Toscana

Elezioni, cattolici: perché nel centrodestra o nel centrosinistra

Alle elezioni politiche del 4 marzo, le prime con il «Rosatellum», il sistema elettorale che prevede per entrambe le Camere il 64% dei seggi sia eletto con metodo proporzionale e il 36% con collegi uninominali maggioritari a turno unico, corrono in Toscana 16 partiti. In due casi – centrosinistra e centrodestra – troviamo quattro partiti coalizzati a sostegno dei candidati uninominali. Gli altri 8 partiti corrono invece sempre da soli. Ricordiamo che il «Rosatellum» prevede soglie di sbarramento a livello nazionale del 10% per le coalizioni (e al loro interno le liste devono superare il 3% per accedere alla ripartizione dei seggi e l’1% perché i voti siano conteggiati nella somma della coalizione) e del 3% per le singole liste. Pertanto i voti che vanno a formazioni che non raggiungono il 3% a livello nazionale se corrono da sole o l’1% se all’interno di coalizioni  (a parte le liste di minoranze linguistiche) non avranno valore.

Per questo motivo la competizione si riduce nei fatti alle due coalizioni (e non è detto a tutte le liste che le compongono) e ad altri due partiti, il Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali (la formazione nata da una costola del Pd). Certo, l’elettore è libero di sovvertire ogni pronostico, ma al momento sembra assai poco probabile.

Abbiamo chiesto a due editorialisti di Toscana Oggi che sono capolista in due collegi plurinominali toscani, di spiegarci perché hanno scelto l’uno (Pierandrea Vanni) la coalizione di centrodestra e l’altro (Nicola Graziani) quella di centrosinistra.

Pierandrea Vanni: «Una quarta gamba per arginare irrilevanza e diaspora centrista»

Premessa: dopo la scomparsa della Dc era augurabile la nascita di un centro politico autonomo, portatore di un proprio progetto e capace di svolgere un ruolo forse minoritario ma caratterizzato da valori, idealità e proposte chiare. Un centro non ballerino e non banderuola, in grado – in caso di intese elettorali – di compiere scelte univoche, mai subalterne.

Non è inutile ricordare come questa prospettiva sia stata disattesa, mortificata e in qualche occasione persino tradita, al di là dei sistemi elettorali e della loro applicazione.

Le elezioni del 4 marzo vedono, se possibile, il centro politico ancor più diviso e soprattutto a rischio irrilevanza. Di fronte a questa prospettiva, l’intesa che ha portato alla creazione della lista Noi con l’Italia-Udc rappresenta un tentativo di arginare la diaspora centrista e di gettare le premesse per una ripartenza se ci saranno le condizioni dettate dal voto. È evidente che si è posto subito il tema delle alleanze e che la cosiddetta «quarta gamba» ha fatto una scelta, pur avendo su alcuni temi , perche negarlo?, sensibilità e visioni diverse da quelle di altre due gambe dello schieramento. Ma fa la sua parte anche una legge elettorale contraddittoria che non è né maggioritaria né proporzionale ma un’ibrido confuso.

Del resto i due maggiori schieramenti, che si confrontano in questa campagna elettorale, esprimono al loro interno assieme a posizioni e programmi comuni, anche proposte e valutazioni diversificate, se non a volte, divergenti.

Nel centro destra modello 2018, senza quindi un candidato leader condiviso ma anche con altre novità rispetto al passato, c’è bisogno di più centro, come elemento equilibratore, e di moderazione (non di moderatismo). Questo centrodestra nasce dal no al referendum costituzionale e dalla consapevolezza che il Paese ha bisogno di cambiamenti ma non di riforme come quella del Senato che in nome di un’efficienza tutta da dimostrare escludeva la partecipazione diretta dei cittadini. Cosi come nasce dalla consapevolezza che o l’Europa cambia veramente, sceglie la strada dello sviluppo e della lotta agli squilibri e limita fortemente il potere della burocrazia di Bruxelles, oppure è destinata a favorire ancor di più populismi e antieuropeismi. E nasce, per limitarsi ad un terzo esempio, dalla necessità di tradurre in scelte concrete, responsabili ma rapide, gli slogan elettorali che si ripetono da anni sulla diminuzione delle tasse (soprattutto per il ceto medio) e su maggiori tutele per i ceti deboli.

