistoia è una delle prime Sedi operative nate in Toscana nel 1995; sede piccola, se si pensa che nel 2007, fino ad oggi, ha risposto a 140.234 chiamate. Quattro postazioni sempre attive, che possono diventare sette in caso di necessità, una stanza non troppo grande è tutto ciò che serve a gestire le chiamate. A rispondere al telefono due infermieri professionali formati e addestrati e due tecnici che gestiscono i mezzi di soccorso impiegati per affrontare le situazioni più varie. Da una parte l’ansia, l’urgenza, dall’altra la razionalità, una profonda collaborazione, e molta professionalità.

Umberto, infermiere di turno, spiega il modo di operare: «Il nostro compito è capire il grado di emergenza che abbiamo di fronte. Non tanto stilare il referto, cosa impossibile al telefono. Piuttosto dobbiamo decidere un codice e inviare l’aiuto più idoneo nel più breve tempo possibile». Il codice si identifica tramite dei colori, dal bianco al rosso, a seconda della gravità del caso e si riferisce a interventi diversi, dall’ambulanza ordinaria fino alla richiesta dell’elisoccorso. «Non sempre è facile interagire con chi sta dall’altra parte del telefono e che in casi di emergenza è preda del panico e dell’ansia. La prima cosa da fare è verificare se il paziente è cosciente, se ha segni vitali, il polso e il respiro. In assenza di questi, è immediato il codice rosso». La chiamata rimane attiva fino al momento dell’arrivo dell’ambulanza in loco. Fino a quel momento, l’operatore cerca di rassicurare chi sta dall’altra parte del telefono, raccoglie maggiori informazioni sullo stato del paziente, sulle cause del trauma, su eventuali legami di parentela, ma soprattutto cerca di dare istruzioni semplici per un primo immediato intervento di soccorso in attesa del medico.

Un computer con tre schermi è aiuto indispensabile dell’infermiere: da lì visualizza la telefonata in entrata, identifica l’indirizzo dell’abitazione se la chiamata proviene da un telefono fisso (grazie al database fornito da Telecom) e visualizza eventuali eventi precedenti legati a quel numero. Richiede l’intervento dell’ambulanza e invia ad essa le informazioni necessarie. Un sistema GPS costantemente aggiornato consente di inviare le coordinate all’ambulanza e di verificare in ogni momento la sua reale posizione fino al luogo dell’emergenza. Sarà l’ambulanza a segnalare il momento di arrivo che è anche il momento in cui termina la chiamata.

Non sempre si tratta di emergenze. Dei 140 mila casi prima citati, solo 22.139 lo sono e hanno riguardato traumi e problemi cardiovascolari. Per il resto si tratta di richieste di trasporti in ospedale per i più svariati motivi e molti sono casi conosciuti.

Ma il tempo è poco per parlare. Il telefono squilla ancora, disperate giungono le grida di aiuto di una donna. È un codice rosso. Attimi di tensione coinvolgono tutti i presenti. L’ambulanza arriva dopo 4 interminabili minuti, costantemente seguita sullo schermo. «Forse non ce la farà – mi dice Umberto sconsolato – ma per fortuna non sempre è così. In questo lavoro non ci si abitua mai».

Sara D’Oriano