Toscana

Il Natale negato

di Claudio TurriniAlle elementari di Rebbio e Grandate, in provincia di Como, in una strofa natalizia si pensa di sostituire la parola «Gesù» con «virtù». Alle elementari di Cialdi (Treviso) si decide di rappresentare «Cappuccetto rosso» al posto dei canti natalizi e del presepio. Ma anche la Toscana non è da meno. In molte scuole alla recita natalizia non si rinuncia, ma invece che «Tu scendi dalle stelle» o «Adeste Fidelis» si fa cantare «Blowin’ in the wind» di Bob Dylan, o «Stella» di Antonello Venditti. E se nel repertorio si mantiene qualcosa di tradizionale, come «L’albero di Natale», ecco che si sostituiscono le strofe troppo «compromettenti». Invece di insegnare che «Fra i canti degli arcangeli / ritorna il Bambinello, / riposa nel presepe, / lo scalda l’asinello…» le maestre hanno preferito il più politically corrrect, ma anche insignificante, «Oh albero, bell’albero / magia di Natale…».

Purtroppo non c’è nulla di nuovo. Nelle scuole italiane sono anni che un malinteso senso di rispetto per le minoranze sfocia nell’assurdo. Il 23 dicembre si va in vacanza fino al giorno dopo l’Epifania, ma guai a spiegare agli alunni perché. Si aprono le aule a riti consumistici di dubbia origine, come quello di Halloween, ma ci si scandalizza se una maestra fa fare in classe il presepio.

Quest’anno però, per quei meccanismi un po’ strani che regolano la comunicazione, il «Natale negato» ha fatto scalpore. Paginate intere sui giornali e interrogazioni politiche. Dai microfoni del Tg1 è sceso in campo anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Camillo Ruini, che ha invitato esplicitamente «tutti gli italiani» a opporsi alla rimozione dei presepi dalle scuole. Al giornalista che gli chiedeva se con la proposta di sostituire Gesù Bambino con «Cappuccetto Rosso» non si esagerasse il porporato ha risposto: «Si esagera in modo radicale e non ci si rende conto di quello che si fa. Queste cose possono apparire piccole, ma lo spirito che sta dietro è radicalmente sbagliato».

Alla Camera il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi ha dovuto rassicurare che il governo tiene a «quei segni anche esteriori che sono segno di appartenenza alla nostra comunità nazionale, alle nostre radici, alla nostra storia, alla nostra tradizione». E passando in rassegna i casi più eclatanti ha chiarito che alcuni si sono ridimensionati da sé, come nella scuola di Como, dove c’è stato «un chiarimento fra le componenti scolastiche». In altri, invece, come all’elementare «Ciardi» di Treviso, dopo l’intervento dell’«ufficio scolastico regionale» gli insegnanti hanno assicurato che «anche quest’anno, nel rispetto della programmazione di istituto e non solo nelle ore di religione, gli allievi leggono, scrivono, disegnano l’evento di Natale, imparano a collocare nel tempo e nello spazio i fatti accaduti, cercando sulla carta geografica la città di Betlemme ed osservando i francobolli recenti che riportano la nascita di Gesù, i pastori, l’arrivo dei Re Magi in Oriente».

Certo sarebbe assurdo che tutte le scuole fossero obbligate ad allestire un presepio, ma altrettanto inconcepibile è la sordina calata su ogni riferimento religioso. Per dirla ancora con il ministro Giovanardi, «si tratta di mettere insieme, fin dalle elementari, due cose importantissime: il fatto di non rinunciare, non abdicare alle nostra storia, alle nostre radici, alle nostre tradizioni, a radici millenarie, nel costume del nostro paese e il fatto di essere aperti all’integrazione di persone che vengono da altri paesi e devono integrarsi al massimo nelle nostre società, pur non rinunciando alle loro convinzioni religiose».