Non scelte ideologiche, dunque, non riproposizioni di alleanze del passato e nemmeno personalizzazioni oggi superate, ma un modello nuovo, pragmatico, progettuale, che quando si dichiara alternativo alla sinistra non si affida ad un semplice slogan ma è capace di realizzare politiche diverse da quelle che il centro sinistra ha realizzato in molti campi soprattutto negli ultimi anni, dalla scuola alla giustizia, dall’occupazione alle Province.

Pierandrea VanniCapolista di «Noi con l’Italia-Udc» Toscana 3 – Camera Plurinominale

Nicola Graziani: «Ce l’ha insegnato De Gasperi: al centro, guardando a sinistra»

Innanzitutto, c’è di mezzo un dovere. Quello che Papa Francesco, ancora lo scorso aprile, ha definito con queste parole pronunciate in un incontro con l’Azione Cattolica: «Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e la giustizia sociale». Questo spiega già in parte la mia scelta, perché è evidente che una crisi economica mondiale dalla quale non siamo ancora usciti (si guardi l’andamento di Wall Street) richieda l’impegno verso tematiche sociali che mantengano al loro centro non l’individuo o la collettività (concetti non lontani dal materialismo e da un’idea libertaria dell’uomo) ma la persona umana.

Altra possibile declinazione dell’appello bergogliano è la difesa dei valori della convivenza civile, contro la cultura dell’esclusione. Viviamo in momenti in cui il «noi prima degli altri» rischia di essere prevalente sul bene comune, dall’America first così di moda a Washington al sovranismo e al populismo imperanti in campi che non sono quello in cui ho scelto di propormi. L’Italia e l’Europa sono da almeno un paio d’anni terreno di coltura di culture fascistoidi. Sono versiliese, e da ragazzo ogni anno mio padre mi portava a Sant’Anna di Stazzema così come io vi ho portato i miei figli: so che certi orrori hanno radici lontane, spesso difficilmente riconoscibili a prima vista ma sempre adeguatamente innaffiate da chi agita gli animi per suscitare la paura. Pensare che le altre religioni siano di per sé fuori della Costituzione è il primo passo per aprire fasi persecutorie da cui gli stessi cattolici finirebbero schiacciati.

La miglior difesa delle istituzioni democratiche, da questo punto di vista, è il rafforzamento del ceto medio e della struttura che ne è alla base: la famiglia. Non credo, sinceramente, che le false promesse in materia fiscale o l’elargizione di qualche bonus risolvano il problema. Fisco e welfare, sanità e assistenza vanno declinate in modo diverso ed inclusivo. L’ambiente va difeso strenuamente. Non posso trattenermi dal dire che esattamente 100 anni fa la mancanza di vaccini uccisero in Europa decine di milioni di persone, quante la Prima Guerra Mondiale. Cento anni dopo non possiamo accettare che prevalga la non cultura di chi vede nei vaccini un pericolo per l’umanità, e mi stupisco che la questione possa essere ancora oggetto di discussione.

Ultimo punto: l’avere io scelto di stare al centro del centrosinistra non è un caso. Diceva Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy, che le grandi democrazie le si governano da lì, spostati di un grado a sinistra rispetto al centro. Una posizione che permette di essere aperti al nuovo, senza cedere alla tentazione di gettare via il bambino insieme all’acqua sporca. De Gasperi, non a caso, definiva la vecchia Democrazia Cristiana come un partito di centro che guarda a sinistra. È lui che ci indicò la strada, tanto tempo fa.

Chiudo con un’osservazione che mi suggerisce l’aver citato il più grande politico italiano del Novecento: se non è questo tempo di unità in politica, è sempre tempo di aggregazione e cammino comune. Per cui a chi sceglie un percorso diverso dal mio dico: niente di male, ritroviamoci dopo il 5 marzo. Quel che ci unisce è più importante di quel che ci divide. Chi vuole proseguire la conversazione mi contatti a questa email: graziani2018@gmail.com. Sarà un bel ragionare.

Nicola GrazianiCapolista di «Civica popolare» Toscana 4 – Camera Plurinominale