Toscana

STRAGI NAZISTE: APERTO PROCESSO ECCIDIO FRATI FARNETA

È ammalato Hermann Langer, l’ex nazista ultraottantenne della XVI Divisione Reichsfuhrer accusato della strage di civili e frati certosini compiuto nella Certosa di Farneta (Lucca) tra il 2 e il 10 settembre 1944. Non può partecipare al processo cominciato ieri davanti al tribunale militare della Spezia. Ma, dice il suo avvocato, vuol dire la sua, vuol essere sentito a tutti i costi. È questa una delle novità di un processo appena iniziato e già rinviato alla fine di settembre.

Oggi Langer ha 85 anni ed è l’ultimo superstite del commando di SS che massacrò, dopo averli strozzati con il filo spinato, una quarantina di civili, i frati della Certosa e il vecchio vescovo venezuelano, che nell’abbazia più grande d’Europa cercò rifugio perché perseguitato politico nel suo Paese. Secondo il cliché applicato dalle difese in molti processi per stragi naziste, anche in questo caso il ‘legittimo impedimento’ a comparire in udienza è affidato a un certificato medico che attesta come Langer non possa viaggiare a lungo. Si legge, sui volti dei familiari dei civili massacrati alla Certosa, oggi presenti in aula e costituiti in parte civile, un certo disappunto. Ma il processo, con l’imputato contumace, va avanti. È il colonnello Roberto D’Elia il primo teste della pubblica accusa. A lui, che coordina il pool di carabinieri bilingue applicati dal Comando generale dell’Arma alle indagini sui crimini nazisti, il pubblico ministero affida il compito di illustrare come e perché la procura militare spezzina sia arrivata a Langer come responsabile di quel massacro. D’Elia cita gli atti compilati dagli Alleati, dai carabinieri e dall’ufficio politico della questura di Lucca subito dopo la guerra, ma anche il materiale studiato nelle stanze del Bundesarchiv di Friburgo e Berlino, e alla Deutsche Dienstelle della capitale tedesca. La Commissione alleata individuò Edoardo Florin, un sottotenente della 16/a divisione Reichsfuhrer che era di stanza vicino alla Certosa di Lucca, come il «solito tenente» che si affacciava giorno dopo giorno alla porta della Certosa per chiedere cibo. Florin, che venne anche arrestato, processato e infine assolto per il massacro di Farneta era stato indicato come colui che convinse i frati ad aprire la notte tra il primo e il 2 settembre 1944 la porta della Certosa. Nel 1948, al processo, disse di aver riferito al suo diretto superiore, il tenente Hermann Langer, che nella Certosa si nascondevano partigiani. Langer ne parlò con il suo superiore, il tenente colonnello Loos, capo del servizio informazioni e controguerriglia della Gestapo che a sua volta informò il generale Max Simon. Simon decise per l’irruzione nella Certosa, il rastrellamento e il successivo massacro dei civili e dei frati.

D’Elia poi ha tracciato un profilo militare di Langer: arruolato giovanissimo nelle SS diventa sergente e poi entra nella Totenkopf, le teste di morto responsabili dei più feroci massacri in Italia e all’estero. Presta servizio a Dachau nelle fila della Totenkopf. «Langer venne ferito il 27 maggio 1940 a Le Paradis, in Francia, durante il massacro di 100-150 prigionieri inglesi della Royal Norfolk” dice D’Elia, che conferma come, con tutta probabilità, partecipò al massacro di soldati assolutamente inermi e arresi. Questa specificazione fa infuriare l’avvocato di Langer che tenta un’opposizione, respinta. Ma il profilo dell’ex SS è ormai tracciato. «Impiccarono i frati con il filo spinato prima di finirli con un colpo in fronte – dice D’Elia -. Questa tecnica era la firma stessa della XVI Divisione Reichsfuhrer”.

Il processo è iniziato con la lettura, da parte della segreteria d’udienza, del capo di imputazione e dei nomi delle vittime. Sessanta nomi, uno dopo l’altro. Due i sedicenni, molti i vecchi inermi. Un vescovo, appunto, di origine venezuelana, zoppo. Tutti i frati cistercensi. La sera dell’irruzione, qualcuno cercò di scappare dalle segrete. «Ma l’abbazia era circondata. Furono tutti rastrellati: gli abili al lavoro deportati in Germania, gli altri uccisi”. «I sacerdoti erano i primi a venire uccisi – ha ricordato D’Elia -. Loos, il comandante di Langer, che era della Gestapo, veniva proprio da un settore specifico della scuola nazista che si dedicava alla lotta contro le religioni e i culti”. Dopo D’Elia, è il turno del professor Paolo Pezzino, consulente tecnico del pubblico ministero, ordinario di storia contemporanea all’Università di Pisa, consulente della Commissione d’inchiesta sull’occultamento dei fascicoli nell’armadio di Palazzo Cesi.

«I nazisti della XVI Divisione – afferma Pezzino – applicavano in Italia, durante la ritirata del ’44 verso la Linea Gotica, la stessa indifferenza per la vita umana che avevano impiegato nei campi di sterminio, utilizzando tecniche prettamente terroristiche e di sterminio”. E di indifferenza parla lo studioso, terminata la sua deposizione, commentando il disinteresse per i processi agli ex nazisti incardinati dalle procure militare italiane. Anche per questo ferocissimo episodio culminato in torture, che, a dire del colonnello D’Elia, sono state inenarrabili.(Chiara Carenini – ANSA).

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