Toscana

Anziani e badanti: presentata a Firenze una ricerca della Cgil

«Regolarizzare e valorizzare le assistenti alla persona: questo significa promuovere l’associazione di queste lavoratrici e dei lavoratori prevedendo percorsi formativi di qualificazione con un corrispondente ampliamento dell’assetto contrattuale. E anche  sviluppare nuove forme di assistenza che possano offrire un ventaglio più ampio di opportunità: assistenza domiciliare, condomini solidali, rete territoriale di cura leggera»: sono le richieste agli enti locali della Cgil di Firenze, emerse durante il seminario aperto di stamani al Teatro Affratellamento di Firenze «Badanti e badati – Quale futuro per l’assistenza dell’anziano?».

I numeri. Nella provincia di Firenze dal 2009 al 2013 (ultimo anno con dati Inps presenti) le badanti passano da 4.184 a 5.435; mentre invece le colf da 10.502 a 7.826. Secondo i dati dell’Ufficio Vertenze della Camera del lavoro di Firenze riguardanti le controversie tra badanti e datori di lavoro, complessivamente, dal 2011 al 2014, le vertenze sono state 429. Le cause principali: lavoro nero, differenze salariali tra quanto pattuito e quanto effettivamente corrisposto, licenziamento unilaterale. Nell’85% dei casi la controversia si conclude con transazione che accontenta sia la lavoratrice che il datore di lavoro.

La ricerca. Uno spaccato della condizioni di badanti e assistiti nel fiorentino viene dallo studio «Il lavoro di cura a Firenze e nella provincia» realizzato da Ires Toscana (curato da Alberto Tassinari), commissionato da Cgil Firenze per avere una fotografia del fenomeno. Tramite questionari anonimi, sono state intervistate 80 tra domestiche e badanti (tutte straniere) e 100 assistiti (per quelli non autosufficienti ha risposto un famigliare).

Le Badanti. Le intervistate (75 donne, 5 uomini) presentano buoni titoli di studio (la maggior parte ha un diploma di scuola media superiore): ci sono anche laureate, ingegnere, persone capaci di parlare più lingue. Dal punto di vista dell’appartenenza nazionale, la maggioranza proviene dall’Europa Orientale, soprattutto Romania (10), Georgia (9) ed Ucraina (9). Segue l’America, in particolare Perù (26); quindi Africa ed Asia. La ripartizione per età evidenzia un più accentuato spostamento verso le fasce più alte: le intervistate fino a trenta anni sono 10 in totale, quelle dai trentuno ai quaranta 29, da quarantuno a cinquanta 20, oltre cinquanta 21. In sostanza sembra emergere uno spostamento verso fasce più «mature» e meno giovanili. Il motivo che le ha indotte a trasferirsi qui è quello di realizzare un reddito. Per gran parte di loro, l’inizio dell’esperienza migratoria è avvenuto in condizioni di irregolarità o clandestinità poi sanate.

E perché sono venute proprio a Firenze e provincia? Perché qui avevano amici e parenti già insediati, che hanno avuto un ruolo di sostegno. I loro salari oscillano tra i 500 e i mille euro (soltanto 7 intervistate dichiarano di avere un salario superiore a 1.000 euro al mese): tra zero e 500 euro vengono inviati alla famiglia nel Paese d’origine (lo fa l’85% delle intervistate). Le badanti più in difficoltà e in stato di debolezza sembrano quelle che hanno i figli qua.

E come è visto il rapporto con l’assistito? In gran parte positivo, in alcuni casi emergono conflitti, una minoranza si lamenta delle condizioni di salario e orario di lavoro. Difficoltà si rilevano nell’integrazione nella realtà locale: un quarto delle intervistate non si sono mai rivolte a un ufficio pubblico, gran parte di loro non frequentano italiani. Gran parte delle intervistate, circa i 2/3 del totale, ha una conoscenza della nostra lingua fortemente circoscritta e parziale, spesso imparata in modo autodidatta (anche guardando la tv). Il futuro che le intervistate si immaginano e sognano, infine, non è legato al lavoro di badante ma ad intraprendere una diversa attività: la maggior parte mostra disponibilità a frequentare corsi di formazione linguistica e professionale ed intende restare a Firenze o in provincia nel prossimo futuro.

Gli assistiti. La maggior parte degli assistiti intervistati sono pensionati che prendono tra 500 e 1.000 euro mensili e vivono in una casa con quattro stanze (le badanti vivono, per lo più, in casa del datore di lavoro): vedendo i costi di una badante (praticamente la pagano con la pensione), come fanno a vivere? Con l’aiuto dei parenti, con i risparmi di una vita, con ipoteche, con cessioni di nuda proprietà? Più di un terzo degli intervistati non è stato coinvolto nella scelta di prendere una badante, e questo crea del risentimento verso la famiglia che poi si riverbera sulla badante stessa. Pare quindi più saggio coinvolgere prima l’anziano nella scelta di prendere una badante.

La maggior parte degli assistiti è contento della propria badante e ammette di non aver richiesto requisiti particolari prima dell’assunzione: sembra che prevalga l’esigenza di avere una badante in modo continuativo (magari h24) più che le sue competenze specifiche. Gli intervistati sanno poi che ci sono dei contributi pubblici per il servizio badanti? La stragrande maggioranza lo ignora, chi fa qualcosa usa il bonus badanti della Regione. In un tipo di rapporto di lavoro come la cura e l’assistenza privata, quanto è definito dal contratto non sempre viene rispettato: si verificano frequentemente circostanze, legate ad una serie di motivi, che fanno oltrepassare il limite di ore contrattualmente stabilito e che sono lasciate, diciamo così, alla «contrattazione informale» tra badante e famiglia del badato. Se consideriamo che una serie di vertenze avviate dalle donne occupate nel segmento di cura sono relative proprio a salario non corrisposto, a «straordinari» non pagati, a gratifiche non erogate ci si accorge che spesso quanto è definito non viene rispettato e non riconosciuto alla parte più debole. Viene molte volte ritenuto «naturale» che chi viva ed alloggi in casa con il datore di lavoro debba «ovviamente» assistere, anche al di fuori dell’orario di lavoro stabilito, il malato o l’anziano senza poi riconoscere a questo impegno l’adeguato compenso. Nel rapporto di lavoro di badante è sempre presente un’area «grigia», non definita contrattualmente, che offre spazi di discrezionalità ad entrambi i contraenti.