Toscana

Egitto, il Natale delle «Minime»: anche i musulmani a difendere le chiese

di Mauro Banchini

«Per il Natale copto diversi musulmani, in segno di solidarietà, si sono schierati davanti alle chiese cristiane come scudi umani: una dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che non tutti i musulmani sono terroristi». Parlano così («la nostra è una sensazione di forte accomunamento con i musulmani nel detestare gli atti di terrorismo») tre suore delle «Minime del Sacro Cuore» che formano la piccola comunità di Abu Tig, cittadina vicina ad Assiut, nell’Alto Egitto. Sono tutte egiziane. Accolgono e sostengono, anche sotto il profilo economico, studentesse dai villaggi vicini.

Quella di Abu Tig è una delle cinque comunità religiose femminili che si trovano in Egitto sotto il carisma della Beata Margherita Caiani. In totale, nell’Egitto a stragrande maggioranza musulmana, le «Minime» sono 25 (due italiane): quotidiani i contatti con la Casa Madre di Poggio a Caiano dove la madre generale e la madre vicaria, suor Agnese e suor Salvatorica, guidano una numerosa comunità di religiose francescane a forte vocazione missionaria: oltre che in Italia e in Egitto, suore «Minime» si trovano in Brasile, in Sri Lanka e – «famose» dopo il tragico assedio del 2002 – a Betlemme, proprio accanto alla Natività.

Ad accomunare le «Minime» egiziane la consapevolezza che la gente musulmana, al cui disinteressato servizio loro sono abituate a essere, è molto affezionata a questa presenza che, ove possibile, evangelizza e opera a servizio degli ultimi. Esiste, comprensibile, un altro tratto comune: un misto di apprensione e di paura, specie dopo i fatti  di Alessandria.

Vicina ad Alessandria (20 km) è la comunità di Kafr el Dawar: 6 suore (una italiana), impegnate in un poliambulatorio specializzato e in una opera di accoglienza con una comunità scolastica che conta 20 fra bambine e adolescenti. «Con la memoria – dicono – ci siamo come ritrovate al tempo delle persecuzioni: non sono mancati momenti di paura, e anche di rabbia, ma sono anche arrivate telefonate di tanti musulmani amici per testimoniarci affetto e la vergogna per quanto procurato dai fanatici». Queste suore sono anche andate all’ospedale di Alessandria «per trovare i feriti e essere segno di una speranza che mai deve diminuire».

Quattro le «Minime», tutte autoctone, che risiedono al Cairo, sede della delegazione e luogo di formazione per l’intera comunità che opera in Egitto. Qui non si avvertono problemi, ma in in città non sono mancate tensioni, vicino alla Cattedrale.

Le altre due comunità sono quella più antica (Esna, dal 1955: 54 km a sud di Luxor, nell’Alto Egitto) e quella più recente (Mansafis, dal 2008: sulla sponda sinistra del Nilo a 250 km a sud del Cairo). A Esna risiedono 5 suore (una italiana): stanno in parrocchia, guidano corsi di taglio-cucito, insegnano l’alfabeto, curano piccole ferite. «Viene spontaneo – racconta una – pensare ai sogni che ogni uomo può fare all’inizio di ogni anno: quella tragica notte i sogni, prima ancora di nascere, sono stati stroncati dalle mani dei terroristi che hanno distrutto e ucciso ma certo non hanno soppresso la fede».

Per le 7 suore, tutte egiziane, che vivono a Esna fra tantissimi musulmani è normale, nel gestire un nido e una materna, accogliere («indistintamente, senza difficoltà di convivenza neppure con le famiglie») piccoli musulmani, ortodossi e cattolici. Le suore cattoliche non distinguono certo fra «nostri» e «loro». Vengono anche accolte ragazze che vivono in situazioni di precarietà materiale e morale.

