Toscana

Immigrati, i Centri di identificazione ed espulsione

Il 19° Dossier statistico 2009 sull’immigrazione redatto da Caritas-Migrantes, riportava i dati degli stranieri irregolari: nel 2008 sono state 36.951 le persone sbarcate sulle coste italiane, 17.880 i rimpatri forzati, 10.539 gli stranieri transitati nei centri di identificazione ed espulsione e 6.358 quelli respinti alle frontiere. Non si tratta neppure di un cinquantesimo rispetto alla presenza di immigrati regolari in Italia, eppure il contrasto dei flussi irregolari ha monopolizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e le decisioni politiche; tanto più che il rapporto tra allontanati e intercettati è di 34 ogni 100, il più basso dal 2004, e si registra una crescente confusione tra immigrati clandestini, irregolari, richiedenti asilo e persone aventi diritto alla protezione umanitaria. In Italia il sistema di accoglienza viene realizzato attraverso tre diverse tipologie di centri i Cie (Centri di identificazione e espulsione) per migranti senza permesso di soggiorno, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo e migranti (Cara) e i Centri di accoglienza (Cda).

Nel mese di gennaio Medici senza frontiere ha presentato un indagine realizzata, in base ad una autorizzazione del Ministero degli interni tra il 2008 e 2009, sulle condizioni socio-sanitarie, lo stato delle strutture, le modalità di gestione, gli standard dei servizi erogati e il rispetto dei diritti. La ricerca ha fatto emergere numerosi rilievi rispetto alla carenza di contatti con il Servizio sanitario nazionale, insufficiente assistenza sanitaria, legale, sociale e psicologica, diffusi segnali di profondo malessere tra i trattenuti: autolesionismi, risse, rivolte, richieste di sedativi, ripetuto ricorso ai servizi sanitari. In questi centri convivono in condizioni di promiscuità categorie di persone estremamente eterogenee, con esigenze fondamentali e caratteristiche altrettanto diverse e spesso appartenenti a categorie vulnerabili, quindi bisognose di accedere a percorsi individuali di aiuto. Inoltre manca un quadro di riferimento gestionale che definisca gli standard qualitativi lasciando la gestione alla buona volontà e alla capacità dei singoli gestori, con un approccio emergenziale.

Il sistema è ancora caratterizzato da scarsa trasparenza come testimoniato dal rifiuto del Ministero dell’interno di rendere disponibili a Msf le convenzioni stipulate tra i singoli enti gestori e le locali Prefetture. L’impressione che queste realtà siano avulse dal contesto territoriale mancando completamente di controlli esterni e regolati da semplici relazioni inviate alle prefetture di competenza: i servizi sanitari erogati all’interno non sono monitorati dalle aziende sanitari locali; nei Cie solitamente non vi sono attività ricreative che possano occupare i trattenuti, obbligandoli a un’inattività forzata per tutto il periodo di detenzione. Una carenza che rischia di rivelarsi esplosiva soprattutto con l’estensione del periodo massimo di detenzione a 180 giorni (6 mesi) avvenuta con il recente decreto sulla sicurezza, già aspramente criticato dalla Fondazione Migrantes, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Acli, Fondazione Centro Astalli, Comunità Papa Giovanni XXIII in un appello ai parlamentari che denunciavano nell’aumento dei tempi di detenzione lo sperpero di risorse e l’incremento di sofferenza determinata dall’inutile privazione della libertà stante che l’esperienza dimostra come le verifiche necessarie a valutare l’effettiva espellibilità, dai Centri di permanenza, di un soggetto si esauriscano mediamente in un tempo molto inferiore (tra i 30 e i 60 giorni). La situazione appare paradossale dal momento che l’esperienza dei Cie era stata già ritenuta superata dalla commissione istituita dal Ministero degli interni nel 2006, secondo la quale il sistema attuale di trattenimento non risponde alle complesse problematiche del fenomeno non consente una gestione efficace della immigrazione irregolare, comporta disagi alle forze dell’ordine, nonché disagi e frustrazioni alle persone trattenute, comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati.

Si deve poi ricordare che la Commissione richiama la necessità che i provvedimenti di allontanamento, espulsione e respingimento, siano configurati soltanto come extrema ratio nella disciplina dell’immigrazione. In particolare la Commissione evidenziava l’esigenza di diversificare le proposte per categorie di persone, gradualità e proporzionalità delle misure di intervento, incentivazione della collaborazione tra l’immigrato e le autorità coinvolgimento della società civile alla gestione del fenomeno e rendendo più trasparente la loro gestione. La risposta data dal legisltarore è stata l’estensione dei tempi di permanenza.

LA SCHEDA

PremessaIl provvedimento di trattenimento presso un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) è adottato dal questore quando non sia possibile eseguire immediatamente l’espulsione con accompagnamento alla frontiera o il respingimento per la necessità di soccorrere lo straniero, per la necessità di accertamenti sull’identità o la nazionalità, per la necessità di acquisire documenti per il viaggio, per la mancanza di vettore o di altro mezzo idoneo.

Il provvedimento di trattenimento è adottato anche in attesa della convalida dell’accompagnamento se è impossibile il trattenimento in questura.

