Vita Chiesa

Cei, Card. Bagnasco: «Lavoro attento per revisione statuto»

«Dopo aver raccolto il frutto della riflessione che le sedici Conferenze episcopali regionali hanno fatto a partire dal foglio di lavoro – ha annunciato il cardinale – in questi giorni prenderemo in esame il ricco materiale pervenuto, segno della passione con cui abbiamo accolto il compito affidatoci. E decideremo come procedere per un lavoro attento e proficuo, svolto con la necessaria ponderazione che il Santo Padre ci ha raccomandato». Al Papa, va «la profonda gratitudine dei vescovi italiani per l’attenzione costante e la cura affettuosa con cui segue da vicino il cammino della Chiesa italiana». A monsignor Nunzio Galantino, nominato dal Papa segretario generale ad interim della Cei, il cardinale Bagnasco ha augurato «buon lavoro in questo peculiare momento per la vita della nostra Conferenza episcopale».

Non censori arcigni, ma compagni di strada. «La gioia del Vangelo accolta nel cuore e offerta al mondo con fiduciosa passione». È l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium», nelle parole del cardinale Bagnasco, che nella prolusione al Consiglio permanente della Cei l’ha definita un «testo di grande densità che invita, sospinge e guida la barca della Chiesa sulle onde della gioia evangelica», rivolgendosi «a tutti e ciascuno». La «nota dominante», il «filo d’oro che ispira e unifica» il testo del Papa è «un filo forte e duttile insieme, capace di adattarsi senza spezzarsi: la gioia del Vangelo, appunto, «sottile e profonda, forte e gentile», come diceva il beato Newman. «Anche i credenti», ha ricordato il cardinale sulla scorta del Papa, sono afflitti dal «grande rischio del mondo attuale»: la «tristezza individualista». Molti di loro, infatti, «si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita»: allora «prevale il lamento e si spegne il sorriso». Ma «questo non è il desiderio di Dio», come si legge nella Evangelii gaudium. «Diciamo queste parole – ha puntualizzato il presidente della Cei – non perché ci riteniamo immuni da un tale pericolo che nasce da una fede creduta ma a volte poco vissuta, né per fare i censori arcigni, ma solo per essere compagni di strada, fedeli alla paternità che ogni vescovo ha ricevuto dallo Spirito: una paternità che è dono straordinario e compito drammatico verso tutti».

Una parola di prossimità. «Vorremmo che in questi giorni la gente ci sentisse particolarmente vicini, che potesse ascoltare una parola di prossimità, che avvertisse almeno un’eco del divino Maestro». È l’auspicio espresso dal cardinale Bagnasco, che ha fatto riferimento all’esperienza quotidiana della Chiesa tra la gente. «Noi – ha assicurato ‘quasi sotto voce’ – conosciamo la vita delle persone, e ne vogliamo testimoniare la dignità, il senso della famiglia, la capacità di dedizione e di sacrificio, la bontà spesso eroica di ogni giorno. Restiamo ammirati della loro fede umile e semplice, e vorremmo che questa foresta buona e silenziosa avesse più voce degli alberi che cadono rumorosi». «La fede e la bontà diffuse – ha detto il presidente della Cei – hanno radici profonde e antiche, che raggiungono il ceppo vivo degli apostoli e si alimentano alla sorgente della preghiera, dei sacramenti, della carità verso i deboli, della comunità ecclesiale, della testimonianza missionaria. Ispirano la devozione popolare, segno di un sentire religioso diffuso che è un vero patrimonio del nostro Paese».

La voce alta e mite della Chiesa. «Dio c’entra con la vita, non è lontano e indifferente, non è nemico oscuro della gioia ma ne è la perenne sorgente, non è concorrente geloso della libertà ma ne è la più sicura garanzia». A «far risuonare alta e mite la voce dei secoli», da «ripetere al mondo moderno», è stato il cardinale Bagnasco, che nella prolusione ha voluto «ripetere con i grandi testimoni del Vangelo, con i dottori della fede, che Dio è dalla parte dell’uomo, e che nulla è più stupefacente di un’esistenza comune e di un cuore semplice che vive con Lui». «Insieme ai nostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose – ha detto il presidente della Cei – conosciamo le vostre gioie e speranze, uomini del nostro tempo; ma anche tocchiamo le sofferenze che non mancano, le preoccupazioni e le angosce che attraversano le vostre esistenze». «Vorremmo essere gli umili collaboratori della vostra gioia», ha proseguito citando la lettera di san Paolo ai Corinzi, «aiutandovi affinché poco alla volta la gioia della fede cominci a destarsi o a ridestarsi «come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie».