Lo spirito («di semplicità e letizia») è quello della fondatrice. Ma anche qui, nella Luxor dei templi, «rimane un senso di paura e, nella gente, anche di rancore perché nella nostra zona in tre anni si sono verificati tre incendi in tre chiese cattoliche e lo scorso anno pure un incendio nella nostra casa». Anche qui, però, sono state «tantissime le persone musulmane che, a conoscenza dell’accaduto, ci hanno telefonato per fare condoglianze. E per dirci che il rapporto deve restare normale»”.

La schedaIl termine «copto» deriva dall’arabizzazione del greco «aigyptios» (egizio). Lo si usa per indicare gli egiziani di religione cristiana che, per lo più, si riconoscono nel Patriarcato copto-ortodosso di Alessandria. Questa Chiesa ha origini antichissime. La tradizione la vuole nata dalla predicazione di San Marco. Si separò nel V secolo dagli altri Patriarcati per il rifiuto del Concilio di Caledonia (451) sulle«due nature in una persona», preferendo parlare, con le parole di san Cirillo di Alessandria, di «unica natura del Verbo incarnato». Per questo i copti si definiscono «miafisiti».

Nella Chiesa copta il titolo di Papa spetta al patriarca di Alessandria. Attualmente Shenouda III è il 117° Papa. Nei secoli hanno subito un progressivo processo di arabizzazione e dominazione islamica, che ne hanno fatto una minoranza cristiana perseguitata e, al tempo stesso, paradossalmente forte e tenace.

Nel 1741 un vescovo copto di Gerusalemme, Amba Athanasius, si convertì al cattolicesimo. Papa Benedetto XIV lo nominò vicario apostolico della piccola comunità (circa 2.000 persone) che l’aveva seguito nella sua conversione. Sebbene Athanasius in seguito avesse fatto ritorno alla Chiesa copta ortodossa, una linea di vicari apostolici cattolici continuò dopo di lui e nel 1824 la Santa Sede creò un patriarcato per i cattolici copti. Dopo una lunga serie di Vicari apostolici, fu Leone XII, con la lettera apostolica «Christi Domini» del 26 novembre 1895, a ristabilire il Patriarcato cattolico copto di Alessandria. Dal 2006 è guidata dal patriarca Antonios Naguib.

Dopo il concilio Vaticano II, Chiesa cattolica e Chiesa copta hanno iniziato un cammino ecumenico. Nel 1973 il primo incontro dopo quindici secoli, tra un papa – Paolo VI–  e il patriarca dei copti – papa Shenuda III –. Insieme decisero di iniziare un dialogo teologico, il cui frutto principale è stata la dichiarazione comune del 12 febbraio 1988, che esprime un accordo ufficiale sulla cristologia, mettendo fine a secoli di incomprensione e di reciproca diffidenza.

La valutazione del numero dei copti è difficile: il censimento del 1986 ne dichiara 3.300.000, ossia l’8% degli egiziani. Gli stessi studi specialistici sulle minoranze cristiane in Medio Oriente non riescono a trovare un accordo e presentano cifre che oscillano fra i tre e gli otto milioni.L’immigrazione egiziana in Italia è valutata attorno al mezzo milione di persone. Con una stima del 10% di popolazione copta (forse approssimata per difetto, visto che le recenti difficoltà dei copti in Egitto sono stati uno stimolo alla diaspora) si raggiungerebbe una cifra di 50 mila persone. Tale presenza ha cominciato a farsi sentire dalla metà degli anni 1970, che hanno segnato anche l’inizio di attività pastorali. Dal 1982 è iniziata una presenza a Milano, con una crescita a ritmo esponenziale, che vede oggi due vescovi copti residenti in Italia, un monastero (sede episcopale) a Mettone di Lachiarella presso Milano, più di una decina di parrocchie già funzionanti e altre in formazione. Nel 1995, inoltre, ha preso vita una seconda realtà organizzata della comunità copta ortodossa in Italia, pure essa in comunione con il patriarca Shenouda III in Egitto, ovvero la diocesi di Torino e dintorni, che oltre al capoluogo piemontese comprende Firenze, Bologna, Reggio Emilia, Genova e ha sede a Roma, sotto la gestione di mons. Barnaba El Suriany.