Sono, inoltre, trattenuti nei Cie coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione, ad esclusione dell’espulsione a causa di ingresso clandestino o di trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto richiesta del permesso di soggiorno

Durata del trattenimentoIl trattenimento in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) è consentito per il tempo strettamente necessario e comunque per 30 giorni prorogabile, da parte del giudice, di altri 30 giorni, in presenza di gravi difficoltà relative all’accertamento dell’identità e della nazionalità dello straniero, o all’acquisizione di documenti per il viaggio.

La legge n. 94/2009 ha previsto la possibilità di due ulteriori proroghe, di 60 giorni ciascuna, in presenza di due condizioni, tra loro alternative: la mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino straniero o il ritardo nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi.

Di conseguenza, la permanenza complessiva massima, pari in precedenza a 60 giorni è ora prolungata a 180 giorni.

In particolare, il secondo prolungamento di 60 giorni può essere richiesto qualora non sia possibile procedere all’espulsione in quanto, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, persistono le condizioni ora indicate (mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo; ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi).

Come già previsto per la prima proroga, per le proroghe ulteriori è necessario l’intervento del giudice su richiesta del questore e il questore può eseguire l’espulsione o il respingimento anche prima dello spirare del nuovo termine di trattenimento.

Modalità di adozione del provvedimento di trattenimento. ConvalidaLa copia degli atti relativi al trattenimento è trasmessa entro 48 ore al giudice di pace territorialmente competente, da parte del questore, per la convalida; la competenza è del tribunale, ai sensi della legge n. 271/2004, se risulta pendente un giudizio in materia di diritto all’unità familiare o per la tutela dello sviluppo psicofisico del minore.

Il provvedimento di trattenimento nel Cie è comunicato allo straniero, con sintesi in lingua a lui comprensibile o, se non è possibile, in inglese, francese o spagnolo, e con informazione sul diritto di essere ammesso, se ne ricorrono le condizioni, al gratuito patrocinio a spese dello Stato e all’assistenza del difensore di fiducia (o, in mancanza, del difensore d’ufficio) in sede di udienza di convalida.

L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio, con la partecipazione del difensore, dell’interessato, dell’interprete e del rappresentante dell’Ufficio immigrazione della Questura.

Il giudice convalida il provvedimento, con decreto motivato, entro le 48 ore successive, verificata l’osservanza dei termini e la sussistenza dei requisiti per i provvedimenti di espulsione e di trattenimento. In caso contrario, il provvedimento perde efficacia e lo straniero può uscire dal Cie. È ammesso il ricorso in Cassazione, che non ha effetto sospensivo, contro il provvedimento di convalida.

La direttiva rimpatriIl Parlamento europeo ha approvato, il 18 giugno 2008, la direttiva 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

In particolare prevede di dare la priorità ai rimpatri volontari – stabilendo tra l’altro che una decisione di rimpatrio deve anzitutto fissare un periodo congruo per la partenza volontaria che abbia una durata compresa tra sette e trenta giorni – e fissa le modalità per quelli obbligatori (tali misure dovranno essere proporzionate, non potranno eccedere un uso ragionevole della forza e dovranno essere attuate, conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale, in ottemperanza ai diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino).

I provvedimenti di allontanamento possono comportare un divieto di reingresso per non più di 5 anni, se non è stato concesso il periodo di ritorno volontario o se l’obbligo di rimpatrio non è stato rispettato. D’altra parte, è prevista la possibilità di prolungare oltre i cinque anni tale divieto se il cittadino in questione rappresenta una grave minaccia per l’ordine pubblico, per la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale.

Gli Stati membri possono però astenersi dall’imporre un divieto di ingresso, revocarlo o sospenderlo in singoli casi, per motivi umanitari o per altri motivi.

La detenzione temporanea nei centri di permanenza che oggi varia dai 32 giorni della Francia ad un periodo illimitato in ben sette Paesi, in futuro potrà arrivare ad un massimo di sei mesi. Ai quali potranno aggiungersi altri 12 mesi, ma solo a certe condizioni quali la non cooperazione del clandestino o l’eccessiva lentezza della pubblica amministrazione del Paese terzo interessato.

La permanenza nei centri è consentita soltanto per preparare il rimpatrio e/o per effettuare l’allontanamento, in particolare quando ci sia pericolo di fuga o la persona ostacoli il proprio rimpatrio.

Per quanto riguarda le condizioni di vita nei centri di permanenza temporanea (ora centri di identificazione ed espulsione) i cittadini trattenuti in un centro devono avere la possibilità di entrare, a tempo debito, in contatto con i familiari e le autorità consolari.

Inoltre, anche le organizzazioni nazionali, internazionali e non governative devono avere la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea, previa autorizzazione. Particolare attenzione deve essere prestata alla situazione delle persone vulnerabili e vanno assicurati le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie.

Gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepirla (ma non la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca che godono di clausole di opt-out).

La legge n. 94/2009 ha istituito, presso il Ministero dell’interno, un Fondo rimpatri per finanziare le spese di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine o di provenienza. Al Fondo è assegnato la metà del gettito del contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, nonché i contributi eventualmente disposti in sede comunitaria per le medesime finalità.

L’altra metà del gettito del contributo per il permesso di soggiorno sarà utilizzata per le spese relative alle attività istruttorie di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno.