Vita Chiesa

Chiesa Anglicana: Welby e Sentamu, matrimonio solo tra un uomo e una donna

È quanto si legge nel comunicato diffuso sabato scorso da Londra. A firmarlo sono l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e l’arcivescovo di York John Sentamu, le due più alte autorità della Chiesa inglese. La loro posizione era molto attesa anche alla luce delle possibilità che si sono progressivamente aperte sul fronte legislativo per le coppie gay. Nel 2005 la legge ha riconosciuto una forma di partenariato civile alle coppie omosessuali; poi nel luglio del 2013 ha legalizzato il matrimonio omosessuale per arrivare poi al 29 marzo di quest’anno data in cui in Gran Bretagna si potranno celebrare i primi matrimoni gay. «Siamo consapevoli – scrivono gli arcivescovi Welby e Sentamu – che ci saranno una serie di risposte in tutta la Chiesa d‘Inghilterra all‘introduzione del matrimonio tra le persone dello stesso sesso. Come vescovi abbiamo riflettuto e pregato insieme di questi sviluppi». «Non siamo tutti d‘accordo su ogni aspetto della risposta da dare come Chiesa. Comunque siamo tutti d‘accordo che la comprensione cristiana e la dottrina del matrimonio come unione per tutta la vita tra un uomo e una donna rimane invariato».

Gli arcivescovi affermano che anche nelle relazioni di coppia tra persone dello stesso sesso si incarnano le virtù di «vera reciprocità e fedeltà», «due delle virtù che il Libro della Preghiera utilizza per elogiare il matrimonio». Ma – tengono a ribadire i due arcivescovi anglicani – riconoscere la presenza di queste virtù in relazioni omosessuali non significa equipararle al matrimonio cristiano. Pertanto almeno per il momento è chiaro che «non sarà possibile celebrare matrimoni dello stesso sesso in Chiesa». Ciò ribadito, i vescovi affermano tutto il loro impegno sia nella cura pastorale di queste copie sia per la loro partecipazione ai sacramenti. «Quelle coppie dello stesso sesso che scelgono di sposarsi – si legge nel comunicato – dovrebbero essere accolti nella vita della comunità di culto e non essere sottoposti a discussione sul loro stile di vita. Né a loro né ai bambini di cui si prendono cura, dovrebbe poi essere negato l‘accesso ai sacramenti».