Vita Chiesa

BENEDETTO XVI: UDIENZA, «NON SI PUÒ PREGARE DIO IN MODO INDIVIDUALISTA»

«Non si può pregare Dio in modo individualista». È quanto ha affermato il Papa nella catechesi dell’udienza generale di oggi, dedicata a una riflessione sul «posto» della preghiera e della liturgia, in particolare della Messa, nella vita del cristiano. «Pregare significa elevarsi all’altezza di Dio, mediante una necessaria graduale trasformazione del nostro essere», ha spiegato Benedetto XVI, precisando che «il legame inscindibile tra Cristo e la Chiesa non annulla il tu e l’io, bensì li innalza alla loro unità più profonda». «Trovare la propria identità in Cristo», quindi, «significa giungere a una comunione con Lui, che non mi annulla, ma mi eleva alla dignità più alta, quella di figlio di Dio in Cristo». Partecipando alla liturgia, per il Papa, «facciamo nostra la lingua madre della Chiesa, apprendiamo a parlare in essa e per essa». «Come imparo a pregare, come cresco nella mia preghiera?». «Apprendo a pregare, alimento la mia preghiera – la risposta del Papa, sulla scorta del Padre nostro – rivolgendomi a Dio come Padre e pregando con altri, pregando con la Chiesa, accettando il dono delle sue parole, che mi diventano poco a poco familiari e ricche di senso». «In ogni preghiera», e soprattutto nell’Eucaristia, «non parliamo solo come singole persone, bensì entriamo nel ‘noi’ della Chiesa che prega. E dobbiamo trasformare il nostro io entrando in questo noi».

La liturgia «è il culto del cielo aperto», ha detto Benedetto XVI, «implica universalità» perché «è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio». «Anche nella liturgia della più piccola comunità – ha sottolineato il Santo Padre – è sempre presente la Chiesa intera», per questo «non esistono stranieri nella comunità liturgica», anzi «in ogni celebrazione liturgica partecipa assieme tutta la Chiesa, cielo e terra, Dio e gli uomini». Risiede in questo la «natura cattolica» della liturgia cristiana, che «anche se si celebra in un luogo e uno spazio concreti, proviene dal tutto e conduce al tutto, in unità con il Papa, con i vescovi, con i credenti di tutte le epoche e di tutti i luoghi». «La liturgia si celebra per Dio e non per noi stessi, non è un nostro fare, ma è azione di Dio in noi e con noi», ha ammonito Benedetto XVI: «Non è il ricordo di eventi passati, ma è la presenza viva del mistero pasquale di Cristo che trascende e unisce i tempi e gli spazi». Proprio per la sua «universalità e apertura», ha spiegato il Papa, la liturgia «non può essere ideata o modificata dalla singola comunità o dagli esperti, ma deve essere fedele alle forme della Chiesa universale». «Se nella celebrazione non emerge la centralità di Cristo – ha concluso – non avremo la liturgia cristiana». (Sir)