Toscana

«Amministratori di sostegno, serve anzitutto il rapporto con il beneficiario»

Avvocato, qual è in generale la sua esperienza nel campo delle amministrazioni di sostegno? Ha avuto o ha a che fare anche con casi psichiatrici?

«Anzitutto la ringrazio per avermi dato la possibilità di rilasciare questa intervista. Mi occupo di ads da circa dieci anni. Presto consulenza e assisto come legale coloro che sono coinvolti in un procedimento di nomina di ads e ho ricevuto vari incarichi di ads dal giudice tutelare; sono stata anche “dall’altra parte”, quando, nella mia famiglia, si è dovuto ricorrere alla nomina di un ads per i nonni anziani. Sì, mi sono occupata anche di persone con problemi psichiatrici. Attualmente ho due casi di questo tipo».Per quanto ha potuto constatare, quand’è che si ricorre a un amministratore non familiare, solitamente a un avvocato? Esiste un elenco cui il giudice tutelare attinge?«La nomina di un ads spetta sempre al giudice tutelare, il quale, nella sua scelta deve avere esclusivo riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario. Premesso questo, il codice stabilisce una preferenza a favore dei familiari, ma prevede anche che il giudice, quando ne ravvisi l’opportunità, possa nominare un’altra persona idonea estranea all’ambito familiare, tra cui, appunto, un avvocato. Nella pratica il caso più frequente di nomina di un avvocato è quello in cui i familiari del beneficiario non siano idonei a ricoprire l’incarico, ad esempio per una conflittualità intrafamiliare, per cui si rende necessario il ricorso a un soggetto estraneo che dia la garanzia di agire nell’interesse esclusivo del beneficiario. Presso il Tribunale di Firenze, al momento, non esiste un elenco di professionisti disponibili ad assumere l’incarico di ads».Che tipo di attenzione e di approccio viene richiesto a un amministratore non familiare? Si tratta di impegni solitamente gravosi o ci può essere differenza tra un caso e l’altro?«Anzitutto un avvocato ads non può prescindere da un rapporto dialogico diretto, costante, con l’amministrato: la frequenza può variare a seconda dei casi, ma la persona va seguita, per comprenderne la condizione e i bisogni; allo stesso tempo, non deve mai perdere di vista la propria professionalità e il giuramento di fedeltà e diligenza che ha prestato davanti al giudice all’inizio dell’incarico. L’avvocato ads è un pubblico ufficiale, con tutte le conseguenze in termini di poteri, ma anche di responsabilità, che ne derivano. Certo, fra un caso e l’altro c’è sempre differenza, ci sono casi più impegnativi e altri meno gravosi, ciò dipende non solo dal caso concreto ma anche dai poteri che sono affidati dal giudice tutelare all’inizio dell’incarico, che possono essere più o meno penetranti in base alle necessità del beneficiario».A questo proposito, nel nostro articolo avanzavamo tra l’altro dubbi di opportunità nei confronti di un affidamento eccessivo di casi a un singolo amministratore. Lei non è di questo avviso?«Dal punto di vista del rapporto ads-amministrato, il fatto che alcuni avvocati abbiano più incarichi di ads non può essere criticato a priori, così come nessuno, in astratto, critica un medico per avere troppi pazienti. Credo invece che l’avere più incarichi sia un indice di esperienza. Quanto poi all’“equa indennità”, preciso che il codice civile prevede che l’incarico sia gratuito ma che il giudice possa riconoscerla in ragione dell’entità del patrimonio dell’amministrato e delle difficoltà dell’amministrazione: non si tratta di un compenso professionale e, per mia esperienza, non è mai sproporzionato o insostenibile rispetto alle capacità economiche dell’amministrato».Com’è che ogni amministratore dovrebbe allora gestirsi in merito al numero e all’impegno relativo agli amministrati?«L’avvocato ads che è stato designato dal giudice non è obbligato ad assumere l’incarico se lo ritiene troppo gravoso».Cosa si potrebbe fare, a suo giudizio, per ridurre eventuali conflittualità tra servizi sociosanitari e familiari degli utenti?«Per quanto riguarda i familiari, incrementare gli sportelli di consulenza e di supporto in merito alle modalità di funzionamento dell’istituto, al procedimento per la nomina, ai rapporti con il giudice tutelare. Per i casi più gravi, la possibilità di ricorrere a terze parti che siano capaci di gestire il conflitto; penso, ad esempio, a organismi di conciliazione in materia socio-sanitaria. La mia attuale esperienza come membro del Comitato pari opportunità dell’ordine degli avvocati di Firenze mi insegna che, in generale, può essere molto proficuo instaurare tavoli di collaborazione fra professionisti e stilare protocolli e buone prassi».