Toscana

Immigrazione: conoscenza e solidarietà

Come mai quest’anno il dossier statistico Caritas-Migrantes presenta questo sottotitolo «Immigrazione: conoscenza e solidarietà»? Lo abbiamo chiesto a don Gianromano Gnesotto, direttore nazionale Migrantes per gli immigrati e i profughi.

«Con questo slogan, il Dossier Statistico di quest’anno – spiega Gnesotto – dà il senso di un impegno che la Caritas e la Migrantes portano avanti da due decenni con questa pubblicazione, vale a dire che conoscere in maniera il più possibile reale la consistenza e le caratteristiche degli immigrati presenti in Italia è una base necessaria per fare spazio alla solidarietà e all’accoglienza».

In questi mesi cresce l’allarme clandestini, da questo punto di vista qual è il contributo portato dal Dossier?

«C’è una prospettiva mediatica che è fuorviante quando continua ad inquadrare il fenomeno migratorio nell’ottica dell’irregolarità e degli sbarchi irregolari. Basti pensare che gli sbarchi sulle coste italiane coinvolgono meno dell’1% delle presenze regolari, e che oltre la metà delle persone sbarcate sono richiedenti asilo, quindi persone meritevoli di protezione secondo le convenzioni internazionali e la Costituzione italiana. Il Dossier è dunque un sussidio a disposizione di quanti vogliono farsi carico di una seria opera d’informazione, per certi aspetti anche di controinformazione».

Qual è la crescente minaccia che dovremo affrontare?

«Se non iniziamo a parlare bene dell’immigrazione a partire dai dati significativi e positivi brevemente illustrati, ma ci adagiamo sul negativo di alcuni fatti di cronaca e sui discorsi legati all’irregolarità, resteremo incapaci di gestire responsabilmente l’Italia che si va costruendo, nella quale già adesso 1 ogni 14 abitanti è un cittadino straniero regolarmente soggiornante. Intanto l’immigrazione, che continua ad aumentare a ritmi serrati con 300/400 mila unità l’anno, mostra di essere connaturale alla crescita del nostro Paese. La vera emergenza, stando alle statistiche, è il catastrofismo migratorio, l’incapacità di prendere atto del ruolo assunto dall’immigrazione nello sviluppo del nostro Paese».

Quindi potremmo dire l’immigrazione come risorsa?

«Tra i fattori di positiva presenza degli immigrati, va sottolineato che diventano essi stessi creatori di posti di lavoro. I titolari d’impresa con cittadinanza straniera, aumentati del 10% anche in questa fase di crisi, sono attualmente 187 mila. Se ad essi aggiungiamo un numero quasi uguale di soci e amministratori e circa 200 mila dipendenti, arriviamo a una realtà occupazionale di mezzo milione di persone. Allo stesso tempo va detto che la riflessione sull’immigrazione resta incompleta se limitata all’utilità dei lavoratori immigrati, mentre va estesa alla sua considerazione come nuovi cittadini. Va ricordata la lezione dei nostri connazionali all’estero e la considerazione critica espressa dalla nota frase di Max Frish: “Abbiamo cercato braccia, sono arrivati uomini”. Per un’inclusione reale nelle nuove società, il rispetto dei diritti umani diviene la strada maestra e allo stesso tempo porta ad un più efficace contributo degli immigrati. La persona con la sua dignità unica deve rimanere al centro di ogni politica. L’attuale impostazione normativa italiana considera l’immigrato come un lavoratore, che può fare ingresso nel territorio italiano per sostare per un periodo che supera i tre mesi solo se ha un contratto di lavoro, peraltro secondo una modalità non facilmente praticabile. È un’impostazione mutuata dal concetto di immigrato come di “lavoratore ospite”, che ha creato problemi anche ai nostri italiani emigrati in Svizzera e Germania, e che ha generato la frase prima ricordata di Max Frish».

Le recenti normative sull’immigrazione contrastano con questa visione?

«Ci rendiamo conto che siamo di fronte ad una sfida culturale, comprendendo nell’accezione cultura anche l’imprescindibile aspetto religioso. La questione culturale ha una sua esasperazione nel nuovo reato previsto dall’attuale normativa sulle migrazioni: il “reato di clandestinità”. Una fattispecie di reato, problematizzata dai costituzionalisti, inefficace nelle misure penali previste, ma operazione che può minare uno dei valori fondanti la società civile, oltre che cristiana, postulando il “reato di solidarietà”. In aggiunta mettiamo l’incitamento alla delazione, ponendo un primario atteggiamento di sospetto e di rivalsa nello stesso tessuto sociale».

Gli italiani nel mondoIl 19 novembre è stato presentato il rapporto «Italiani nel mondo 2009». Basta osservare i numeri riportati nel rapporto per capire l’attualità dell’affermazione del presidente Napolitano: «Non dimentichiamo di essere stati un Paese di emigrazione». Il numero degli italiani residenti all’estero (3.915.767) è all’incirca pari a quello dei cittadini stranieri residenti in Italia (3.891.295).

Il numero degli italiani nel mondo non è stabile e cresce sia per la partenza di nuove persone dall’Italia, meno numerosi rispetto al passato (circa 40 mila l’anno) ma con una preparazione più elevata e per questo si parla di un salasso di laureati, sia, in misura più consistente, per crescita interna delle collettività (figli di italiani o persone che acquistano la cittadinanza per discendenza italiana). Contrariamente a quanto spesso si pensa, non si tratta di una realtà in diminuzione. Le donne sono il 47,6% (1.864.120).

La ripartizione continentale conferma una prevalenza euro-americana: Europa (2.184,534, il 55,8%), America (1.520.652, il 38,8%), Oceania (126.413, il 3,2%), Africa (51.232, l’1,3%) e Asia (32.936, lo 0,8%). Nella graduatoria dei primi dieci paesi si inseriscono 3 continenti (Europa, America, Oceania), con grande diversità di latitudine, longitudine, storia e cultura. I primi tre paesi sono la Germania, l’Argentina e la Svizzera, seguiti da Francia, Brasile, Belgio, Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia.

I connazionali residenti all’estero incidono sul totale della popolazione italiana per il 6,6%. Paradossalmente solamente poco più della metà degli italiani residenti all’estero (57%) è effettivamente emigrata, spostandosi dall’Italia nei paesi di emigrazione dove ha poi deciso di stabilirsi definitivamente; più di un terzo, invece, è nato all’estero (36%) e il 2,9% è iscritto all’Aire per acquisizione della cittadinanza italiana, il che nella quasi totalità dei casi equivale alla nascita all’estero.

In conclusione mons. Piergiorgio Saviola, direttore della Fondazione Migrantes, in relazione a quanto riportato dal Rapporto Italiani nel Mondo 2009 afferma che bisogna superare il disinteresse nei confronti degli italiani all’estero e «un impegno conoscitivo ben concepito altro non deve fare se non recuperare il passato e servirsene per meglio comprendere il futuro, senza con questo lasciar intendere che, essendo ormai l’Italia un paese di immigrazione, sia finito il tempo di occuparsi degli italiani  all’estero». È importante che l’«Altra Italia», quella che vive all’estero, non sia (o non rimanga) una realtà lontana. Infine, bisogna riuscire a legare insieme emigrazione e immigrazione. Diversi aspetti, che si riscontrano attualmente nella presenza straniera in Italia, già si ritrovano nell’emigrazione italiana e così anche in molte delle richieste presentate dagli immigrati, riecheggiano quelle avanzate nel passato dai nostri emigrati.