Vita Chiesa

Camaldoli, dove anche la natura è preghiera

L’appello lanciato dal Papa durante il suo soggiorno in Val d’Aosta («Di fronte al meraviglioso spettacolo della natura, si sperimenta facilmente quanto proficuo sia il silenzio, un bene oggi sempre più raro…») richiama l’attenzione su un valore antico, quello del silenzio: un silenzio che non è solo quiete, ma è contemplazione della natura, ascolto della voce di Dio che parla nell’intimo della coscienza. In Toscana sono molti i luoghi di preghiera caratterizzati anche dalla bellezza della natura circostante: basti pensare all’abbazia di Vallombrosa sulle pendici del Pratomagno, a Monte Oliveto Maggiore nelle crete senesi, al santuario francescano della Verna sull’Appennino, a Monte Senario sui colli che dominano il Mugello e la campagna fiorentina, al santuario di Montenero affacciato verso il mare, alla casa dei Passionisti sul colle dell’Argentario. L’eremo e il monastero di Camaldoli, poi, hanno un legame tutto particolare con le foreste casentinesi, in cui sono immersi.

di Giuseppe CicchiMonaco di CamaldoliSu una cartolina che riproduce un grande castagno secolare della foresta di Camaldoli, con il tronco di circa sei metri di diametro, ampiamente scavato dalle vicissitudini del tempo e dell’atmosfera, tanto da creare un largo spazio al suo interno, dove, tutto raccolto, si vede un monaco seduto mentre con la sua lunga veste bianca è chinato su un libro, intento a meditare e pregare, un turista di passaggio così scriveva al suo bambino: «Caro Michele, sono arrivato in cima a una montagna dove vivono omini col mantello bianco e il cappuccio. Vivono dentro i tronchi degli alberi, cantano e sanno filastrocche magiche. Sono un po’ strani, ma buoni e vivono vendendo le cioccolate ai viaggiatori. Io ne conosco uno…Ciao da babbo».

Ben inteso! A Camaldoli i monaci, me compreso, non vivono dentro i tronchi degli alberi, ma in edifici e spazi appositamente concepiti e costruiti per la loro vita solitaria e/o comunitaria di preghiera e di lavoro. Tuttavia mi sembra importante notare che con un linguaggio un po’ fiabesco ma efficace per accendere la fervida fantasia di un bambino, questo padre affettuoso coglie molto bene e comunica a suo figlio il messaggio che quella cartolina simbolicamente vuole trasmettere: un luogo, cioè, in cui l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura, in un rapporto che non sia solo orizzontale, ma aperto a quella dimensione verticale ed elevante per la quale un Terzo o meglio un Primo attore o autore, Dio, dà senso pieno alla vita del creato e insieme dell’umanità.

Se dovessi dire con una parola ciò che la cartolina esprime con un’immagine, direi: contemplazione. Contemplazione mi pare infatti il termine giusto per qualificare il rapporto di un monaco con la natura, come lo abbiamo appena descritto e come è stato vissuto nella nostra tradizione monastica fino ad oggi. La contemplazione è infatti quello sguardo nel quale le istanze divine sul creato si compongono e si armonizzano con quelle umane. Tuttavia è necessario qui subito chiarire che un rapporto contemplativo con il creato non si risolve immediatamente in un atteggiamento inerte, di puro incanto di fronte alle meraviglie della natura (come comunemente si è portati a credere), ma dall’incanto sa trarre quei segni, quelle indicazioni per intervenire sul creato rispettando il disegno divino che vi si contempla. Questa consapevolezza o sapienza contemplativa è stata sempre alimentata nei monaci dalla preghiera, scaturita e attinta dalla quotidiana meditazione della Parola di Dio, ed espressa poi nel canto corale delle melodie dei salmi (le filastrocche magiche della cartolina) o nella solitudine e nel silenzio della cella. La preghiera quindi è fonte e frutto della contemplazione e diventa forza trasformatrice del rapporto del monaco con la natura.

Tra preghiera e natura i monaci di Camaldoli hanno sempre vissuto, immersi con il loro eremo e il loro monastero nel folto di una foresta rigogliosa, ricca di sorgenti d’acqua e popolata da molte specie animali. Si può anzi affermare che i monaci si sono sempre posti in un atteggiamento di sorprendente reciprocità con l’ambiente da loro abitato. Lo stesso soggetto della cartolina, un monaco ospitato nel tronco cavo di un castagno secolare, ci dà lo spunto per rileggere la storia di Camaldoli come storia di uomini e di alberi in relazione contemplativa. Infatti, dai documenti in nostro possesso emergono chiare, lungo i secoli, le costanti attenzioni e tensioni spirituali che rendono i monaci custodi gelosi del patrimonio forestale. Le prime tracce di questa cura le troviamo già nelle consuetudini scritte nel XI e XII secolo per i monaci di Camaldoli. Il testo applica alla vita nell’eremo un passo del profeta Isaia (41,19): «Pianterò nel deserto il cedro e il biancospino, il mirto, l’olivo e l’abete, l’olmo e il bosso». Sono esaltate le virtù dei monaci e degli alberi, indistintamente, in un sorprendente reciproco confondersi che poeticamente testimonia la contemplazione vissuta: «Tu dunque sarai cedro per elettezza di sincerità e di santità; acacia per pungitura di correzione e di penitenza; mirto per discrezione di sobrietà e di temperanza; olivo per frutto di giocondità, di pace e di misericordia; abete per altezza di meditazione e di sapienza; olmo per aiuto di sostegno e di pazienza; bosso per modello di umiltà e di perseveranza» (dalle Regole della vita eremitica del IV Priore di Camaldoli, Rodolfo III).