Anche perché l’«alibi» della crescente presenza di alunni extracomunitari non regge. Esponenti musulmani, ad esempio, hanno chiarito come per loro il presepio non costituisca affatto un problema. «Forse i presidi e gli insegnanti che nel nome del relativismo culturale hanno ritenuto opportuno abolire il presepe, l’alberello e Babbo Natale nelle scuole italiane, per non urtare una supposta suscettibilità degli studenti musulmani, – ha scritto sul Corriere della Sera Magdi Allam – non conoscono i versetti del Corano (Sura III 45-46) che recitano: “E quando gli angeli dissero a Maria: O Maria, Dio t’annunzia la buona novella d’una Parola che viene da Lui, e il cui nome sarà il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’altro e uno dei più vicini a Dio. Ed egli parlerà agli uomini dalla culla come un adulto, e sarà dei Buoni”». E forse anche tanti cristiani non sanno che oltre il 4 per cento dei versetti del Corano parlano di Gesù.

La riprova che quest’alibi non regge arriva dalla Toscana. A Prato, alla «Cesare Guasti», la scuola più multietnica della regione, dove è straniero un alunno su tre, nessuna censura sul Natale che viene invece inserito all’interno di un cammino di integrazione culturale. E a Firenze, all’Istituto tecnico agrario, all’interno di «Coltiviamo la pace», un progetto di cooperazione con Taybeh (l’antica Efraim), il 23 dicembre gli studenti riceveranno gli auguri di Natale dal rabbino Levi, dall’imam Izzedin e da un sacerdote in rappresentanza della Diocesi.

