Vita Chiesa

Al centro del dibattito il ruolo del laicato

di Andrea FagioliLa cosa più bella è vederli sciamare dall’aula dell’assemblea verso i gruppi di studio. Come formiche si muovono rapidamente nei grandi spazi della Fiera di Verona. Sono i quasi tremila delegati al Convegno ecclesiale nazionale, tutti «allineati e coperti» come si diceva una volta in gergo militare. Sono loro i protagonisti del quarto appuntamento decennale della Chiesa italiana dopo Roma, Loreto e Palermo. Quei delegati che non hanno esitato a contestare bonariamente la lunghezza della prolusione (peraltro molto apprezzata) del cardinale Dionigi Tettamanzi all’Arena nel pomeriggio d’apertura, lunedì 16. In tanti, da tutta Italia, arrivati nella città scaligera convinti di partecipare a un evento. «La storia del cattolicesimo italiano passa anche da qui», diceva lunedì mattina un delegato fresco d’accredito mostrando con orgoglio il suo pass con il simbolo e il tema dell’assise veronese: «Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo».Testimoni come i 16 di «santità recente» indicati dalle diocesi e le cui gigantografie hanno fatto da cornice, dall’alto dell’Arena, alla celebrazione inaugurale presieduta dal vescovo locale Flavio Roberto Carraro, conosciuto in Toscana per essere stato titolare di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Una liturgia arricchita da elementi simbolici mentre i delegati delle diocesi italiane raggiungevano l’Arena partendo da quattro chiese cittadine accompagnati da una lunga preghiera litanica durante la quale sono stati invocati, oltre agli apostoli e ai martiri, i 206 «santi storici» delle Chiese locali, raffigurati e raccolti in altrettanti espositori che hanno fatto da sfondo, anche luminoso, alla celebrazione liturgica, all’apertura ufficiale dei lavori con la rammentata prolusione del cardinale Tettamanzi e al breve concerto offerto dalla Fondazione «Arena di Verona» a chiusura di un pomeriggio iniziato sotto il sole cocente e finito al freddo dopo un suggestivo tramonto d’ottobre sull’Adige.

Tettamanzi, ricordando che è da tempo giunta l’ora di «tradurre il Concilio in italiano», ha invitato a parlare «non solo di speranza, ma anche e soprattutto con speranza». L’arcivescovo di Milano, presidente del Comitato preparatorio del Convegno, è stato a lungo applaudito (questa volta sul serio) quando ha invitato ad amare l’altra parrocchia come la propria, l’altra diocesi, l’altra Chiesa, l’altra aggregazione…. E poi ancora quando ha affermato che «non si dà testimonianza al di fuori della comunione ecclesiale» e quando, a proposito dei laici, ha chiesto con forza che «la parola del Concilio diventi autentica prassi ecclesiale».

Poi è stata la volta dei gruppi di studio (martedì 17 e mercoledì 18). I delegati al Convegno sono stati chiamati a confrontarsi su vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza. Due giorni d’intenso dibattito, in parte a ruota libera, ma con l’attenzione alle «parole capaci di raccontare la speranza cristiana dentro le attese degli uomini di oggi», come suggerito dal teologo Franco Giulio Brambilla. Per questo «la Chiesa – a giudizio di Paola Bignardi – ha bisogno dei laici, della loro intelligenza spirituale creativa, del loro convergere nella comunione». «Occorre costruire reti di responsabilità e di unità», dice Savino Pezzotta. Due giorni per mettere a fuoco un modo di essere Chiesa in attesa del suggello della parola del Papa la cui visita a Verona, giovedì 19 (non ancora effettuata al momento di chiudere questo numero del giornale), segna in modo indelebile il Convegno ecclesiale nazionale.