Toscana

Inchiesta sui giovani toscani: eterni «Peter Pan» non sognano il futuro

di Ennio Cicali

Eterni Peter Pan. Ai giovani è spesso genericamente e sbrigativamente affibbiata questa etichetta perché continuano a mantenere comportamenti adolescenziali, primo tra tutti la prolungata permanenza in famiglia. Il fenomeno della cosiddetta «famiglia lunga» è alla base di una serie di implicazioni sul ruolo dei giovani nella società, dall’avere una famiglia propria, alla casa, al lavoro.

Analizzando l’opinione dei giovani sui temi della loro esistenza, i problemi dell’oggi e le speranze del futuro emerge un quadro variegato, pieno di contraddizioni e aspettative deluse. Un quadro confermato dalla nuova analisi dell’Irpet, «I giovani toscani alla ricerca di un futuro», curata da Francesca Giovani e Stefania Lorenzini. Sono stati intervistati 4 mila giovani toscani, con età compresa fra i 18 e i 30 anni e residenti in realtà urbane, turistiche e industriali di varia grandezza (Firenze, Prato, Scandicci, Camaiore e Piombino).

Come vivono oggi i giovani toscani e cosa si aspettano dal futuro? Nell’81% dei casi abita ancora con i genitori per necessità, per convenienza economica o organizzativa, ma è desideroso di avere una vita più autonoma (85%). Il desiderio di una famiglia è quindi ancora molto alto. Solo l’8% desidera il figlio unico, ben il 69% dichiara di volere più figli, ma nella realtà sappiamo che il numero medio per nucleo familiare è poco più di uno. Un particolare che genera problemi di sostenibilità del sistema e produce insoddisfazione nelle coppie che hanno meno figli di quanti ne avrebbero desiderati.

Non è più un mito il posto fisso da dipendente (scelto solo dal 21% degli intervistati, più le donne che i maschi), «da grandi» vorrebbe un lavoro autonomo (40%), perchè offre migliori possibilità di guadagno e di realizzazione. Tra le professioni più ambite: medico per le ragazze e ingegnere per i ragazzi. Altri tipi di lavoro autonomo: artigiano (gradito solo dall’1% degli intervistati) e imprenditoriale (3%), sono risultati scarsamente appetibili, sia per gli uomini sia per le donne. Il rapporto con la politica è conflittuale, solo il 2% la considera un lavoro. Di fronte ad un lungo elenco di istituzioni (politiche, economiche, sociali, religiose, ecc.) un terzo dei giovani (28%) afferma di non aver fiducia in nessuna di esse, mentre i restanti hanno scelto in prevalenza le istituzioni sociali, come la ricerca (15%), il volontariato (14%), la scuola (8%) e anche la Chiesa (4%), ultimi i partiti: un particolare che fa riflettere nel momento in cui si chiede da più parti il ricambio della classe politica.

Contrariamente ai luoghi comuni, sorprende il dato relativamente basso di coloro che aspirano a un ruolo nel mondo dello spettacolo e dello sport (8%); un segnale positivo, perchè troppo spesso i giovani di oggi sono dipinti come «sognatori di reality» in cerca di successo nel mondo mediatico.

Il 77% degli studenti e l’86% dei disoccupati intervistati ritengono difficile o molto difficile trovare in futuro il lavoro desiderato, però non sono nemmeno propensi alla mobilità: più della metà dei disoccupati e quasi il 40% degli studenti non è disposto a spostarsi al di fuori della Toscana (addirittura il 33% dei disoccupati non è propenso a spostarsi fuori dalla provincia di residenza) per accettare un’offerta di lavoro. Solo un giovane su cinque si sente «cittadino d’Europa» (9%) o «del mondo» (12%), mentre tutti gli altri dichiarano un’identità locale, spesso comunale (23%) o regionale (20%) piuttosto che nazionale (23%). Infine, i giovani mostrano atteggiamenti spesso ambivalenti nei confronti degli immigrati che vivono in Toscana, oscillanti fra solidarietà e pregiudizio. La quota dei giovani «aperti» verso gli immigrati è maggiore di quella dei «chiusi», soprattutto nelle province di Firenze (59%), Piombino (56%) e Scandicci (57%); a Prato e Camaiore, però, rappresentano quote più basse, pari rispettivamente il 46% e 45%. Prato è il Comune con la massima quota di giovani «chiusi» (25%), ed è anche la realtà dove le opinioni sono molto definite, visto che la presenza degli indecisi è particolarmente bassa. È evidente che dove la presenza straniera è più elevata, l’insofferenza – soprattutto con i giovani autoctoni meno abbienti – talvolta diventa vera e propria ostilità nei confronti di soggetti che aumentano la competizione sul mercato del lavoro e dei servizi pubblici. Ai giovani intervistati è stato chiesto quali emergenze affronterebbe se fosse al posto del presidente della Regione Toscana? Il lavoro è la risposta principale (23% degli intervistati), seguono la lotta all’aumento dei prezzi (14%), criminalità (12%) e difesa dell’ambiente (12%).

