Toscana

Virus H5N1, la psicosi mette in crisi gli allevatori

Si prepara a Siena il possibile vaccinoLa psicosi dell’influenza aviaria che si sta diffondendo tra i consumatori italiani ha fatto dimezzare il consumo di pollame e di uova con grave danno economico per l’intero settore. Eppure il virus H5N1 per ora infetta solo uccelli e in determinate aree geografiche (Asia). È vero che i fenomeni migratori, più ancora dei commerci (bloccati con le aree a rischio) possono portare l’epidemia aviaria anche in Italia, con gravi danni ai nostri allevamenti, ma finora nessun caso è stato riscontrato. L’allarme comunque è massimo ed è stata attivata tutta una rete di controlli e divieti. Tutt’altro discorso va fatto per l’uomo. Finora nel mondo sono stati registrati circa 120 casi di contagio, tutti localizzati nel sudest asiatico e con trasmissione per contatto da animali infetti (mai per alimentazione). La mortalità è stata del 50%, ma bisogna tener conto che le condizioni igieniche e sanitarie di quelle zone sono molto basse e i casi non sono stati curati per tempo. Per ora dunque non ci sono rischi, ma si ritiene altamente probabile che il virus si ricombini e si possa così trasmettere anche all’uomo. Con che pericolosità nessuno lo può prevedere. Si sa solo che alcuni antivirali già in commercio potrebbero essere utili. Per questo l’Oms ha chiesto di accantonarne a sufficienza per il 25% della popolazione. Per un vaccino, invece, occorreranno almeno 3 mesi dall’isolamento del virus e quindi dall’inizio dell’eventuale pandemia. Le aziende di tutto il mondo sono già al lavoro. Tra queste la Chiron Vaccines di Siena (ex Sclavo) che dovrà fornire il 70% delle 35 milioni di dosi prenotate dal nostro ministero della salute. Ma il pollo ruspante tira ancoradi Riccardo Bigi«La guardi come sono belli, ma le pare possibile siano malati? La mi dia retta, io i polli l’ho sempre tenuti, se un pollo è malato lo vedo. Questi, gliel’assicuro, son più sani di me e di lei». In effetti, a vederli razzolare su e giù per la vigna, più che l’influenza aviaria fanno venire in mente i sapori genuini d’una volta. I polli del Valdarno sono una delle razze più pregiate: il piumaggio bianco e lustro, le lunghe zampe arancioni, la cresta rosso fuoco. Amano il bosco, i campi, gli spazi aperti: mangiano quello che trovano. Soprattutto, è impossibile allevarli in batteria. La signora Carla li alleva da una vita. Con il marito ha dato vita all’azienda «I selvatici», a 3 chilometri da Montevarchi, sulle colline che separano Chianti e Valdarno: il marito si occupa della vigna, lei degli animali. In passato, racconta, ha avuto anche duemila polli, ora da tre anni è in pensione e ne tiene «solo» quattrocento. «Per uso familiare, al massimo per qualche amico e conoscente…».Il virus H5N1, la famigerata influenza dei polli, non la preoccupa più di tanto: «Ho chiesto alla Asl ma per ora non ci hanno dato indicazioni, non ci sono particolari precauzioni da seguire se non stare attenti alla salute degli animali. Io vado a occhio: basta guardarli, le piume bianche e lucide, l’occhio vispo… E poi, gli escrementi: guardi che belle cacche dure, quando sono malati gli viene subito la diarrea. Quando avranno trovato il vaccino giusto, probabilmente lo faranno fare sia ai polli che a noi. Ma per ora ci dicono che possiamo stare tranquilli».

E il crollo delle vendite? «Macchè, da quando fanno vedere in televisione quei polli cresciuti dentro quegli stanzoni, tutti legati, abbiamo avuto un aumento di richieste, la gente non fa che chiederci se abbiamo qualche pollo da dargli. La crisi semmai riguarda i grandi allevamenti, quei due o tre grandi produttori che riempiono gli scaffali dei supermercati e i banchi delle macellerie in tutta Italia. La gente non si fida più, e torna a cercare il pollo del contadino». Succede, insomma, quello che succedeva con la «chianina» ai tempi della mucca pazza: di fronte all’allarme, il consumatore medio va alla ricerca della genuinità. Eppure, dicono gli esperti, il virus è trasmesso dagli uccelli migratori: i polli di batteria, che vivono al chiuso e sono continuamente controllati, sono i più sicuri. «Sarà anche vero – risponde la signora Carla – ma è anche vero che in batteria se un pollo si ammala, si ammalano tutti nel giro di un’ora. E allora, per essere sicuri, li devono imbottire di medicine. E poi i mangimi che gli danno… Ormai siamo abituati a vedere, nei supermercati, quei petti gonfiati, già pronti nelle vaschette, oppure i polli enormi, già cotti, a 3 euro. Ma se uno si chiede come fanno a crescere così…». Già, e il prezzo? «I polli del Valdarno costano all’incirca 9 euro al chilo, pesati da vivi. Se si pensa che per crescerne uno ci vogliono 6 mesi, non è molto».

