Toscana

Ora di religione, insegnamento da rilanciare

di Jacopo Masini

Si è svolto lo scorso 7 maggio a Firenze, presso l’Auditorium della Cisl di Firenze il convegno «L’Insegnante di religione cattolica nella scuola che cambia», un’iniziativa promossa dalla Cisl Scuola Toscana, cui hanno aderito anche l’Umbria e l’Emilia Romagna. Un momento di riflessione e di bilancio non solo del ruolo formativo dell’ora di religione, ma anche della figura professionale del docente di religione cattolica, all’interno della compagine scolastica sempre più multiforme e aperta al dialogo culturale.

Maria Cristina Zini,  segretario generale della Cisl Scuola della Toscana, assieme ad Anna Cicognani, segretario generale Cisl scuola Emilia Romagna e Ivana Barbacci, Cisl Umbria, hanno fatto riferimento a diverse tematiche inerenti l’entità della proposta educativa, oltre che ad una più «corretta collocazione della disciplina della religione cattolica nel quadro delle finalità della scuola», soprattutto a distanza di quasi 25 anni dalla ratifica del Concordato, quando sono ancora diverse le zone d’ombra presenti. A seguito dell’immissione in ruolo degli insegnanti di religione, sono state sollevate, inoltre, «questioni che mettono in discussione l’equiparazione di questi docenti al restante personale della scuola».

«L’obiettivo – spiega Cristina Zini – è focalizzare la riflessione su un piano che sia allo stesso tempo culturale e professionale, in un confronto aperto, con la consapevolezza che, in una società multietnica, anche questa disciplina ed il docente che la insegna portano uno specifico contributo ai processi di cambiamento».

Il convegno ha affrontato i temi della professionalità e del profilo normativo-contrattuale del docente di Religione: si è parlato dei suoi diritti e dei suoi doveri, del suo ruolo all’interno delle istituzioni scolastiche e sul valore dell’insegnamento della religione in un quadro di interdisciplinarietà. L’intervento di Dino Castiglioni, segretario generale Cisl scuola Liguria, ha di fatto puntualizzato l’importanza di una presa di coscienza della pari dignità dell’insegnante di religione a partire proprio dalla proposta formativa cui esso si fa garante.

«Nel Convegno è emerso che la Toscana è la regione in cui è più alta la percentuale di studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica rispetto al resto dell’Italia; per questo occorre ripensare all’ora di religione come un arricchimento dell’offerta formativa mettendo al centro dell’attenzione lo studente come persona e la sua formazione, ha ribadito Maria Cristina Zini. «È importante che la scelta di avvalersi dell’insegnamento – ha proseguito la segretaria della Cisl scuola toscana – sia motivata anche dai contenuti e dall’arricchimento che l’ora di religione può dare». Al convegno c’è stata una grande partecipazione con delegazioni provenienti da Emilia Romagna, Umbria e Veneto che hanno portato le esperienze delle loro Regioni. Un centinaio i partecipanti e decine di interventi che hanno ribadito la necessità «di un confronto costante fra Sindacato ed Associazioni per dare pari dignità all’insegamento della disciplina rispetto alle altre discipline e il rispetto delle norme contrattuali per i docenti. Comune l’impegno al confronto con le Diocesi sui vari aspetti di cui sono stati testimoni i rappresentanti presenti».

L’intervista/1 Patrizia Caprara, presidente nazionale dell’Anir, l’associazione degli insegnantiScuola in crisi, missione sempre più difficile

Insegnare religione. Una passione, un impegno, una sfida. Ai margini del Convegno promosso dalla Cisl scuola Toscana sull’Insegnare religione nella scuola che cambia, è Patrizia Caprara, presidente nazionale dell’Anir (Associazione nazionale insegnanti di religione), a commentare il ruolo che una simile disciplina può assumere nella compagine didattica di una scuola in mutamento come quella italiana.

«È inutile nascondersi quanto l’insegnamento della religione cattolica nelle nostre scuole sia ormai una missione difficile. Non per via della materia in sé, piuttosto per la natura stessa della scuola, in un momento complessivo di emergenza educativa, nel quale versiamo tutti. La scuola è ormai terreno di una sfida che non riguarda determinate discipline, ma l’entità stessa delle crescita culturale, umana, civica dei ragazzi. A scuola di impara a crescere, a diventare grandi, ad essere persone adulte. La scuola serve a questo. Purtroppo viviamo un momento di forte crisi in tali frangenti. Dovremmo tutti credere in una scuola che educa, in una comunità educante anche nei confronti di chi non si avvale della religione a scuola».

C’è il problema dell’ora di alternativa, un momento in cui spesso la classe si disperde senza una proposta valida.

«Davanti all’ora del nulla, in cui i ragazzi escono, vanno al bar, entrano dopo, oppure escono prima di scuola, mi chiedo quale messaggio educativo arrivi. Di fatto chi fa religione ha un’ora di didattica in più e dunque anche un bagaglio formativo maggiore. Soprattutto poi nel momento in cui l’ora di religione non si configura più come un portato di identità confessionale, ma un’occasione di educazione alla cittadinanza, di formazione per persone che si aprano ad un mondo sempre più multiculturale. Parlare di cristianesimo oggi vuol dire rendere coscienti le persone delle proprie radici, del rispetto verso se stessi e verso gli altri, crescendo così nella reciprocità, nella piena dimensione di alterità verso chi professa un altro credo o proviene da regioni differenti, con le rispettive tradizioni socio-culturali».