Livi Bacci: «Suoniamo la sveglia a questi ragazzi»

«Forse occorre suonare la sveglia», così il professor Massimo Livi Bacci commenta il rapporto dell’Irpet sulla condizione dei giovani in Toscana. Mentre politici, educatori, manager, sindacalisti, dichiarano che il futuro della società sta nei giovani, in Italia contano meno di quanto avvenga nelle altre società europee perché manca la spinta politica per un’inversione di tendenza. I giovani italiani godono di una qualità materiale della vita che è tra le più alte, per possesso di beni, per livello dei consumi, per comodità di vita. Manca loro la capacità di determinare il corso della propria vita, che deriva essenzialmente dall’istruzione acquisita, dall’autonomia economica, dall’influenza nella vita politica, sociale ed economica. Rispetto ai loro coetanei europei entrano più tardi nella vita attiva, hanno tassi di occupazione più bassi, hanno salari minori, escono dal sistema formativo più lentamente, abbandonano la famiglia di origine ed acquisiscono una piena autonomia economica assai dopo che altrove. Tutto questo fa sì che essi «contino» assai di meno di quanto non avvenga nelle altre società europee; e poiché contano di meno, manca la spinta «politica» a operare un’inversione di tendenza. La famiglia è il vero «ammortizzatore sociale» dei giovani, che attenua e anestetizza la loro situazione di subalternità. Ma è un «ammortizzatore» che perpetua e aggrava le disuguaglianze, poiché è molto efficiente quando la famiglia ha risorse umane, affettive, culturali ed economiche adeguate; è invece inefficiente o inesistente in condizioni opposte. La scuola, ammettendo processi formativi prolungati oltre il ragionevole, attenua la durezza dell’attesa per entrare stabilmente nel mercato del lavoro. In una fase storica nella quale la risorsa «giovani» si fa più rara, conclude Massimo Livi Bacci, occorre fare ogni sforzo per ampliare il reclutamento dei giovani in posizioni di responsabilità nelle invecchiate gerarchie della vita politica, economica, sociale, culturale.

Dalla ricerca dell’Irpet emergono molte conferme alle preoccupazioni qui espresse. Preoccupa, in particolare, che i giovani definiti «conservatori» (non dal punto di vista delle convinzioni politiche, ma da quello delle attitudini alla vita) «giovani per lo più diffidenti nei confronti della popolazione straniera, caratterizzati da una maggiore predisposizione alla staticità e all’inerzia…spaventati dalle difficoltà che dovranno incontrare per diventare adulti», siano la maggioranza tra gli intervistati. Sprovvisti di ottimismo e di dinamismo, forse un po’ anestetizzati dal sistema familiare, intorpiditi dalla mancanza di stimoli e dalla loro sostanziale subalternità. Da qui l’invito a «suonare la sveglia».

Don Bandini: «Gli adulti si interroghino sulle loro colpe»«Che i giovani abbiano una forte insicurezza e un po’ di paura verso il futuro questo emerge anche da altre ricerche». Non è sorpreso don Gabriele Bandini, responsabile della pastorale giovanile della Diocesi di Fiesole, dei risultati dell’indagine Irpet sui giovani toscani, anche se considera la ricerca «un po’ limitata», perché affronta «solo alcuni aspetti»: mancano ad esempio domande che facciano «riferimento a valori» e manca «quasi del tutto la dimensione sociale». Mentre altre ricerche rilevano al contrario la sensibilità dei giovani per i temi della solidarietà e della pace.

Don Bandini cosa l’ha sorpresa di più in questa indagine?

«Mi ha sorpreso l’emergere di una forte l’identità locale. Questi giovani si sentono pochissimo cittadini d’Europa e poco più cittadini del mondo. È vero che i giovani respirano l’aria che gli adulti creano intorno. Ma non dovrebbero essere valori in concorrenza tra sé. È un aspetto che andrebbe sviscerato di più».

Altro dato che emerge è l’ingresso molto ritardato nella vita sociale.

«Ormai le scelte sono molto rimandate. Però questo è un dato un po’ ambivalente. Da un lato fa vedere una certa tenuta delle famiglie, dall’altra quando la famiglia diventa solo rassicurante, protettiva e non spinge il giovane a diventare adulto, ad assumersi le proprie scelte di vita, anche vocazionali (di lavoro, ma anche di matrimonio), fallisce un po’ la sua missione».

Soprattutto ci si sposa sempre più tardi.

«L’età media alla quale ci si sposa è 33 anni. Non si aiuta il giovane a spiccare il volo. Un po’ è colpa anche del sistema formativo universitario che si è allungato. E poi indubbiamente anche la precarietà lavorativa che c’è. Immaginare un futuro in queste condizioni è certamente più impegnativo. Se a questo poi si aggiunge che non sono stati aiutati ad avere il coraggio di rischiare in proprio… Così facendo non si mettono a frutto le energie migliori, anche creative, che un giovane ha attorno ai 25-30 anni. Questo prolungarsi dell’adolescenza fa perdere delle opportunità alla società».

Non la sorprende che i giovani toscani abbiano così poca fiducia nelle istituzioni? Ad esempio nella Chiesa ha fiducia solo il 4%.

«Altri dati, come quelli elaborati dall’Istituto Iard, sono più ottimistici. Il 4% mi sembra un po’ basso. Ciò non toglie che dobbiamo chiederci perché noi preti siamo così poco credibili ai loro occhi».

Il discorso però riguarda tutto il mondo degli adulti.

«Il mondo degli adulti si deve interrogare e non nascondersi dietro a tante cose. Nel Convegno di Verona, Savino Pezzotta, parlando dei giovani ,fece un’osservazione che trovo profondamente vera: “Il problema dei giovani sono gli adulti”. È una provocazione da raccogliere. Effettivamente questo senso di sfiducia che c’è non credo sia solo una mancanza di speranza che il giovane si porta dentro. Gli stessi adulti vivono il mito dell’esser giovani a tutti i costi. Questo ribalta un po’ le cose: invece di avere il giovane che vuole diventare adulto, abbiamo l’adulto che vorrebbe restar giovane. Questo crea a livello educativo molti problemi di identificazione. Gli adulti non si assumono la responsabilità di essere per i giovani dei punti di riferimento».

Claudio Turrini