Toscana

Aborto, manca la prevenzione

DI SIMONE PITOSSI

L’azione di prevenzione è scarsa. E il numero di aborti in Toscana è in crescita. Che fare? Serve una legge regionale che – non restringendo il campo di azione della legge 194 – dia sostegno economico alle madri in difficoltà, potenzi l’informazione sul nascituro e, soprattutto, faccia davvero opera di prevenzione. La pensa così Marco Carreresi, capogruppo del Ccd in consiglio regionale, che ha presentato una proposta di legge «per l’accoglienza della vita nascente, la tutela dell’infanzia e il sostegno alla maternità».

A sostegno del progetto di legge regionale Carraresi ha portato i dati relativi alle interruzioni volontarie di gravidanza nel triennio 1998-2000 nella nostra regione. «Negli ultimi anni, pur in presenza di una progressiva diminuzione nel decennio del numero complessivo di aborti in Toscana, – osserva il capogruppo del Ccd – si nota un arresto del calo e addirittura un lieve incremento, sia per le interruzioni volontarie di gravidanza su donne residenti che non residenti: nel primo caso si passa dalle 7452 del 1999 alle 7762 del 2000 per le donne residenti, e, come complessivo, dalle 8854 del 1999 alle 8901 del 2000».

Costante rimane inoltre il tasso di abortività (numero Ivg per 1000 donne in età feconda), che nel triennio 1995-97 è stabile al 9,9, mantenendo la nostra regione al di sopra della media nazionale che è pari al 9,5. Ben al di sopra della media nazionale (che è pari al 255,5) è il dato toscano relativo al «rapporto di abortività» (numero Ivg ogni mille nati vivi) pari a 311,0. «Ciò significa – sottolinea Carraresi – che più di un bambino ogni quattro nati viene legalmente soppresso, in una situazione in cui la Toscana è una delle regioni italiane con più basso tasso di fecondità (nel 1996 ogni mille donne in età fertile, c’erano solamente 995 bambini)».

Da sottolineare inoltre l’altissimo rapporto di abortività tra le donne nubili, divorziate, tra le giovani e giovanissime e le donne con più di 40 anni. Tra le nubili, nel 1999, si sono contati 2407 nati e 3353 aborti, tra le separate o divorziate 533 nati contro 496 aborti, mentre tra le coniugate a fronte di 22640 nascite sono state registrate 3525 Ivg; così come tra le 18-19enni, 247 sono i parti, 305 le Ivg. «Ciò mostra – continua – un utilizzo della legge 194 non solo come mezzo di controllo delle nascite, ma addirittura come “contraccezione di emergenza”, contraddicendo in modo palese le finalità dichiarate. Tale utilizzo viene confermato anche dalla percentuale di interventi dopo precedenti Ivg: negli ultimi tre anni cresce il numero di donne che avevano già ricorso in precedenza, anche più di due volte, all’IVG: erano il 21,7% nel 1998, il 22,6% nel 1999 e il 22,8% nel 2000».

Secondo il capogruppo del Ccd «va inoltre rilevato come sfugga completamente al dato statistico – cosa che può spiegare in parte la progressiva diminuzione del numero complessivo di IVG – il numero sempre minore di donne in età fertile per il calo demografico, l’utilizzo sicuramente crescente di farmaci in grado di procurare aborti chimici (pillola del giorno dopo, Norlevo, ecc.), ed anche il ricorso all’aborto clandestino che, dai dati di cronaca, ed anche dal numero di procedimenti penali in aumento, non solo non risulta debellato, ma mantiene livelli di rilievo».

Significativi, secondo Carraresi, risultano essere i dati relativi alla provenienza della certificazione autorizzativa dell’IVG: ben il 45% ricorre al medico di fiducia, mentre «ancora troppo limitato (32,1%) è il ricorso al consultorio familiare che dovrebbe intervenire per favorire il superamento delle difficoltà che inducono all’aborto».

Non solo. «Appare ben poco comprensibile – continua il capogruppo Ccd – che oltre la metà delle certificazioni d’urgenza siano rilasciate dal medico di fiducia. Ed appare comunque sicuramente molto alto il ricorso all’“urgenza”, con dati estremamente preoccupanti e differenziati tra aree diverse della Regione e singoli ospedali. Si passa da casi come l’ospedale di Carrara nel quale le urgenze sono soltanto lo 0,8% o il Santa Chiara di Pisa con il 2,7% o Le Scotte di Siena con l’1,6% a percentuali di interventi d’urgenza, negli ospedali di Bibbiena, Montevarchi, Prato ed Empoli, che superano spesso il 50%. E addirittura in tutta l’Azienda USL 10 di Firenze e nell’Azienda di Careggi si è giunti a percentuali che si avvicinano addirittura al 70-80%».

Ecco allora la proposta di legge del Ccd. Innanzitutto l’intenzione sarebbe quella di prevenire e rimuovere «le difficoltà economiche, sociali, psicologiche e familiari che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza». Come? «Con finanziamenti a carico della Regione», risponde Carraresi. Ma non c’è solo la questione economica. Un altro aspetto non secondario, per il Ccd, è «una corretta informazione circa la fisiologia, lo sviluppo, l’identità del nascituro». E poi, un elemento importante è il lavoro di prevenzione che dovrebbe essere svolto dai consultori familiari, oltre 200 in Toscana. «Anche nella nostra regione – osserva Carrresi – hanno in parte fallito il loro compito di prevenzione dell’aborto volontario riducendo la loro azione all’ambito sanitario e alla distribuzione contraccettiva».

Infine il Ccd chiede un ruolo più centrale per il volontariato. Ai 14 Centri di aiuto alla vita – piccole associazioni di volontariato – nel 2000 si sono rivolte 633 gestanti incerte o intenzionate ad abortire e 537 i bambini nati. «Se questi piccoli organismi – si chiede concludendo Carraresi – gestiti da personale volontario ottengono un tale risultato quanto più grande sarebbe l’efficacia di un’azione che avesse l’appoggio anche dei soggetti istituzionali e che potesse contare sulla collaborazione a pieno titolo delle strutture pubbliche?».