Cultura del «noi» per dire no a omologazioni. «Se Dio c’entra con la vita di ciascuno, allora ognuno c’entra con la vita degli altri». La cultura del «noi», come antidoto a «una cultura che sembra una bolla di fantasmi, di miti vuoti, di apparenze luccicanti, di bugie promettenti». È la «ricetta» del cardinale Bagnasco, secondo il quale «questo messaggio, che cammina attraverso i secoli e i millenni, prima o poi ha il potere di penetrare – o almeno d’interrogare e scalfire – le incrostazioni del cuore, le sordità accumulate, le frenesie del tempo», perché «ha il fascino di un mistero che attrae e ridesta l’anima a un modo diverso di vivere con se stessi, con gli altri, con il creato: una forma di vita di cui tutti abbiamo nostalgia e che intuiamo essere la nostra casa». Una prospettiva, questa, che «capovolge i rapporti, il modo di guardarci, di stare insieme; supera ogni forma d’intolleranza, e permette di accogliere fratelli e sorelle che per disperazione approdano sui nostri lidi, col desiderio di trovare un’integrazione rispettosa e serena». Ma, «su scala più ampia, capovolge anche i rapporti tra gli Stati, le nazioni, i popoli, perché la giustizia regni e cresca la pace: realtà invocata – la pace – e ancor tanto ferita nella carne dei poveri di Paesi anche vicinissimi a noi, dove, anziché le vie del dialogo onesto, si continua a perseguire la strada disumana della violenza e delle persecuzioni».

Il «noi» capovolge anche «il modo di fare economia e finanza, politica e lavoro», ha spiegato il presidente della Cei, perché «non è più l’iperindividualismo a dettare legge; non sono più le logiche spietate di un mercato selvaggio a strangolare i senza volto, né il ghigno della solitudine che spaventa, ma il noi che non fa scarti umani e che non lascia ai bordi della strada nessun debole aggredito e spogliato dai briganti di turno». No, quindi ad «un io ipertrofico e un noi impoverito», sì invece al «noi» che «ispira la cultura dell’incontro e del dialogo, per cui ci si ascolta al fine di comprendersi senza finzioni». Tra le proposte, quella di «ripensare seriamente anche delle forme organiche di servizio civile, che siano delle tappe di vita e dei tirocini del noi». Alla base, quella «visione antropologica veramente umanistica per cui – anche per chi non crede – la persona non solo vive di relazioni ma è relazione; i diritti e i doveri restano tali e i desideri restano desideri; alle cose si riconosce la loro specifica natura, e le differenze vengono dichiarate per quello che sono con rispetto e senza smanie di omologazioni forzate o violente». «Nel nostro occidente – la denuncia – sembra di assistere ad uno strano paradosso: quanto più si parla di società e di bene comune, di rispetto e di diritti, tanto più si rivela arrogante il disegno oscuro di omologare tutto e tutti».

Educazione «questione chiave». In Italia, persiste una «grave discriminazione per cui da un lato si riconosce la libertà educativa dei genitori, e dall’altro la si nega nei fatti, costringendoli ad affrontare pesi economici supplementari». È il grido d’allarme del cardinale Bagnasco, che nella prolusione al Consiglio permanente della Cei ha ricordato che la Chiesa «ha nel suo Dna la missione di evangelizzare e di educare», e che «il compito educativo oggi è una missione chiave», come dice Papa Francesco. Il cardinale ha ringraziato «pubblicamente» e confermato la «crescente stima» dei vescovi «verso le comunità cristiane e gli istituti religiosi che resistono con altissimi sacrifici per non chiudere le loro scuole, spesso anche di grande prestigio storico e culturale». «Ogni anno, chiudere delle scuole cattoliche – di qualunque ordine e grado – rappresenta un documentato aggravio sul bilancio dello Stato, un irrimediabile impoverimento della società e della cultura, e viene meno un necessario servizio alle famiglie». Proprio «per sostenere l’importanza decisiva della scuola tutta, dell’educazione e della libertà educativa», i vescovi italiani hanno promosso «un evento pubblico» per il 10 maggio in piazza San Pietro, al quale Papa Francesco «ha dato non solo la sua approvazione, ma ha assicurato la sua personale presenza». Appuntamento a cui «sono i vitati tutti coloro che – a prescindere dal proprio credo – sono convinti della posta in gioco per i giovani, le famiglie, la società».