C’è chi sostiene che grazie al Concordato gli insegnanti di religione siano dei privilegiati…

«È un pregiudizio da sfatare, soprattutto in base al fatto che i docenti in ruolo sono sottoposti alla giurisdizione dei circoli scolastici provinciali. La doppia appartenenza, basata sull’indicazione del docente da parte dell’Ordinario diocesano, rappresenta un importante dato di raccordo tra la comunità ecclesiale e il mondo del laicato. E poi ogni insegnante è chiamato a chiarire nei fatti, in trincea, quanto in realtà si spenda e si dia da fare per i ragazzi. Il solo fatto che ogni insegnante ha la possibilità che gli studenti possano non avvalersi più dell’ora di religione rappresenta uno stimolo continuo per una proposta educativa efficace e convincente, che provochi domande, bisogni culturali e intellettivi, che scuota le coscienze dei più giovani».

Questa scuola che cambia chiede sempre più un personale docente preparato e competente.

«La scuola non è più come l’abbiamo vissuta quando eravamo noi sui banchi. Ormai noi docenti dobbiamo entrare nell’ottica non solo degli obiettivi da raggiungere, ma delle competenze che gli alunni devono acquisire. Competenze che diventino vere e proprie padronanze, in cui più discipline anche molto diverse concorrano a rafforzare un modello di sapere poliedrico e capace di mettersi in gioco. La persona, lo studente deve essere in grado di saper mettere in gioco tutto quello che impara, in modo da affrontare qualsiasi sfida la vita gli ponga davanti».

Insegnare è un mestiere bello, ma anche difficile. Si ha paura di sbagliare, di non saperci fare, di non essere in grado di comunicare. È un lavoro faticoso ma che ripaga anche quando si sbaglia. È il bello dell’educare, del formare le coscienze. «È una sorta di malattia – ci dice Patrizia Caprara–. Io la chiamo entusiasmo».

J. M.L’intervista/2: Enza Fasulo (diocesi di Prato)Meno pregiudizi e clima più sereno

Per comprendere meglio la realtà dell’Insegnamento della religione cattolica (IRC), abbiamo incontrato la professoressa Enza Fasulo, direttore dell’Ufficio per l’educazione e la scuola, nonché responsabile del Servizio per l’Irc, della diocesi di Prato, una diocesi piccola, ma piuttosto rappresentativa.

Professoressa Fasulo, come sta cambiando l’Irc?

«Sul piano giuridico amministrativo le cose si stanno definendo: l’immissione in ruolo ha dato agli insegnanti di religione (IdR) una maggiore consapevolezza del loro essere docenti ed anche i programmi seguono i cambiamenti di prospettiva come accade per le altre discipline. Negli anni ’80 e ’90 l’aspetto ideologico era forte e non mancavano gli scontri. Oggi abbiamo una maggiore tranquillità grazie al decadere di alcuni pregiudizi, tuttavia, spesso, nella percezione di chi è lontano dalla scuola, rimane un po’ di confusione tra l’Irc e la catechesi. In passato, poteva accadere che si creassero equivoci, ma adesso ritengo sia chiara a tutti la sostanziale differenza fra i due ambiti».

Sempre meno sacerdoti o religiosi insegnano religione, mentre aumentano i laici. Quale, secondo lei, la causa di questo allontanamento dei preti?

«Probabilmente, da un lato, privilegiano altri ambiti pastorali; dall’altro hanno talmente tanti impegni in parrocchia che non si può immaginare ne assumano altri all’esterno».

Nelle scuole superiori il numero degli avvalentisi è in leggero calo. Da cosa dipende?

«Da quando, nel 1991, la Corte Costituzionale dichiarò il non obbligo della scelta, accanto alla materia alternativa, è nata un’ora di “niente” e per molti studenti un’ora meno di scuola diventa un’opportunità allettante. Aggiungerei anche che si avverte un calo di attenzione per le problematiche di tipo etico-religioso; mentre oggi è meno forte la scelta ideologica. Resta tuttavia difficile capire i motivi profondi del perché di una scelta: vi sono infatti ragazzi che si definiscono non credenti ma si avvalgono dell’Irc, mentre troviamo studenti impegnati in parrocchia, che ritengono di “saperne abbastanza” e scelgono di non avvalersi».

Cosa ne pensa della recente sentenza del Consiglio di Stato sulla valutazione dell’Irc?

«Si è erroneamente detto che, in base alla sentenza, il voto di Religione fa media. Infatti, l’insegnante non attribuisce un voto, ma un giudizio riguardante l’interesse con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento della religione cattolica ovvero l’attività alternativa e il profitto che ne ha tratto. Dunque, tale giudizio diviene uno degli elementi valutabili ai fini dell’attribuzione del punteggio per l’esame di Stato».

Cosa ci dice a proposito delle difficoltà di reclutamento dei nuovi insegnanti?

«La revisione del Concordato ha previsto per gli IdR un percorso di studi estremamente serio ed impegnativo ed ha fatto sì che i tempi per concretizzare questa scelta si facciano molto lunghi. Da noi, la quasi totalità dei docenti in servizio possiede i titoli previsti, mente reclutare personale per le supplenze resta più difficile».

Quali prospettive vede per il futuro?

«L’Irc è nella scuola come conseguenza del Concordato e perciò è una disciplina atipica, benché operi secondo le finalità della scuola e contribuisca alla crescita ed alla maturazione degli alunni. L’Irc sta dunque nella scuola, ma deve essere scelto. Oggi la revisione del Concordato ne ha chiarito il ruolo, pertanto, con un nuovo spirito di collaborazione, si sta iniziando un cammino in cui è sempre più evidente che questa disciplina ha qualcosa da offrire alla scuola, agli alunni ed alle loro famiglie».

M.C.C.