Vita Chiesa

A scuola di preghiera/1

E se dedicassimo a Dio l’otto per mille del nostro tempo?Predicando in una chiesa fiorentina, un monaco proponeva qualche tempo fa questa riflessione: le persone che si confessano da lui affermano spesso di non pregare quanto vorrebbero, aggiungendo però subito dopo, per scusarsi, che tra i mille impegni della giornata (lavoro, famiglia, commissioni da sbrigare) non trovano il tempo. Eppure, noi cristiani accettiamo di buon grado di destinare alla Chiesa (e quindi a Dio) l’8 per mille delle tasse che paghiamo. Non potremmo decidere di dedicare a Dio l’8 per mille del nostro tempo? Contando i 1440 minuti di una giornata, l’8 per mille ammonta appena a 11,52 minuti. Possibile – concludeva il frate – che non si trovino meno di 12 minuti al giorno da trascorrere in preghiera? Oltre alla questione del tempo, per molti però si presenta il problema di come riempirlo. Non siamo più abituati – lo diceva monsignor Comastri nell’intervista che abbiamo pubblicato la scorsa settimana – al silenzio, non siamo abituati a parlare con Dio e ad ascoltare la sua voce. La Quaresima, tempo di conversione, è anche l’occasione di intensificare il tempo dedicato alla preghiera e di imparare a pregare meglio. Nelle settimane di Quaresima, Toscanaoggi propone quest’anno una «scuola di preghiera». Con l’aiuto di esperti di spiritualità, cercheremo di approfondire le motivazioni, le forme, i gesti, le parole della preghiera.Riccardo Bigi Pregare: parlare con Dio per rigenerare se stessidi Stefano Manetti*Direttore spirituale del Seminario di Firenze«…se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa».(Salmo 28,1)

Ognuno di noi è potuto crescere non soltanto perché qualcuno lo ha nutrito ma anche perché qualcuno gli ha parlato. Noi viviamo di relazioni e la preghiera è una relazione. Quando prego mi metto di fronte a un Tu che è Altro da me e al tempo stesso è a me così vicino, così intimo, perché questo Tu è Dio, quel Dio nel quale un giorno sono stato «immerso»: battezzato, appunto, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Prego ogni giorno perché ci tengo che questa relazione si mantenga, si approfondisca e si rafforzi, perché è la mia vita.

È particolarmente proprio dell’amicizia, lo diceva già Aristotele, che «gli amici vivano insieme». Se non ci si parla non ci si conosce, se non ci si conosce non ci si ama, se non ci si ama non si può vivere l’uno per l’altro e la vita cristiana consiste nel vivere per Cristo e non più per sé stessi. «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso…» (Mc 8,34), cioè smetta di pensare troppo a se stesso e si abbandoni al Tu con piena fiducia, fino a donarsi totalmente a Lui facendo la Sua volontà. Ora, questa «uscita da sé», questo liberarsi dai lacci che ci legano ai capricci egoistici del nostro «io» non è affatto spontanea ma richiede quotidiana dedizione e comporta una certa fatica. Per questo il Signore ci dice: «Seguimi!», per trarci fuori da una vita ego-centrata. Bisogna pertanto che io presenti Gesù al mio cuore il più frequentemente possibile, perché il cuore si affeziona a ciò che gli viene presentato, si attacca a ciò che viene a fargli visita più spesso. La preghiera mi è necessaria perché il mio cuore, se è lasciato a se stesso, si distrae facilmente e con difficoltà poi recupera il proprio ordine interiore che consiste nel mettere Gesù al centro. Pregare è esercitarsi continuamente a tenere il cuore rivolto a Cristo perché ci si affezioni, vi metta le radici, si nutra del Suo affetto fino a non poter più vivere senza di Lui. Da questo infatti sappiamo di aver realmente incontrato Cristo: se non possiamo vivere senza di Lui. Perciò Paolo raccomandava nelle sue lettere di pregare sempre, senza interruzione: sapeva bene che ognuno di noi ha bisogno di essere educato, disciplinato verso l’oggetto del suo affetto: «pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche allo Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza». (Ef 6,18). Gesù stesso ha raccontato una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi (cfr Lc 18,1). E quando gli fu chiesto quale fosse il primo comandamento rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (Mc 12,30).

Quando preghi adempi al primo comandamento perché metti in pratica tutte queste cose, dunque pregare è doveroso. La preghiera consiste infatti nel rivolgersi al Tu con tutto te stesso: con tutte le forze, perché sottrai del tempo alle tue occupazioni, disponi il tuo corpo in un atteggiamento consono, ti sforzi di concentrarti; con tutta la tua mente perché sei lì per pensare solo al Signore, cercando di vincere le distrazioni e a Lui indirizzi tutte le tue energie mentali; con tutto il cuore, perché tutto il tuo affetto in quel momento è rivolto a Lui e vuoi riempirti di Lui. Tutto ciò comporta una decisione consapevole: un bene così prezioso non può essere lasciato al caso o allo spontaneismo, al «pregare quando mi sento».

