Toscana

Riforma Costituzione, ecco cosa non va…

di Andrea Fagioli

Una riforma costituzionale di grande portata, che tocca ben 52 articoli. Non riguarda i principi fondamentali, ma investe l’organizzazione della democrazia. Cambiano i poteri del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio dei ministri. Cambiano il rapporto e il ruolo di Camera e Senato. Cambiano le competenze delle Regioni. Ma andiamo con ordine.

Il presidente della Repubblica Con la riforma costituzionale, il Capo dello Stato perde alcuni dei suoi poteri fondamentali tra cui la nomina del presidente del Consiglio e lo scioglimento anticipato delle Camere. Il potere di nomina del presidente del Consiglio scompare a favore dei risultati elettorali, nel senso che i sistemi elettorali dovranno evidenziare il candidato premier e il presidente della Repubblica si limiterà a ratificare la nomina del vincitore. Il potere di scioglimento delle Camere passa al presidente del Consiglio, che dopo la riforma si chiamerà «primo ministro». Il Consiglio superiore della magistratura Connesso con i poteri del presidente della Repubblica c’è anche il Consiglio superiore della magistratura, il Csm, l’organo di autogoverno dei magistrati di cui il Capo dello Stato è presidente di diritto. Con la riforma, al presidente della Repubblica compete la designazione del vicepresidente del Csm tra i rappresentanti di nomina parlamentare all’interno dello stesso Consiglio. Questo è uno (insieme alla nomina dei presidenti delle Authority) dei nuovi poteri del presidente della Repubblica (finora infatti il vicepresidente veniva eletto dai membri stessi del Csm), ma certo non compensa le perdita dei poteri di cui si è detto. Il primo ministroSe il presidente della Repubblica vede atrofizzati i suoi poteri, aumentano di contro quelli del presidente del Consiglio che, come detto, si chiamerà primo ministro e potrà nominare e revocare i ministri e sciogliere le Camere. Il primo ministro potrà anche imporre al Parlamento di deliberare su progetti governativi entro tempi certi, ovvero avrà un forte influsso sui lavori parlamentari oltre alla possibilità di spostare competenze dal Senato alla Camera. La corte costituzionale Novità anche sul fronte della Corte costituzionale, l’organismo che ha il compito di vigilare appunto sul rispetto della Costituzione. Cambia infatti il sistema di nomina dei componenti. Finora erano 15 di cui 5 di nomina della magistratura, 5 del presidente della Repubblica e 5 di nomina parlamentare. Con la riforma scendono a 4 ciascuno quelli di nomina della magistratura e della presidenza della Repubblica e salgono a 7 (4 dalla Camera e 3 dal Senato) quelli di nomina parlamentare. La modifica, all’apparenza modesta, è in realtà incisiva perché sposta il baricentro sulla politica con il rischio di una conseguente ed ulteriore politicizzazione della Corte. Il parlamento Uno degli aspetti più delicati della riforma costituzionale è forse l’assetto del Parlamento. Innanzitutto la fiducia la darà solo la Camera, mentre il Senato, che diventa Senato federale della Repubblica, si limiterà a rappresentare le istanze regionali. Il Senato federale sarà chiamato a garantire che lo Stato non si rimangi con nuove leggi l’autonomia concessa alle Regioni. Sarà eletto nel territorio regionale contemporaneamente ai Consigli regionali, ma non si tratta di una «regionalizzazione» come quella tedesca o quella americana dove ogni Stato, al di là della grandezza o dell’importanza, ha due rappresentanti. Ma il punto delicato è un altro: avremo una Camera con un forte potere politico e un Senato con un ruolo secondario. Si prevede infatti che la Camera, oltre a poter sfiduciare il premier, approvi tutte le leggi e i decreti legge che riguardano le materie statali mentre al Senato restino quelle regionali. Insieme approverebbero alcune materie residue. Il punto su cui molti studiosi avanzano dubbi sul corretto funzionamento del sistema è che la distinzione tra le materie è tutt’altro che chiara a partire ad esempio dalla sanità perché alle Regioni compete l’assistenza e l’organizzazione sanitaria ma allo Stato rimane la tutela della salute, oppure a proposito di trasporti qual è il confine tra nazionali e regionali? Il rischio è dunque quello di liti tra Camera e