Certo, è un pollo da intenditori: la pelle sottile e poco grassa, la carne dura e ben attaccatta all’osso, saporita. Da tempo si parla di introdurre il marchio Dop (denominazione di origine protetta) ma ancora non sono stati definiti i confini territoriali e il protocollo per gli allevatori. Per le sue caratteristiche, non potrà mai essere un pollo da grande distribuzione: ha un mercato ristretto fatto di persone che vanno a comprare direttamente dai produttori, oppure di ristoranti che vogliono offrire carne di prima qualità. Allevarlo è poco redditizio, e ormai le aziende agricole che lo tengono sono rimaste una decina, in un quadrilatero compreso tra Montevarchi, Cavriglia, Figline, Loro Ciuffenna. Qualche allevamento simile, a terra, c’è anche in Val di Chiana ma la razza è leggermente diversa. Non può essere allevato al chiuso, non raggiunge mai grandi dimensioni (un chilo e mezzo le fammine, mentre i maschi raramente superano i due chili), cresce lentamente. La sua carne dura, il sapore marcato non sempre piacciono a chi è abituato al pollo di batteria. E poi richiede una lunga cottura, arrosto, lesso o in umido che sia, poco compatibile con i tempi ristretti delle famiglie moderne. «Per poterli vendere si devono seguire regole complicate – spiega la signora Carla – l’Asl impone di tenere un registro di tutti gli animali, e le visite periodiche del veterinario. E poi bisogna portarli a macellare a Firenze, perché in zona non c’è un macello. Oppure bisognerebbe farsi un macello privato, una stanza piastrellata, con acqua corrente, la spiumatrice elettrica… Una decina d’anni fa l’avrei fatto, oggi non ho più voglia. E mio figlio ha trovato più soddisfazione nel vino, lo esporta perfino in America e in Giappone. Anche i polli ce li ha chiesti qualche ristorante americano, ma che vuole, sarebbe troppo complicato spedirli».

Per il resto, le attrezzature per mettere su un allevamento sono semplici: c’è l’incubatrice, i pulcini appena nati vengono vaccinati e per una quindicina di giorni cresciuti con il mangime preso al consorzio. Poi vengono messi in libertà, con tutti gli altri. «Vorrebbero stabilire, per dargli il bollino Dop, uno spazio minimo, tanti metri quadri per ogni pollo, ma io sono contraria: non ci vuole proprio nessun recinto, devono poter andare a pascolo dove gli pare. Noi gli si mette solo un po’ di granturco, e l’acqua. Il resto lo trovano da soli: erba, vermi, ghiande, le olive che cadono dagli alberi. L’unico problema è quando c’è l’uva matura, allora gli si deve mettere una rete perché senno beccano tutti i grappoli». E la sera? «La sera tornano da soli nei capanni e appena fa buio si passa a chiuderli. Ogni tanto qualcuno resta fuori, e lo mangia la volpe. Oppure vengono i ladri: l’anno scorso a Natale ci hanno rubato dieci capponi».

Sui giornali hanno scritto della proposta di alcuni scienziati inglesi di creare in laboratorio una nuova razza di polli ogm, geneticamente modificati, refrattari alle malattie, per sostituire nel giro di una decina d’anni tutti i polli esistenti sul pianeta. Un’idea nata dall’esigenza di sicurezza alimentare. «Che le devo dire – risponde dubbiosa la signora Carla – io mi tengo i miei polli, nati dalle uova fatte dalle mie galline. Mi sento più sicura così, almeno so quello che mangio. Domani ho persone a pranzo e sei di questi li metto in forno, stia tranquillo che non si lamenterà nessuno».

La schedaAllevamento avicolo in Italia6 mila allevamenti173 macelli517 imprese180 mila lavoratori13 miliardi di uova prodotte per un fatturato di 1,250 miliardi di euro 220 uova: consumo procapite annuo degli italiani1,13 milioni di tonnellate di carni per 3,3 miliardi di euro di fatturato Gli effetti del virus-50% il calo del consumo di carne di pollo5 milioni di euro al giorno la perdita stimata Così in ToscanaLa Toscana partecipa per il 4% alla produzione nazionale di uova e solo per l’1,7% alla produzione di carne. Tuttavia la produzione lorda vendibile del comparto, incluso il settore dei conigli, rappresenta più del 35% della produzione zootecnica regionale. La consistenza degli allevamenti avicoli toscani al 2000 (V censimento dell’agricoltura) è la seguente:Polli da carne 1.435.000Galline ovaiole 1.070.000Tacchini 385.000Faraone 104.000Altri avicoli 485.000

La provincia più interessata all’allevamento avicolo è quella di Arezzo; seguono Siena e Grosseto. Fonte: Coldiretti

Influenza dei polli, Toscana sotto controllo