Come potremmo, per altro, affrontare il deserto, ovvero i momenti di aridità interiore che sono parte integrante e necessaria di ogni seria esperienza di preghiera? I momenti di aridità purificano la fede e la rendono più forte, per questo sono necessari. Perchè, dunque, preghi? Non tanto per rilassarti, per stare tranquillo o per ricevere consolazioni interiori ma piuttosto perché cerchi Dio e Lui solo. La preghiera è ri-centrarsi in Dio, ponendolo in cima ai nostri pensieri, ai nostri affetti, alle nostre preoccupazioni. Da questo atto la persona si rigenera, nutre la propria fede, costruisce la propria unità interiore che la mette nella condizione di avvertire chiaramente in ogni momento il senso di quello che è e di quello che fa, di relativizzare i problemi e di elevarsi sopra i propri affanni. «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia» e il resto vi sarà dato in aggiunta. I sacramenti ci innestano in Cristo ma la nostra crescita in Lui dipende dalle nostre opere e la preghiera è un’opera indispensabile. Anche quando preghi perché ti trovi nel bisogno, ti avvicini a Dio. Diceva San Bernardo: «Le frequenti tribolazioni portano l’uomo a pregare frequentemente Dio; il pregarlo frequentemente porta a gustarne la soavità e nel gustarlo si prova quanto è dolce il Signore. Così avviene che si è spinti ad amare Dio dalla sua soavità che si è gustata, più che dalla nostra necessità che urge».

In Racconti di un pellegrino russo, buon libro sul potere trasformante della preghiera, si legge: «Molte sono le opere buone che si richiedono al cristiano, ma l’opera della preghiera deve venire prima di ogni altra, perché nessuna opera buona può essere fatta senza di essa. (…) “Acquista la madre ed ella ti darà una discendenza,” dice sant’Isacco il Siro, “impara prima di tutto a pregare e non ti sarà difficile praticare tutte le virtù”».

«Semplicità e allegria»Così pregano i giovanidi Pierdante GiordanoLa parola e la vita di Don Bosco sono fondamentali per comprendere le caratteristiche della «preghiera giovanile salesiana». Educato, fin dai primi anni di vita da mamma Margherita, a saper contemplare Dio nella natura e negli avvenimenti umani, Don Bosco formava i suoi ragazzi a percepire la «presenza» di Dio nella loro vita e a interagirvi di conseguenza. «Dio ti vede» era l’insistente richiamo del Santo dei giovani: un richiamo che educava non al timore inteso come paura (sentimento diffuso nella pratica religiosa del suo tempo), ma al rispetto, alla familiarità e al «timore di offendere» un Dio, accolto come Padre. Su questi toni di «famiglia» Don Bosco ha educato nei suoi spazi aperti all’accoglienza dei giovani e che ha voluto chiamare «oratorio», a ricordare l’essenzialità della preghiera. E quando ha consegnato loro una sorta di manuale di preghiera, dal titolo «Giovane provveduto», in poche pagine ha tracciato i suoi obiettivi educativi a favore di tutta la gioventù: desidero solo il vostro bene, cioè che siate santi; vi insegno un modo semplice, facile e lieto. La «spiritualità giovanile» che nella Famiglia Salesiana continua l’impegno educativo di Don Bosco per la gioventù è ben indicato nella Lettera del Papa («Juvenum patris», 1988) che scrisse: «Il primo aspetto che ci colpisce della santità di Don Bosco, e che è lì quasi a nascondere il prodigio dell’intensa presenza dello Spirito, è il suo atteggiamento di semplicità e di allegria che fa apparire facile e naturale ciò che in realtà è arduo e soprannaturale».Così è stata la preghiera per Don Bosco, così rimane nella proposta ai giovani che incontrano la sua proposta di educazione alla fede e alla santità.

«Preghiera» diventa «esperienza di Dio». Nello stile semplice, popolare, immediato, spontaneo, festoso, vivace, aggregativo, schietto, ma anche sincero, profondo, coraggioso, impegnato come lo è il volto giovanile della Chiesa. Don Bosco prega con i suoi ragazzi, per i suoi ragazzi, come i suoi ragazzi. Non voleva gesti, riti, tempi, modalità speciali. Chiedeva cose «semplici» e «facili» attraverso cui tutti potessero incontrare Dio, il Cristo Gesù, la Vergine Maria. Se in qualche tratto la sua «preghiera» (intesa come esperienza di vita in relazione a Dio più che come parola o rito compiuti) insegnata ai giovani può dirsi sbilanciata, lo è in favore del realismo e della concretezza che sempre hanno caratterizzato il suo impegno pastorale in un tempo spinto alla modernità, all’intraprendenza, all’attivismo che spingeva ad escludere Dio dalla concretezza della storia. Senza perdere di profondità e di bisogno costante di interiorità la preghiera giovanile che Don Bosco ha vissuto e insegnato, era una preghiera che si faceva operatività, azione, intraprendenza. Oggi i Salesiani lo ripetono con una espressione incisiva e pregnante: «contemplativi nell’azione», capaci di «estasi dell’azione». Obiettivi alti che coniugano il bisogno di cercare e contemplare «il volto di Dio», anche nella storia quotidiana, e il bisogno di immergersi nella fatica per cambiare il nostro mondo (quale giovane non si sente spinto su questa prospettiva?). Di qui un grande esercizio educativo che è ascesi, apprendimento, riflessione, ascolto, esperienza.

Nell’ambito della spiritualità giovanile salesiana si sono moltiplicate le «Scuole di preghiera» (convinti che «a pregare si impara»), le esperienze forti di formazione e di preparazione di «Animatori» (giovani che hanno risposto alla vocazione di essere «giovani per i giovani» nello stile della passione educativa di Don Bosco), gli strumenti educativi che mirano a maturare nei giovani più «normali» (ma anche in quelli che a volte hanno la loro vita segnata da esperienze negative o compromettenti) la capacità di esprimere la propria «familiarità» con Dio, accolto come Padre.

Una Quaresima di silenzio per ascoltare il bisogno di Dio