Toscana

Prato, viaggio nella comunità cinese

Sabato 9 ottobre ho attraversato la provincia di Prato cercando di capire cosa si nascondesse dietro le diverse reazioni alla morte delle tre donne cinesi nel sottopassaggio, se si trattasse di un semplice scontro politico, oppure qualcosa di più. Ho trovato una città vivace anche se ne è emerso un ritratto con luci ed ombre.

Durante il weekend si è tenuta la manifestazione Alter Mundi che ha portato esperti a discutere di temi legati all’immigrazione ma anche bancarelle di associazioni sia laiche che cattoliche, gruppi musicali, dibattiti dove si respira la consapevolezza di essere seduti sopra una «polveriera», per non essere riusciti a realizzare un vero e proprio modello fondato sulla condivisione di valori e cittadinanza. Morena della comunità di Emmaus si chiede come mai non si sono accorti prima che la comunità cinese stava crescendo e che si doveva in quel momento costruire un percorso fatto di comprensione reciproca, «ma sai che in via pistoiese è rimasta una anziana signora di 80 anni, che non ci pensa neppure a cambiare casa, e mi dice che lei si sente perfettamente a suo agio, in tutti questi anni nessuno le ha mancato di rispetto», la convivenza passa attraverso la conoscenza: «io ho tenuto per due anni una bambina cinese, tra me e la mamma i patti sono stati chiari, lei non rinunciava a sua figlia ma non voleva portarla in Cina» condizione purtroppo che condiziona molte mamme, per la carenza di servizi e le esigenze di lavoro i bambini vengono trasferiti in Cina determinando molte difficoltà poiché a 5 anni faranno ritorno in Italia e non sanno ne l’italiano e neanche il cinese mandarino, aggiunge don Francesco della Parrocchia dell’Ascensione. «In realtà – afferma Morena – qualcuno ha aggevolato l’insediamento della comunità nel settore del tessile. Quando è iniziata la crisi qualcuno ha pensato che fosse meglio capitalizzare, trasferire la produzione in Cina o ai cinesi qui in Italia, permettendo ritmi di lavoro di 12/14 ore, mancanza di sicurezza,e ora forse gli stessi si scagliano contro coloro che oggi sono diventati proprietari di aziende e determinano la vita economica di questa provincia, ora forse per la crisi si vorrebbe che questi sparissero».

La Diocesi di Prato sta investendo molto, sono andata a trovare don Francesco Wang, da un anno ordinato prete, nella parrocchia dell’Ascensione: «la comunità cinese cattolica è piccola, ad oggi si contano 150 persone, anche se da un anno il numero è raddoppiato, si tratta di persone cattoliche per tradizione famigliare o di conversione. La chiesa dell’Ascensione parteciperà al lutto con l’indizione per domenica di una messa e di un momento di preghiera speciale, inoltre stiamo investendo nell’ampliamento delle attività soprattutto culturali nel nuovo salone in fase di costruzione». Con don francesco abbiamo commentato alcuni articoli usciti in questi giorni in merito all’incapacità dei cittadini cinesi a integrarsi, don francesco respinge fermamente queste affermazioni: «spesso di parla di integrazione ma si fa ancora poco, e la lingua è ancora l’ostacolo principale per la comunità cinese, in particolare degli operai di età media tra i 30 e 40 anni, hanno ritmi di lavoro molto alti e. si parla esclusivamente la lingua cinese, questo determina una grande difficoltà nel comunicare, comprendere le istituzioni; oramai conosciamo i problemi ma quali soluzioni proponiamo, come chiesa locale siamo disponibili insieme alle istituzioni a realizzare interventi di formazione, da un anno realizziamo dei corsi di lingua per adulti con grande successo, in realtà la mia grande speranza sono le seconde generazioni, con loro la parola integrazione sarà una realtà, ma dobbiamo impegnarci, niente viene da solo» questo è il pensiero ribadito anche dalla assessora provinciale Loredana Ferrara organizzatrice della manifestazione Alter Mundi «questa manifestazione è molto importante, dispiace vedere che il Comune ha perso l’occasione non partecipando, l’integrazione passa attraverso la conoscenza della cultura dell’altro, Prato non può continuare a ignorare, a costruire un modello tra comunità chiuse, non è un fenomeno nuovo, da sempre la città ha reagito in questo modo, 50 anni fa con l’immigrazione dal sud si sono determinate delle comunità dentro la città, oggi la comunità cinese conta più di 35.000 persone e pone una questione: la costruzione di un modello di società condiviso. Vorrei spiegami partendo da un esempio: i cittadini cinesi del quartiere di via pistoiese comunicano attraverso foglietti, ve ne sono a centinaia per tutte le strade e sinceramente non è un bel vedere, propongo al comune: costruiamo delle bacheche e chiediamo alla comunità di usarle per le loro comunicazioni, non credo che ciò sia rinunciare a qualcosa, semmai mettiamo ordine rispettando un elemento culturale».

