Toscana

La difficile convivenza con i rom

Nazzareno Guarnieri, primogenito di una numerosa famiglia rom, ha iniziato la sua formazione frequentando con successo il prestigioso Istituto Magistrale «B. Spaventa» di Città S. Angelo (PE), conseguendo nel 1971 il diploma della qualificazione magistrale.

La sua formazione continua con il corso biennale di operatore psicopedagogico presso Università di L’Aquila, e successivamente il corso di mediatore culturale e la Laurea in psicologia sociale. Il costante impegno volontario e professionale per la popolazione romanì, la promozione e la realizzazione di importanti esperienze di interazione culturale e la partecipazione a numerose iniziative italiane ed europee arricchiscono il percorso formativo di Guarnieri, tale da essere oggi un professionista, un leader ed un attivista rom riconosciuto a tutti i livelli.

Nell’anno 2000 e e nell’anno 2002 Nazzareno Guarnieri è il vincitore del Premio Raffaele Laporta, per la sezione progetti educativi. Nell’anno 2003 Nazzareno Guarnieri è il promotore del «progetto federazione», un’iniziativa per sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti. Nell’anno 2009 che è stato eletto presidente della Federazione romanì.

Nazzareno Guarnieri, come mai sembra impossibile stabilire con la minoranza Rom un sistema di regole condivise e di convivenza pacifica?

«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e di conoscenza. Deficit che hanno categorizzato i pregiudizi contro la popolazione rom e sinta e banalizzato la cultura romanì. Deficit che hanno ostacolato i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura romanì. Deficit che hanno portato a generalizzare a tutta la popolazione rom e sinta la responsabilità del singolo. Una sequenza di deficit che richiedono una risposta urgente e chiara, capace di abbandonare i diritti differenziati e l’assistenzialismo culturale, oggi riservati a rom e sinti, e costruire le relazioni umane e di scambio culturale con la popolazione romanì».

La Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2009 al punto 8. riporta: «La grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di farvi ritorno». A Cosa è dovuto questo disconoscimento, forse a discriminazione?

«Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a farcela ad uscire dalla segregazione e dall’assistenzialismo ed essere protagonisti positivi e professionisti preparati. La tendenza di addebitare questa scelta di assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione, così come attribuire la responsabilità solo alla politica mi pare riduttivo. Credo che tutto nasca da una perfida combinazione di interventi e di politiche da un lato limitati agli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali. Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva, dall’altro la mancanza di processi di partecipazione reali. Quale possibilità ha un rom che è riuscito a farcela di rivendicare la propria identità culturale romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria popolazione? Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo zingaro solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora, ecc. Quindi non solo l’indifferenza e l’assenza di una politica per la cultura romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è occupata e che si occupa dei rom, di gestire o tutelare, evitando ogni forma di crescita dell’autonomia e della normalità per i rom. Qualsiasi cultura si evolve con il contatto e con lo scambio culturale».

Mi faccia capire il vostro punto di forza, da qui l’appello che rivolgete anche agli stessi Rom è Partecipazione, vuole spiegarmi meglio, cosa vuol dire?

«Dalle esperienze del passato e del progetto federazione, avviata molto lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della partecipazione attiva dei rom. Non Basta essere Rom ma è necessario che la partecipazione Rom sia Qualificata. Mi spiego meglio non si tratta di avere o meno un titolo di studio ma di possedere o acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per una partecipazione qualificata, solo così si può costruire un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di empowerment e di superare la convinzione che la questione rom sia solo una questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì».

Infine vorrei capire, vista anche la sua formazione professionale, cosa propone per contribuire a una maggiore scolarizzazione dei bambini e bambine Rom?

«Il fallimento delle politiche del passato per la popolazione romanì dimostra, anche in questo caso, che senza la partecipazione attiva, propositiva e professionale di Rom e Sinti ogni iniziativa è destinata al fallimento, bisogna passare dalla mediazione culturale alla partecipazione.

Le iniziative di scolarizzazione dei bambini rom e sinti devono porsi l’obiettivo del successo scolastico e non impegnarsi solo per la frequenza. Sono troppi gli alunni rom e sinti che completano la scuola elementare senza aver acquisito la strumentalità minima di base: saper leggere, scrivere e far di conto e nel contempo ritenere che le abilità del bambino rom costituiscano un handicap. La presenza di bambini Rom nella scuola Italiana è condizionata da stereotipi e pregiudizi che conducono al fallimento del progetto educativo, e troppo spesso, è gestita con distanza dalle dinamiche della diversità culturale e della strategia interculturale. Quindi in breve: formazione per gli insegnanti, produzione di materiale didattico specifico, realizzazione di un osservatorio nazionale e regionale, sostenere le sperimentazioni mirate partendo dalla cultura di origine».

Nei vostri interventi spesso vi pronunciate contro i campi nomadi come ostacolo alla integrazione, ironia della sorte spesso se ne giustifica la nascita per preservare la cultura romanì?

