Vita Chiesa

BENEDETTO XVI A TORINO: LA SINDONE ICONA DEL MISTERO DEL SABATO SANTO

La Sindone è “l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù”. Lo ha detto, ieri sera, Benedetto XVI, nella sua meditazione in occasione della venerazione della Santa Sindone nel duomo di Torino (testo integrale). “Il Sabato Santo – ha rilevato il Papa – è il giorno del nascondimento di Dio”. E, in effetti, “nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più”. Infatti, “dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità”. Tuttavia la morte di Gesù “ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento ‘fotografico’, dotato di un ‘positivo’ e di un ‘negativo’”. “Il mistero più oscuro della fede – ha chiarito Benedetto XVI – è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la ‘terra di nessuno’ tra la morte e la risurrezione, ma in questa ‘terra di nessuno’ è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo”. La Sindone, allora, “ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale”. In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù è “disceso agli inferi”. Ciò “vuol dire – ha spiegato il Papa – che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: ‘gli inferi’”. Cristo, rimanendo nella morte, “ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui”. Tutti, ha osservato il Pontefice, “abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare”.Nel Sabato Santo, ha sottolineato Benedetto XVI, “nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato ‘negli inferi’: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori”. L’essere umano, ha aggiunto, “vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli”. Questo, dunque, “è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione”. Secondo il Papa, “guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede” si percepisce “qualcosa di questa luce”. In effetti, “la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore”. Questo, a giudizio del Pontefice, “è il potere della Sindone: dal volto di questo ‘Uomo dei dolori’, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati” promana “una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio”. La Sindone “parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita”. Specialmente “quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo”. “Lodiamo sempre il Signore – ha concluso – per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità”.Sir