Don Francesco ritiene che si debba far leva su alcuni aspetti che «possono aiutarci a fare passi importanti nell’integrazione, vi sono chiaramente fenomeni di illegalità, ma può un parente non dare lavoro e abbandonarlo solo perché irregolare? Perché invece non si colpisce chi organizza i flussi di immigrazione clandestina». Su questo aspetto ho chiesto a Don Santino una sua opinione: «da anni vado dicendo che è giusto colpire l’illegalità, ripristinare livelli normali di convivenza partendo dal colpire le frange di criminalità della comunità cinese, una piccola minoranza ha fatto e fa il brutto e cattivo tempo, sa quanto costa far entrare in Italia un cinese in maniera clandestina? 25.000 euro, ci rendiamo conto della quantità di soldi che girano?, questo giro non si ferma facendo retate, portando intere fabbriche in questura. Nelle scorse settimane si è intervenuti in un complesso, 100 lavoratori sono stati portati in questura per un intero giorno, uno solo è risultato clandestino; l’illegalità va combattuta ma anche le connivenze che da anni garantiscono la copertura». Non dimentichiamoci aggiunge la Ferrara che «le imprese cinesi contribuiscono per il 30% degli introiti dell’Inps» e purtroppo il tema dell’illegalità non è di oggi. Il distretto industriale di Prato è cresciuto grazie al lavoro nero e minorile, questo non vuol dire riprodurre un vecchio modello produttivo ma smettiamola di caricare la comunità cinese di colpe che hanno radici più profonde, ciò non fa altro che alimentare l’odio, ed è proprio l’odio che alimentato coloro che hanno scritto, in maniera anonima lettere a Don Santino Vicario Episcopale della Diocesi di Prato, che ho incontrato nella propria canonica e realizzato l’intervista qui sotto.

L’intervista: Don Santino Brunetti, un prete da quarant’anni in prima filaDon Santino mi ha accolto nella sua canonica al termine di un matrimonio, il terzo della giornata, un ufficio pieno di immagini, marionette, statuine, provenienti da una miriade di paesi, è tranquillo, attorniato dalla sua comunità fuori il gazebo della Caritas parrocchiale, il suo collaboratore di origine cinese, gente che entra ed esce, il responsabile della comunità cingalese, a cui ha dato «asilo», che vuole sapere in quale sala organizzare la riunione della comunità, per riuscire a parlare dobbiamo chiudere la porta.

Don Santino, dopo le recenti vicende, come si sente?

«Io bene sono tranquillo, sono gli altri a preoccuparsi di più, il Vescovo, le forze dell’ordine volevano darmi la scorta ma si figuri io vivere in prigione, ho rifiutato, e poi non è la prima volta».

Don Santino ha visto crescere il quartiere di Maliseti, cresciuto grazie alle migrazioni dei meridionali e oggi degli immigrati extracomunitari, oggi l’8% dei cittadini è di origine pratese. In che senso non è la prima volta?

«Negli anni c’è sempre stato il cretino di turno che mi minacciava per il mio lavoro: dare dignità a ogni uomo e donna, pensi che oggi qualcuno mi rimprovera di fare politica, mentre invece io ritengo di rispondere al messaggio del Vangelo. Pensi, sono stato alla veglia buddista della comunità cinese, per la morte di queste tre lavoratrici cinesi, mi hanno confortato perché pensano che se mi minacciano è colpa loro, questo è stato il loro messaggio e pensare le reazioni che ho sentito: meno tre, tanto sono cinesi, il contrario dell’amore non è l’odio, che è comunque un sentimento, ma la disumanità. Vede io ho visto passare in 40 anni moltissime comunità, quello che oggi si dice dei cinesi lo si diceva dei calabresi, dei lucani, dei napoletani, purtroppo si ripaga sempre con la stessa moneta».

Perché l’accusano di fare politica?

«A questa domanda le rispondo che l’annuncio del Vangelo ha conseguenze di natura politica. Cos’è, oltretutto, la politica se non ricerca del bene e a questo dobbiamo tendere tutti, c’è chi lo fa con un partito io seguendo il messaggio del Vangelo e affermando la preminenza del valore della persona, sul resto si può discutere tutto, e questo è il messaggio alla politica e che ho condiviso con l’assessore all’immigrazione del Comune di Prato, Giorgio Silli, che penso abbia compreso. La Chiesa deve recuperare la sua vocazione, la sua missione nel richiamare il senso della vita e dell’amore, se perdiamo questo perdiamo tutti».

In questi giorni ho letto richiami alla pratesità, e in effetti capisco viaggiando dalla periferia al centro che ci possa essere un sentimento di assedio, tutte le insegne hanno la traduzione in cinese?

«Voglio essere molto franco un cristiano, cattolico non ha la pratesità nel cuore ma la mondialità altrimenti quello che facciamo si riduce poco più che a un rito, mentre invece dobbiamo annunciare la Verità. Nella nostra diocesi ogni domenica vengono celebrate dieci messe nelle diverse lingue delle comunità cristiane presenti: cinese, polacca, cingalese, albanese, rumeno, filippino, spagnolo, pakistano, e chiaramente l’italiano, e ogni domenica faccio il giro di tutte queste chiese, comunità che vivono, che rappresentano una comunità multietnica che oramai è una realtà che non si può cancellare. Io penso che il vero problema oggi è il senso di insicurezza dovuto alla mancanza di riferimenti, di personalità politiche di spiccato valore morale, così anche la chiesa si deve far carico di questa carenza essendo più profetica».

S.V.