Il dramma del lavoro. «L’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione». Il cardinale Bagnasco ha esortato «tutti» a «reagire ad una visione esasperata e interessata che vorrebbe accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno». «A questo disegno, che lacera, scoraggia e divide, e quindi è demoniaco – ha aggiunto – non dobbiamo cedere nonostante esempi e condotte disoneste, che approfittano del denaro, del potere, della fiducia della gente, perfino della debolezza e delle paure». Il presidente della Cei ha lanciato un forte appello «affinché la voce dei senza lavoro, che sale da ogni parte del Paese, trovi risposte più efficaci in ogni ambito di responsabilità»: «Non è ammissibile che i giovani, che sono il domani della nazione, trovino la vita sbarrata perché non trovano occupazione», ha ammonito. Il Progetto Policoro, il «Prestito della speranza», le «varie forme di microcredito»: sono questi i «segni» di vicinanza ai giovani da parte dei vescovi, mentre «a livello pubblico si vedono impegno e tentativi, segnali promettenti, ma i mesi e gli anni non aspettano nessuno». «Il dibattito sulla riforma dello Stato è certamente necessario», ma non deve andare «a scapito di ciò che la gente sente più bruciante sulla propria pelle, e cioè il dramma del lavoro».

Situazione carceri e intolleranza verso gli ebrei. «Da tempo è all’attenzione della pubblica opinione la situazione insostenibile delle carceri italiane». A ricordarlo è il cardinale Bagnasco, che nella prolusione ricorda che «la Chiesa, consapevole che il sistema carcerario è segno della civiltà giuridica e non solo di un Paese, è presente ogni giorno accanto ai detenuti tramite i cappellani e i volontari, ai quali chiunque può riferirsi, favorendo anche così la funzione rieducativa della pena. Ai detenuti, alla polizia penitenziaria e alle amministrazioni, rivolgiamo il nostro pensiero di pastori, e auspichiamo una situazione più dignitosa per tutti». In particolare, i vescovi italiani incoraggiano «quanti scontano una pena a fare di questo tempo un’occasione di riflessione e di ricupero per affrontare il rientro nella società». Nel giorno consacrato alla memoria dell’Olocausto, inoltre, la Chiesa italiana «si stringe attorno ai fratelli ebrei perché la ferita incancellabile di quella tragedia sia di monito per tutti e si scongiurino episodi di intolleranza e di provocazione come accaduto di recente a Roma». In occasione del capodanno dei cinesi, il cardinale esprime, infine, «vicinanza affettuosa a quanti vivono e lavorano nel nostro Paese, auspicando che le condizioni di vita possano crescere secondo le attese della dignità umana e mai più si ripetano eventi luttuosi, come quelli di recente verificatisi tragicamente a Prato».

La società ha bisogno di lavoro e famiglia. «Il singolo ha bisogno di lavoro per avere dignità e sostentamento, ma ha anche bisogno di legami sicuri e stabili, ha bisogno di fare famiglia. Ma anche la società ha bisogno di lavoro e di famiglia». Con questo binomio il cardinale Bagnasco ha concluso la prolusione. «Se da una parte – ha spiegato – dobbiamo avere come obiettivo un livello di prosperità per tutti, affinché tutti possano accedere al bene dell’educazione, dell’assistenza sanitaria, della casa, dall’altra bisogna favorire la partecipazione attiva alla vita comunitaria, così che nessuno sia preda della solitudine, e soprattutto non senta di essere superfluo». La famiglia, dunque, come «realtà peculiare e ineguagliabile», «fondamento della società» e «sua prima forma naturale». «Grande e capillare è stato il lavoro di consultazione in vista del prossimo Sinodo», ha assicurato il presidente della Cei: «Le nostre Chiese hanno lavorato intensamente e nei tempi indicati: ora sarà la Segreteria Generale del Sinodo che stenderà l’Instrumentum laboris». In un momento in cui, come afferma il Papa, «attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali», la famiglia «deve essere sostenuta da politiche più incisive ed efficaci anche in ordine alla natalità, difesa da tentativi di indebolimento e promossa sul piano culturale e mediatico senza discriminazioni ideologiche».

(testo integrale della Prolusione)