Il sondaggioSan Giuseppe e Magi questi sconosciutiGli angeli, i pastorelli, San Giuseppe e i Re Magi, sono ormai dei simboli quasi sconosciuti per molti bambini italiani. Babbo Natale resiste invece nella memoria dei più piccoli. Secondo un recente sondaggio di Eta Meta, solo il 26% dei bambini conosce bene i personaggi del presepio e la storia della Natività. Per il 65% dei piccoli intervistati il Natale è associato alla figura di Babbo Natale, e per il 61% all’abete natalizio. Lo studio è stato condotto tramite 5 focus group, gestito da alcuni psicologi che hanno coinvolto 125 bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni e 90 interviste a psicologi ed educatori. La scheda: le tradizioni del NataleDa Francesco in poi la rappresentazione della Natività diventa un’arteNonostante che rappresentazioni della nascita di Gesù siano presenti nell’arte cristiana almeno fin dal V secolo, solitamente si fa risalire l’invenzione del presepio a San Francesco che nel Natale del 1223 organizzò a Greccio, vicino Rieti, un presepio vivente, diventato celebre anche perché riprodotto da Giotto in un affresco, ma secondo alcuni storici la tradizione sarebbe precedente. Il termine «presepio» deriva dal laitno «praesepe» o «praesepium», che significa «recinto chiuso». Uno dei primi presepi stabili fu realizzato attorno al 1280 ad opera di Arnolfo di Cambio nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. È san Gaetano da Thiene ad inserirvi personaggi secondari in modo da renderlo più «popolare». Poi, in epoca barocca, la scenografia diventa più teatrale. Nel ‘600 e ‘700 gli artisti napoletani danno alla sacra rappresentazione un’impronta naturalistica inserendo la Natività nel paesaggio campano ricostruito in scorci di vita che vedono personaggi della nobiltà, della borghesia e del popolo rappresentati nelle loro occupazioni giornaliere. Moltissime chiese, cappelle e, presto, anche ricche dimore signorili, accolsero presepi artistici realizzati spesso da grandi maestri. L’Albero addobbato: dalla Germania alle corti europeeL’albero di Natale è una tradizione che ci viene dai Paesi nordici, forse collegato alla festa di Adamo ed Eva celebrata in Germania il 24 dicembre. Era considerato l’«albero del Paradiso» e frutti simbolici pendevano dai suoi rami. Più tardi, sulla sua cima venne fissata una stella. La prima notizia certa è però del 1605 quando una cronaca di Strasburgo annota: «Per Natale i cittadini si portano in casa degli abeti (“Dannenbaumen”), li mettono nelle stanze, li ornano con rose di carta di vari colori, mele, zucchero, oggetti di similoro». Poi, a questi alberi di frutta si preferì sempre di più l’abete, il «Tannenbaum», che è sempreverde; secondo una leggenda lo avrebbe fatto diventare così Gesù stesso, come dono per avergli offerto rifugio mentre era inseguito dai nemici. Johann Wolfgang Goethe rese famoso l’albero di Natale citandolo nell’opera «I dolori del giovane Werther». In quell’epoca nasce anche la famosissima canzone «Oh Tannenbaum, oh Tannenbaum», la canzone natalizia più cantata in tutta la Germania. Nel 1841, con l’arrivo alla corte inglese di Alberto di Sassonia, marito di origine tedesca della regina Vittoria, l’usanza di addobbare un abete di Natale si diffuse rapidamente in Inghilterra e poi in tutto il mondo. Verso la fine dell’800 questa moda dilagò in tutte le corti europee. Anche la Regina Margherita (1851-1926), moglie del re Umberto I, ne fece allestire uno, in un salone del Quirinale. La novità piacque moltissimo e l’albero divenne di casa tra le famiglie aristocratiche italiane. In Italia si è diffuso a livello popolare soprattutto dal dopoguerra. È stato Giovanni Paolo II, nel 1982 ad introdurlo nel rituale natalizio di piazza San Pietro: da allora, ogni anno, accanto ad un presepio, viene anche collocato un grande abete addobbato. Quest’anno l’abete, di circa 110 anni e alto 32 metri, proviene dal comune di Pinzolo in Trentino ed è stato portato a Roma con un elicottero militare. E Santa Klaus fu «vestito» dalla Coca ColaIl personaggio di «Babbo Natale» ci viene dall’America pur facendo riferimento ad un santo della tradizione europea, San Nicola, nato a Patara, in Turchia, da una ricca famiglia, nel IV secolo e partecipante come vescovo di Myra al Concilio di Nicea nel 325. Quando morì le sue spoglie furono deposte a Myra, fino a che nel 1087 vennero trafugate da un gruppo di cavalieri italiani travestiti da mercanti e portate a Bari dove sono tutt’ora conservate. Nella fantasia popolare divenne un «portatore di doni», compito eseguito grazie ad un asinello nella notte del 6 dicembre (San Nicola) o nella notte di Natale. Furono gli immigrati tedeschi e olandesi a introdurre questa tradizione in America dove il nome passò da Nikolaus o Sinter Klass (in olandese) a Santa Claus. Deve però la sua fortuna al romanzo di Clement Moore, «Una visita di San Nicola», del 1822. È nelle rielaborazioni ottocentesche che si aggiunge anche una slitta trainata da renne. Nel 1860 un caricaturista americano, Thomas Nast, lo ridisegnò dandogli quello che pressapoco è il suo aspetto attuale con il mantello rosso bordato di pelliccia bianca e una grossa cintura nera, e ne indicò anche la residenza ufficiale: il Polo Nord. Ma l’aspetto definitivo lo prese con le illustrazioni di Sundblom per la campagna pubblicitaria della Coca Cola nel 1931. Fino ad allora era stato variamente dipinto con abiti blu, gialli, verdi o rossi. Dopo le pubblicità della bibita, invece, Babbo Natale sarebbe sempre stato un uomo enorme, grasso, con stivali neri fino all’anca, sempre rigorosamente vestito di rosso Coca-Cola. Il concorsoDopo il successo delle prime due edizioni torna anche quest’anno nella diocesi di Firenze «Capannucce in città», il concorso per rilanciare la tradizione del presepio nelle case dei fiorentini. «L’idea che anima l’iniziativa -– sottolinea il presidente del comitato organizzativo, Paolo Blasi – è quella di valorizzare una tradizione che rischia di restare soffocata dagli aspetti materialistici: la Capannuccia è uno strumento per mettere Gesù al centro del Natale». Il meccanismo è semplice: i ragazzi sono invitati a segnalare il proprio presepio al parroco o al catechista, saranno le parrocchie poi a indicare uno o due presepi particolarmente meritevoli. Tutti i partecipanti comunque riceveranno un riconoscimento, il giorno dell’Epifania, nella chiesa di Orsanmichele.

Prato, scuola multietnica ma il presepio si fa

Intervista a Margiotta Broglio: «Assurdo obbligare, basta il buon senso»

PRESEPIO A SCUOLA: MORATTI, NON TOGLIETELO DA VITA STUDENTI

L’integrazione interculturale. Messaggio del papa per la giornata migranti 2005

GIOVANNI PAOLO II: PRESEPE UN SEGNO DI FEDE IN DIO

PRESEPI, A FIRENZE UN CONCORSO PER PREMIARE CHI LO FA

Albero o presepe? Vai al sondaggio