Toscana

GIORNO MEMORIA, FIRENZE, LE PAROLE DI 3 SOPRAVVISSUTE DAVANTI A 5 MILA STUDENTI

“Vedevo gli uomini che stavano per morire e che mi supplicavano, se mi fossi salvata, di raccontare la loro storia. E così ho fatto”. A parlare è la scrittrice e poetessa ungherese Edith Bruck, da oltre cinquant’anni residente in Italia e deportata a 12 anni nei lager nazisti di Dachau, Auschwitz e Bergen-Belsen. Insieme ad altre due sopravvissute dei campi, Tatiana Bucci e Vera Michelin Salamon, ha parlato davanti a circa cinquemila giovani riuniti al Mandela Forum di Firenze in occasione del giorno della memoria.

Le tre sopravvissute hanno parlato su un palco allestito al centro del Mandela Forum circondato da teli bianchi e da schermi appesi dal soffitto da dove la loro immagine e la loro voce arrivava in tutta la struttura, come un monito. Attorno a loro i ragazzi ascoltavano nel silenzio e nell’oscurità, applaudendo per sottolineare i passaggi più significati dei racconti commossi delle tre donne.

“Ad Auschwitz non si lavorava – ha raccontato Bruck – ma si moriva. Di fame, di stenti, di freddo, si moriva per nulla. Occorre insegnare ai giovani che si moriva per il razzismo e per il disprezzo per il diverso, dirgli delle migliaia di ebrei, zingari, handicappati che erano rinchiusi nei 1600 campi di concentramento della seconda guerra mondiale”. “Anche nel buio più totale si può trovare la luce – ha continuato -. Io non ho mai perso la speranza e nei lager la mia luce erano a volte tedeschi più ‘gentili’, che magari mi chiedevano come mi chiamassi, a me che lì dentro ero sempre un numero, il 11552, mi regalavano una patata o un guanto bucato”.

La lezione di Bruck è soprattutto una lezione d’amore. “Non ci amiamo abbastanza – ha detto -. Solo amandoci l’un l’altro possiamo migliorare il mondo. E anche oggi, in questa Europa smemorata dove continuano la violenza e l’antisemitismo con personaggi con Haider e Le Pen, dove pure Auschwitz sembra passato invano, occorrono l’amore e la speranza”.

“La salvezza per me è stata la raccomandazione di mia madre – ha raccontato Bucci – che ad Auschwitz ogni giorno pregava me e mia sorella Andra di non dimenticare il nostro nome né di essere italiane”. Tatiana e Andra ce l’hanno fatta, il piccolo cugino Sergio no. Trasferito da Auschwitz in un campo ad Amburgo, è diventato “oggetto di sperimentazione per la tubercolosi” e poi, dopo molte sofferenze, è stato ucciso in un eccidio ad Amburgo, impiccato insieme ad altri bambini radunati lì dalle Ss. “Il fazzoletto che porto al collo era quello con il quale nei lager venivano indicati i prigionieri politici – ha detto Michelin Salamon, detenuta in Germania dall’aprile del 1944 alla liberazione del maggio 1945 per aver distribuito volantini contro l’occupante tedesco davanti alle scuole -, avevo 20 anni allora e nonostante fossi stata educata alla scuola fascista capii che non potevo stare zitta. Dei campi di concentramento – ha concluso – ricordo soprattutto il silenzio degli uccisi e il pianto delle donne”.

Poi hanno parlato il presidente della Regione Toscana Claudio Martini, il sindaco di Firenze Leonardo Domenici e il vicepresidente nazionale dell’Unione province Massimo Logli. Martini ha ricordato le sensazioni provate negli anni passati quando, con i viaggi organizzati dalla Regione per gli studenti, ha visitato i campi di concentramento: “Ho sentito il gelo della disumanità – ha detto Martini -, ma ho anche sentito il calore dei giovani. Ne ho visti tanti piangere e mi sono detto che il futuro della Toscana è in buone mani”. (ANSA)