Questa pagina è basilare per comprendere tutta la successiva cura ed attenzione modificatrice dei monaci nei riguardi della foresta. Cura ed attenzione che si tradurranno in una vera e propria legislazione a tutela dell’integrità della foresta e in una straordinaria, spesso sorprendente, capacità tecnica, sia per il rinnovamento del bosco, sia per regolare il sistema del commercio del legname, sia per coltivare le erbe officinali. I monaci, dunque, custodivano una foresta che li custodiva; garantivano la vita alla foresta che garantiva ai monaci il silenzio per poter ascoltare la voce di Dio e degli uomini, e della storia che andavano scrivendo insieme. Un’eco di questo rapporto contemplativo dei monaci di Camaldoli con la natura l’abbiamo anche nelle lettere di visitatori del passato. In una di esse si legge che i luoghi sono incantevoli non per se stessi, ma perché si vede «quanto possa operar natura, quando non si maltratta, e quanto essa contraccambi l’amore dell’uomo» (H. Bassermann).

Un’esperienza come quella appena descritta mi pare esemplare e di grande attualità per richiamare ad un rapporto di armonia o di riconciliazione con il creato salvaguardandone la dimensione contemplativa, spesso invece esclusa per seguire unicamente progetti umani, come oggi è facile constatare nelle tendenze contraddittorie della cultura, che sembra ricercare un’armonia perduta e insieme enfatizza la separazione dell’uomo dal cosmo (l’estraniazione dalla natura) attraverso tecniche sempre più sofisticate di manipolazione del dato naturale. Tra preghiera e natura vivono ancora a Camaldoli i monaci nell’epoca del post-moderno che oscilla tra naturalismo e disincanto. Oggi essi non coltivano più la foresta (ormai sotto la tutela dello Stato) come i monaci di ieri, ma ne hanno ereditato lo spirito contemplativo, che continuano ad attingere alla fonte della Sacra Scrittura per poter mantenere quel rapporto di armonia e di riconciliazione con il creato da sempre presente nel disegno divino. Questo spirito contemplativo ci fa percepire i segni del divino nella natura senza sacralizzarla, ma neppure restandole indifferenti e trattandola come un materiale di cui l’uomo scientifico e tecnologico possa disporre ad libitum. Nella nostra testimonianza monastica ci atteniamo a ciò che la sapienza biblica e contemplativa ci suggerisce, considerando la natura come «creatura», cioè opera di Dio e segno della sua benevolenza; e noi pure creati a immagine di Lui, ci vediamo affidato dal Creatore il compito del «buon governo» (non del «dominio», secondo un’infelice traduzione di Gen 1,28).

Tornando, per concludere, all’immagine del monaco ospitato nel tronco del castagno, possiamo auspicarci che la natura, con l’uomo e ad opera dell’uomo nella benedizione di Dio, cammini verso il suo compimento; e che il «servizio alla natura» sia sempre più consapevole servizio a un uomo rappacificato con se stesso e conseguentemente con tutto il cosmo.

Tra preghiera e natura, a Camaldoli, nel nostro piccolo, noi monaci attendiamo e accogliamo chiunque voglia attingere ed assaporare quella sapienza antica eppure tanto attuale e necessaria, che consente ad ogni essere umano di ritrovarsi collocato in una dimensione contemplativa della vita. La nostra ospitalità è aperta come il tronco di quell’ormai famoso castagno, proprio per condividere tale sapienza tanto contemplativa quanto profetica oggi. Venite e vedrete!

Camaldoli, proposta di spiritualità per le famiglieLa comunità monastica di Camaldoli offre ogni anno una serie di settimane estive nella propria foresteria. Fra queste vi è un periodo a cavallo di ferragosto riservato ad incontri per famiglie. Riproponendo con alcune innovazioni tale periodo anche quest’anno, dal 10 al 20 agosto, i monaci di Camaldoli mettono a disposizione la loro esperienza spirituale per le famiglie che vogliono approfondire il loro cammino di fede. La condivisione del ritmo quotidiano della preghiera monastica, la proposta di un itinerario di lectio divina di gruppo meditando insieme brani della Sacra Scrittura, la testimonianza e il dibattito su argomenti di attualità e momenti ricreativi per tutti o aggreganti le varie fasce di età (bambini, giovani, genitori, nonni), sono gli elementi portanti delle giornate. Per partecipare a questo periodo dedicato specificamente alle famiglie, basta prenotare telefonando alla Segreteria della Foresteria del Monastero di Camaldoli (tel. 0575/556013).

GIOVANNI PAOLO II: «SOLO NEL SILENZIO L’UOMO RIESCE AD ASCOLTARE LA VOCE DI DIO»

Un’estate di preghiera sui monti dello Spirito