Toscana

«Cattolici protagonisti»: la forza del Vangelo per cambiare la società

«Cattolici protagonisti»: dopo la prima Settimana sociale regionale, che si svolse nel 2013 a Pistoia, prosegue il cammino promosso dalla commissione di pastorale sociale della Conferenza episcopale toscana. Il nuovo incontro, dal titolo «Un’agenda di sfide e impegni per i cattolici toscani», si è svolto nell’auditorium della Camera di Commercio di Prato.

Dare voce agli ultimi, agli esclusi; dare un’anima al nostro agire da cristiani nella società. È questo l’invito con cui il vescovo di Prato Franco Agostinelli ha salutato i partecipanti.

A introdurre i lavori è stato mons. Giovanni Santucci, vescovo di Massa Carrara Pontremoli e delegato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale sociale e del lavoro. L’impegno sociale e politico dei cattolici, ha sottolineato, deve partire da alcuni punti fermi: la centralità della persona umana, la convinzione che ogni uomo è amato da Dio e che sono le relazioni tra le persone che permettono a ciascuno di sentirsi prezioso e importante.

«Il riferimento a Dio – ha  aggiunto – ci aiuta a dire perché ci occupiamo degli altri. Anche l’impegno politico deve nascere da qui, non deve essere fine a se stesso ma una conseguenza del fatto che ci sentiamo custodi dei nostri fratelli». Ecco quindi l’urgenza: trovare laici capaci di trovare nel Vangelo la forza di una presenza sul territorio che possa incidere sulla vita delle persone.

I lavori sono proseguiti con la divisione in 10 gruppi di lavoro. «Non un momento per fare denunce o lamentazioni – ha spiegato padre Antonio Airò, incaricato regionale per la pastorale sociale – ma un’occasione per condividere esperienze, raccontarci successi e delusioni mettendo in comune quello che si è fatto nelle diocesi toscane dopo la Settimana sociale di Pistoia, per dare seguito al mandato specifico che nel 2013 abbiamo ricevuto dai vescovi toscani in maniera solenne».

Il lavoro nei gruppi si è svolto in maniera vivace ed animata: in cerchio, guardandosi in faccia, per raccontarsi cosa si è fatto, cosa si sta facendo, cosa si vorrebbe fare per costruire una società più rispondente ai valori del Vangelo e agli insegnamenti della dottrina sociale cristiana.

Vengono raccontate piccole e grandi esperienze nell’ambito della scuola, del lavoro, della carità. In generale, c’è voglia di agire in maniera più incisiva per cambiare quello che non va, per invertire quelle rotte sbagliate che hanno causato la crisi in cui ci troviamo. «Tra i cattolici – dice qualcuno – ci sono persone preparate e capaci di affrontare le sfide della società più di quanto si creda». Altri però mettono in guardia dal rischio più ricorrente, quello di divisioni: «Alla fine ognuno porta avanti le sue attività, non c’è coordinamento».

Uno dei più giovani, se non il più giovane, è Michele, 25 anni, di Follonica. Sta facendo il servizio civile in Caritas: «Per noi giovani – racconta – non avendo prospettive per il futuro è difficile prepararsi: per cosa? Si studia quando si sa che c’è un esame vicino, che avremo la possibilità di mostrare quello che si è imparato. Noi invece abbiamo l’impressione che per noi non ci saranno esami nè possibilità. Abbiamo la pancia piena, e ci manca la voglia di fare progetti». Gli risponde una mamma: «Noi genitori cosa possiamo fare più che spronare? A noi, alla vostra età, è stato dato tutto l’affetto possibile ma non è stato regalato niente. Oggi invece c’è l’idea che ai figli si deve trovare il lavoro, la casa, perché si pensa che da soli non ce la possano fare… No, dobbiamo dare ai giovani le condizioni per fare da soli, questo sarebbe il regalo più grande».