«In Abruzzo non vi sono campi rom, i rom che arrivano vengono inseriti in civili abitazioni con l’ausilio del volontariato sociale. Il campo nomadi è la nostra tomba non rappresenta la cultura romanì. Spesso proponiamo l’autogestione dei campi nomadi e usare le ingenti risorse per la gestione dei campi nella costruzione di politiche abitative serie».

Quale sono i prossimi impegni della Federazione?

«In Spagna a Cordoba il prossimo 8 e 9 Aprile 2010 si svolgerà il secondo vertice europeo sui rom ed il fatto che si realizzi durante la Presidenza Spagnola dell’Unione Europea è un buon auspicio perchè la Spagna negli ultimi anni è stato il paese europeo che più ha investito in politiche sociali e culturali per la popolazione romanì. Per la grave condizione e discriminazione della popolazione romani in molti stati Europei, dal secondo vertice europeo sui rom ci attendiamo conclusioni politiche con la esplicitazione di una strategia politica chiara ed efficace, strategia che da una parte impegni la Commissione europea e gli Stati membri dell’UE ad una forte e coordinata azione politica e degli strumenti giuridici per contrastare l’antiziganismo, dall’altra parte definisca il ruolo attivo delle organizzazioni rom nei piani d’azione europei e nazionali, nella progettazione/realizzazione delle politiche per i rom, nel monitoraggio dei progetti destinati alla popolazione romanì. Vi invitiamo a consultare il nostro spazio Web: http://federazioneromani.wordpress.com».

S.V.LA SCHEDA

Alla popolazione rom si applica, se cittadini stranieri, il decreto legislativo 25 luglio 1998 (Testo unico sull’immigrazione).

Non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti sono.

In Europa la minoranza rom/sinta è definita «la minoranza più numerosa dell’Unione europea».

In Italia ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori, ognuna con proprie tradizioni. Partiti dal nord dell’India e dal Pakistan intorno all’anno mille, gli zingari si sono stabilizzati nell’est europeo da dove hanno poi ricominciato altre migrazioni. In Italia i primi arrivano alla fine del 1300. Quella rom è una delle società più chiuse e tribali che si conoscano esistono diversi gruppi.

I rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto l’uso del romanì e sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392 a seguito dei profughi arbares’h (albanesi). Si dedicano ai mestieri tradizionali come l’allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre le donne (rumrià) la chiromanzia.

I rom napoletani (detti napulengre). Fortemente mimetizzati nel capoluogo, fino a una trentina d’anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e facevano spettacoli ambulanti. Esistono anche i rom cilentani (una grande comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani.

Sinti giostrai – Sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia sono almeno trentamila. Arrivati in Italia all’inizio del 1400, sono i depositari del più antico dei mestieri rom, quello dei giostrai. Un mestiere però che sta scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati tra i rifiuti e venditori di bonsai artificiali.

I Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i rom lovara (non più di mille) chiudono il gruppo dei rom con cittadinanza italiana.

I rom jugoslavi – È possibile suddividerli in due grandi ceppi, i khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi). Vivono per lo più nei campi nomadi del nord e del centro Italia.

I rom romeni – Quello dalla Romania è ormai un flusso continuo e inarrestabile. Le più grandi comunità sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Genova ma ormai il fenomeno è in crescita in tutta Italia.

A livello europeo esiste il Dipartimento Rom and Travellers (Rom e camminanti, due delle varie etnie zingare). L’ufficio, nato nel 1993 a Strasburgo nell’ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom, ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali, raccomandazioni.Se in Italia non è ancora stata affrontata la questione rom, l’Europa è messa più o meno nelle stesse condizioni.

Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni – ad esempio sulle condizioni abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e sul nomadismo (2004) – si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento, linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom.

Uno dei file più aggiornati dell’ufficio europeo sono i numeri. In Europa si calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, nei paesi del Centro e dell’Est europa – Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia – arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l’afflusso continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Sono censiti solo gli zingari che vivono nei paesi dell’est Europa: dal 1400 la «casa» dei popoli nomadi in arrivo dall’India del nord est.

La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l’ultimo censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e Russia (tra i 340 e 400 mila).

L’Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (porrajmos) e nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre stati, tantissimi.

Lo statuto francese – Nonostante «la grande preoccupazione» del Consiglio europeo «per i ritardi e l’emarginazione», la Francia (con 340 mila o un milione di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte dell’accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l’accoglienza e la tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia dotato di un’area di accoglienza; dall’altra la stretta in nome della sicurezza. Chi non rispetta le regole dei campi e dell’accoglienza è fuori per sempre. E chi occupa abusivamente un’area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede, contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.

Il caso tedesco – In Germania i 130 mila circa tra Rom e camminanti sono considerati per legge «minoranza nazionale». Dagli anni sessanta, con la caduta del modello socialista titino e con le prime diaspore rom dall’est europeo verso l’occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottanta e novanta con le guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in condizione di lavorare.

La Spagna – La Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze. Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di sviluppo per la popolazione rom. Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali. Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se resta alto il tasso di criminalità.