Vita Chiesa

BENEDETTO XVI IN GERMANIA: A FRISINGA INCONTRO CON SACERDOTI E DIACONI PERMANENTI

Un incoraggiamento a non stancarsi mai, ma a proseguire con fiducia nel ministero a loro affidato: è quello che ha rivolto, stamattina, il Papa, nel duomo di Frisinga, a sacerdoti e diaconi permanenti. Il Papa ha preferito non leggere il testo e ne ha richiamati a braccio alcuni punti. “L’atteggiamento principale di Gesù”, come appare in più passi del Vangelo, “è un ottimismo di fondo, basato sulla fiducia nella potenza del Padre” e “questa fiducia di Gesù – ha scritto il Papa nel testo lasciato alla lettura dei presenti – diventa per noi motivo di speranza, considerando la capacità che Egli ha di scorgere, oltre il velo delle apparenze, l’azione misteriosa ma irresistibile del Padre”. Anche il sacerdote “deve farsi permeare da questa fiducia nella forza della Grazia, essendo stato lui stesso un terreno che aveva avuto bisogno di essere prima dissodato dal Seminatore divino per diventare capace di accogliere il seme e di lasciarlo sviluppare fino a produrre una risposta piena e matura”. La progressiva assimilazione dei sentimenti del Maestro “porterà il sacerdote a condividerne lo sguardo pieno di fiducia” ed “entrando sempre più profondamente nella logica di Gesù”, imparerà “a guardare alla gente che lo circonda come alla ‘messe di Dio’, pronta per essere raccolta nei granai del Cielo”.

In realtà, nel testo lasciato alla lettura dei sacerdoti e dei diaconi permanenti, il Papa ha sottolineato che “Gesù ai suoi discepoli non ha dato il compito di andare a chiamare altri volontari o di organizzare campagne promozionali per raccogliere nuove adesioni, ma di ‘pregare’ Dio”. Ciò non significa che “la pastorale vocazionale deve limitarsi alla preghiera”, ma che “solo rimanendo in intima comunione con il Padrone della messe”, “si può coinvolgere altri operai nel lavoro per il Regno di Dio”. Insomma, “non ci si muove dunque all’interno di una logica di numeri e di efficienza, ma di gratuità e di dono”. Gli “operai” della messe di Dio, dunque, “sono coloro che sanno mettersi sulle orme di Cristo”, ma “ciò suppone il distacco da sé e la ‘sintonizzazione’ piena con la volontà di Lui”. Si tratta di “un impegno non facile perché urta contro la ‘forza di gravità’ a noi connaturale, che ci porta a convergere sul nostro io. Tale forza la vinciamo soltanto se intraprendiamo un cammino pasquale di morte e di risurrezione”. Attraverso questo cammino pasquale “il discepolo diventa un vero testimone del Signore”.

“Servus Christi” e “vox Christi”: ricordando le “due definizioni” con le quali “Sant’Agostino ha cercato di spiegare l’essenza del compito del ministro ordinato”, nel testo scritto per l’incontro con i presbiteri e diaconi permanenti nel Duomo di Frisinga, il Papa ha evidenziato come “qualificare il sacerdote ‘servus Christi’ significa sottolineare che la sua esistenza ha un’essenziale ‘connotazione relazionale’: in ogni sua fibra egli è relativo a Cristo”. Questo “non toglie nulla al suo riferimento alla comunità, ne costituisce anzi il fondamento”: “in virtù del carattere sacramentale, ricevuto nell’Ordinazione, egli appartiene a Cristo e ne condivide la dedizione senza riserve al ‘corpo’ della Chiesa”. Anche nella definizione “vox Christi” emerge, ha sottolineato il Papa nel testo non letto, la “connotazione relazionale” del ministro: come “voce” egli è relativo alla “Parola” che è Cristo. Si rivelano qui “la grandezza e l’umiltà del ministero ordinato”, perché “come Giovanni Battista, il sacerdote e il diacono non sono che i precursori, i servitori della Parola. Al centro non stanno loro ma Cristo, di cui essi devono essere “voce” con tutta la loro esistenza”.

“Come conservare l’unità interiore nell’attivismo a volte logorante del ministero?”, si chiede il Papa nel discorso lasciato ai sacerdoti e ai diaconi permanenti a Frisinga, per il quale “l’approccio alla soluzione di questo problema sta nell’intima comunione con Cristo”. “Il rapporto ontologico con Cristo”, dunque, deve diventare “vivo nella coscienza e quindi nell’agire”. Da ciò emerge “una nuova visione dell’ascesi sacerdotale”, che “non è da collocare accanto all’agire pastorale come un peso aggiuntivo”. “Nell’azione stessa – si legge nel testo -io apprendo a superarmi, a donare la mia vita con serenità; nella delusione e nell’insuccesso imparo a rinunciare, ad accettare il dolore, a distaccarmi da me stesso. Nella gioia della riuscita apprendo la gratitudine. Nell’amministrazione dei sacramenti li ricevo interiormente io stesso…”. Questa “ascesi del servizio” è, a giudizio del Santo Padre, “senz’altro un motivo molto importante che richiede però sempre di nuovo un riordinamento interiore dell’agire a partire dall’essere”.

“Anche se il sacerdote cerca di vivere il servizio come ascesi e l’agire sacramentale come incontro personale con Cristo – ha scritto il Papa – avrà tuttavia bisogno di momenti per prendere fiato, affinché questo orientamento interiore possa effettivamente diventare reale”. Per Benedetto XVI, “il generoso spendersi per gli altri non é possibile senza la disciplina e il costante ricupero di una vera interiorità piena di fede”. L’efficacia dell’azione pastorale “dipende, in definitiva, dalla preghiera; altrimenti il servizio diventa vuoto attivismo”. Perciò, “il tempo dell’incontro immediato con Dio nella preghiera a buona ragione può essere qualificato come la priorità pastorale per eccellenza: è il respiro dell’anima, senza il quale il sacerdote necessariamente resta ‘senza fiato’, privo dell’‘ossigeno’ dell’ottimismo e della gioia, di cui abbisogna per lasciarsi mandare, giorno per giorno, come operaio nella messe del Signore”. Sir