L’intervento di mons. Bregantini: «L’essere umano non è un bene di consumo»

«Questa economia uccide!». Mons. Giancarlo Bregantini lo ha fatto ripetere a tutti, ad alta voce, due volte, come se fosse un «mantra», perché, ha detto: «L’essere umano non è un bene di consumo, non si può usare e poi gettare, questa è la cultura dello scarto che Papa Francesco ci chiedere di contrastare». Il presidente della Commissione Cei per la pastorale sociale e del lavoro è stato chiamato a Prato, al convegno dei «Cattolici protagonisti», che si è tenuto lo scorso sabato, per parlare di «giovani e precariato».

Non appena ha preso la parola lo ha detto subito: «La Chiesa non ha soluzioni prefabbricate per risolvere questo problema, non dà risposte ma uno stile, quello della condivisione, perché i ragazzi con la loro precarietà sono una eloquente testimonianza alla Chiesa di oggi, portano un messaggio di povertà». E così, con la forza della semplicità che lo contraddistingue, mons. Bregantini ha subito lanciato un’idea che intende proporre al Convegno ecclesiale di Firenze: «Tutti i preti giovani fino a 35 anni potrebbero donare 50 euro per la costituzione di un fondo a sostegno dei ragazzi in cerca di un lavoro, in questo modo – ha aggiunto – la Chiesa si fa vicina a chi ha bisogno con gesti concreti».

Ascolto, comprensione e accoglienza, sono le tre parole chiave con le quali siamo chiamati ad avvicinarci a coloro che stanno vivendo un tempo di attesa, e «non di aridità», ha sottolineato Bregantini, «altrimenti non siamo in grado di uscire da questa grave situazione che stiamo vivendo». L’invito rivolto ai centotrenta delegati diocesani presenti al convegno, è stato quello di rifuggire «il paternalismo della raccomandazione, non ci possiamo sostituire ai giovani nel risolvere i loro problemi – ha osservato -, né guardare a loro con indifferenza, si ha cura del povero solo se lo si tocca, come ha ricordato Papa Francesco». Attenzione anche alle parole sbagliate, «dire che le nuove generazioni non hanno voglia di lavorare significa parlare con superficialità, sono frasi che gelano il cuore dei ragazzi».

Tra gli errori che hanno portato alla deriva attuale, Bregantini individua «la violazione della sacralità della domenica», affermare che quel giorno si possa tranquillamente lavorare, «è stato il disastro culturale e psicologico più gravoso della nostra società». Questo è uno dei messaggi che secondo Bregantini dovrebbe uscire con forza, «come un grido», dal prossimo Convegno ecclesiale, «se cade il baluardo della domenica, che non è solo il giorno del Signore ma la liberazione dell’uomo “dalle catene del lavoro”, adagio adagio cadranno tutti gli altri, la logica del guadagno non deve prevalere, tutti devono avere il diritto di poter dedicare un po’ di tempo a chi si ama, a chi soffre, a chi ha bisogno». Altra parola chiave della sua relazione è il coraggio, «perché quello che ci frega è la paura – ha affermato in modo chiaro e diretto – i soldi ci sono e stanno nelle banche, io vedo che sta vincendo la logica della paura collettiva». La Chiesa da par suo, «deve poter dare un annuncio di maggiore entusiasmo, la nostra responsabilità in questa crisi è grande sul piano etico e dunque occorre tornare alla radicalità del Vangelo, chi non ha coraggio, non ha speranza e neanche fede. Dico ai preti: tenete alta la passione per il Vangelo!».

Questo passaggio dal sociale al teologico è quello che la Chiesa, la quale deve sempre stare dalla parte degli ultimi, ha il dovere di suggerire, «anche perché – ha concluso Bregantini – chi risolve i problemi è chi soffre, non chi sta dietro una cattedra, è la sofferenza che crea sapienza, questo è il grande insegnamento della Bibbia, che parla ancora al tempo di oggi».