Toscana

Anche per la sanità un palestinese e un israeliano non sono uguali

Mor Efrat, coordinatrice del Dipartimento dei Territori Occupati di Medici per i Diritti Umani-Israele e curatrice dei rapporti, Maria Josè Caldes, direttrice del Centro di Salute Globale della Regione Toscana, Chiara Molducci, Assessore alla Cooperazione del Comune di San Casciano, Maurizio Fontanarosa dell’Ospedale di Careggi e Alberto Barbieri, coordinatore di Medu Italia hanno discusso il divario in termini sanitari tra i cittadini israeliani (compresi i coloni negli insediamenti in Cisgiordania) e i residenti dei Territori palestinesi.Nel rapporto «Inequality in Health» è stato rilevato che, in media, l’aspettativa di vita dei Palestinesi è di circa 10 anni inferiore rispetto a quella degli Israeliani. Inoltre, nei Territori palestinesi, la mortalità infantile (18,8 nati morti ogni 1.000 nati vivi) è cinque volte più elevata rispetto a quella registrata in Israele (3,7), mentre la mortalità materna si attesta a 28 decessi ogni 100.000 nascite (il quadruplo rispetto a quella israeliana). La spesa nazionale per la salute pro capite nei Territori palestinesi è di circa un ottavo rispetto a quella israeliana, in Israele il tasso di medici pro capite (3,33 ogni 1.000 abitanti) è superiore a quello palestinese (2,08), così come il tasso di medici specializzati (1,76 contro lo 0,22) e quello degli infermieri (4,8 contro l’1,9). Si è altresì scoperto che alcuni vaccini vengono somministrati solamente in Israele – come le vaccinazioni contro l’epatite A, la varicella, la polmonite, il rotavirus il e il virus del papilloma umano – sebbene le malattie infettive siano molto più comuni nei Territori palestinesi.

Il rapporto esamina, inoltre, i meccanismi di controllo israeliani che impediscono al Ministero della Salute palestinese di fornire servizi sanitari completi ai suoi cittadini, compromettendone così le condizioni di salute. Tra i suddetti meccanismi rientrano non solo le limitazioni alla libertà di circolazione dei pazienti, del personale medico e dei farmaci, ma anche la gestione del budget palestinese (inclusi i fondi destinati alla sanità) da parte del governo israeliano, ad esempio attraverso il controllo delle imposte doganali relative alle merci importate. Israele ricorre spesso a tali espedienti e nega all’Autorità palestinese l’accesso ai fondi come misura punitiva. Interferendo con i finanziamenti stanziati alla sanità, Israele condanna l’intero sistema sanitario palestinese all’incertezza.

Secondo quanto emerge dal rapporto, la cronica crisi che affligge il sistema sanitario palestinese, impedendo l’erogazione di servizi adeguati alle esigenze della popolazione, è in larga parte legata al controllo israeliano dei Territori palestinesi. Nonostante gli accordi di Oslo abbiano acceso un barlume di speranza, la realtà dei fatti è che, da ben due decenni, due popoli diversi vivono nello stesso territorio e sotto lo stesso governo, ma non godono degli stessi diritti.

Dichiara Mor Efrat: «Il Ministero della Sanità palestinese ha il dovere di garantire il miglior servizio sanitario possibile ai cittadini. Tuttavia, spetta a Israele fornire tutti i servizi che vanno oltre le possibilità del suddetto Ministero, affinché un bambino palestinese e uno israeliano, che vivono a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, possano ricevere le stesse cure mediche».No Safe Place, invece, è il primo rapporto medico indipendente sugli eventi dell’operazione Protective Edge («Margine di protezione») messa in atto dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza tra l’8 luglio e il 26 agosto del 2014. Il documento, che è stato stilato da otto esperti internazionali, ha rilevato il fallimento dei meccanismi di allarme, l’assenza di via fuga, il collasso del sistema di evacuazione dei feriti e gli attacchi contro le squadre di soccorso durante le operazioni belliche.