Senato e tra Regioni e Stato. La riforma propone che nei casi dubbi decidano i presidente della Camera e del Senato oppure deleghino un comitato paritetico per una decisione che non sarebbe sindacabile in nessuna sede e che, di fatto, escluderebbe il ricorso alla Corte costituzionale sottraendo così materia alle regole per lasciarla al potere politico. La «devolution» Con termine non certo bello, «devolution», che tradotto in «devoluzione» suona ancora peggio, s’intende l’attribuzione di una competenza esclusiva alle Regioni su alcune materie che si reputa siano meglio gestite da un punto di vista organizzativo e finanziario a livello locale che non nazionale. Su questo punto si è incentrata la battaglia della Lega, ma contrariamente a quanto si possa pensare, rispetto al titolo V vigente, quello della cosiddetta «riforma Bassanini», questa riforma è molto meno regionalista salvo un punto. Nel complesso le innovazioni rappresentano un ritorno di potere allo Stato centrale. Una serie di materie di competenza delle Regioni vengono riportate al centro e ritorna «l’interesse nazionale», motivo per cui su qualsiasi legge regionale il governo nazionale può chiedere alla Regione di modificarla. E se il Consiglio regionale non lo fa, la legge può essere eliminata dalla Camera nazionale. Insomma, la legge regionale non può ledere l’interesse nazionale. Detto questo, la «devolution» alla Bossi si riduce alla norma che riguarda la competenza «esclusiva» su alcune materie (assistenza e organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica, polizia amministrativa) e soprattutto su quelle residuali, su quelle cioè non espressamente riservate alla legislazione dello Stato. In conclusione Con questa riforma avremo un super primo ministro (a scapito del presidente della Repubblica) su cui si concentrano molti poteri tra cui quello di dire «O così, o tutti a casa» (un po’ come adesso accade per i sindaci, tenendo però conto del divario che c’è tra il livello nazionale e quello locale). Avremo un Parlamento disarticolato con un forte rischio di litigiosità. Infine una lacuna: nella riforma costituzionale non si fa riferimento né all’Unione né alla Comunità europea. La riforma in sintesi Il Senato federale Il Senato cambia nome in Senato federale della Repubblica. Sarà composto da 252 senatori eletti su base regionale, contestualmente all’elezione dei Consigli regionali. Si occuperà delle leggi che riguardano le materie su cui Stato e Regioni hanno competenze comuni mentre perde il potere di sfiduciare il premier. L’età minima richiesta per essere eletti passa dagli attuali 40 a 25 anni. Scompare la «spola» di un provvedimento che passa dalla Camera al Senato o viceversa. La Camera Il nuovo Parlamento sarà composto dalla Camera dei deputati e dal Senato federale della Repubblica. La Camera sarà composta da 518 deputati, 18 dei quali saranno eletti nella circoscrizione riservata agli italiani all’estero. Viene introdotta una nuova figura, i «deputati a vita» (scompaiono i «senatori a vita»). La Camera esamina le leggi riguardanti le materie riservate allo Stato. La Camera può sfiduciare il primo ministro, che a sua volta però può chiederne lo scioglimento. L’età minima per essere eletti deputati passa da 25 a 21 anni. Il Capo dello Stato Se da una parte acquista nuovi poteri, ovvero la nomina dei presidenti delle Authority e la designazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, dall’altra il presidente della Repubblica perde il potere di autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo e soprattutto perde il potere di scegliere il primo ministro e di sciogliere le Camere. Cambia anche l’età minima richiesta per accedere al Quirinale: quarant’anni rispetto ai cinquanta previsti dalla vigente legge. Il premier Quello che finora era il presidente del Consiglio dei ministri cambia nome in primo ministro e acquisisce numerosi poteri. Da qui anche la definizione di «premierato». La nomina del primo ministro avverrà direttamente dai risultati elettorali. Il suo nome sarà infatti indicato dalle coalizioni. Il presidente della Repubblica si limiterà a ratificare la nomina, mentre l’insediamento non richiederà più il voto di fiducia. Al primo ministro competerà la nomina e la revoca dei ministri e persino lo scioglimento delle Camere. Le competenze La riforma costituzionale prevede la divisione di competenze tra Stato e Regioni. Quest’ultime avranno potestà legislativa esclusiva su assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; polizia amministrativa regionale e locale; ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Ma la distinzione tra le materie è tutt’altro che chiara a partire ad esempio dalla sanità perché alle Regioni compete l’assistenza e l’organizzazione sanitaria ma allo Stato rimane la tutela della salute. Viene anche reintrodotto «l’interesse nazionale», che nessuna legge regionale potrà ledere, pena la richiesta di modifica e addirittura l’eliminazione. La cosidetta «devolution», cavallo di battaglia della Lega, ha puntato molto sull’«esclusiva» per quelle materie residuali non espressamente riservate alla legislazione dello Stato. Le tappe della Riforma • 20 AGOSTO 2003. A Lorenzago di Cadore (Belluno) comincia il lavoro dei quattro esponenti della Casa delle Libertà che devono definire la proposta della maggioranza di rinnovamento costituzionale. Sono: Andrea Pastore (Fi), Roberto Calderoli (Lega), Domenico Nania (An) e Francesco D’Onofrio (Udc). • 23 AGOSTO 2003. Si conclude il lavoro dei «saggi». Il testo eleborato prevede un Senato federale e una Camera dei deputati con funzioni diverse, soluzioni «anti-ribaltone» per assicurare la stabilità del risultato elettorale, distingue in modo più accentuato le funzioni di governo del Primo ministro e di garanzia del Presidente della Repubblica. • 16 SETTEMBRE 2003. Il Consiglio dei ministri approva un disegno di legge di riforma costituzionale che prevede il Senato delle Regioni e la fine del bicameralismo perfetto, la devolution, il premierato, una nuova Corte costituzionale e l’accentuazione del ruolo di garante del presidente della Repubblica. • 23 OTTOBRE 2003. Il ddl del governo arriva in commissione Affari costituzionali al Senato. • 16 GENNAIO 2004. La commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama approva a maggioranza il ddl. Poco prima dell’approvazione le opposizioni escono dall’Aula in segno di protesta. • 22 GENNAIO 2004. Le riforme costituzionali approdano nell’aula del Senato. • 25 MARZO 2004. Con 156 sì, 110 no e un astenuto il Senato approva il ddl di riforma costituzionale. Nel nuovo sistema il primo ministro viene scelto direttamente dagli elettori, anche se il suo nome non sarà stampato sulla scheda, e ha potere di nomina e revoca dei ministri e di scioglimento della Camera. Vengono introdotti anche la devolution, il Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari. • 7 APRILE 2004. Parte il cammino delle riforme costituzionali alla Camera. • 26 LUGLIO 2004. La commissione Affari costituzionali della Camera approva la riforma del federalismo. Passano due soli emendamenti, quello relativo alla controfirma del ministro della Giustizia per la concessione della grazia da parte del capo dello Stato e quello sulla maggioranza necessaria in parlamento per l’amnistia e l’indulto. • 31 LUGLIO 2004. A Montecitorio, al termine di una giornata segnata da vari scontri verbali, il presidente Pier Ferdinando Casini fissa il calendario per il ddl: testo in aula il 3 agosto per la relazione e l’inizio del dibattito, discussione generale dal 13 al 15 settembre, votazioni dal 16 settembre all’8 ottobre. • 12 OTTOBRE 2004. La Camera respinge l’articolo 24 del testo sulle riforme, volto a rafforzare i poteri del capo dello Stato eliminando la necessità della controfirma per alcuni atti, fra i quali la concessione della grazia. An affossa il provvedimento e si scontra con la Lega. In serata il chiarimento in un vertice di maggioranza. • 15 OTTOBRE 2004. La Camera approva il testo delle riforme Costituzionali con 295 sì, 202 no e 9 astenuti. Il testo torna al Senato • 23 MARZO 2005. Il Senato approva in seconda lettura il disegno di legge costituzionale senza apportare modifiche. • 20 OTTOBRE 2005. La Camera approvato in terza lettura il disegno di legge di riforma costituzionale. • 16 NOVEMBRE 2005. Quarto e ultimo passaggio parlamentare. Con il sì del Senato la riforma è approvata.

Il Dossier del governo sulla riforma

Il testo della riforma (Dal sito del Senato)

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