Vita Chiesa

Comunicazione: mons. Pompili, la scoperta della rete come «ambiente da abitare»

Se nel 2009, dopo il convegno «Chiesa e web 2.0», l’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali ha scelto «di entrare con decisione nello spazio digitale, istituendo una presenza riconoscibile e costantemente aggiornata per accompagnare e valorizzare il lavoro delle diocesi e della Chiesa su questi temi, grazie all’implementazione del sito  www.chiesacattolica.it », «Testimoni digitali» e la collegata ricerca sui social media hanno fatto emergere «snodi interpretativi di svolta e di ‘non ritorno’. Tra i più significativi, il fatto che la rete non è strumento ma ambiente da abitare».

Così monsignor Domenico Pompili, nel bilancio fatto oggi a Roma dei suoi 8 anni alla guida dell’Ufficio Cei. Nella rassegna dell’opera svolta, monsignor Pompili ha ricordato tra l’altro «il corso Anicec e l’investimento sugli animatori», «rilanciato rafforzando la partnership con l’Università Cattolica da una parte e il coinvolgimento diretto delle diocesi dall’altro», la celebrazione del «decennale del Direttorio sulle comunicazioni sociali ‘Comunicazione e Missione’», nonché «l’attenzione alla pluralità dei linguaggi»: teatro (con i Teatri del sacro), cinema (l’Ente dello Spettacolo), sale della comunità (Acec). Infine, nell’ottica di una «sempre maggiore collegialità e corresponsabilità», Pompili ha richiamato «l’attenzione ai rapporti costanti con Fisc e Ucsi per quel che attiene il mondo dei giornalisti, ma anche con il Copercom per quel che significano le diverse realtà ecclesiali nel mondo della comunicazione».

«Essere un laboratorio di idee, promuovere una compiuta promozione culturale, coordinare i vari segmenti della comunicazione ad intra». È uno dei caratteri maturati dall’Ufficio comunicazioni sociali (Ucs) della Cei in questi anni, delineato nel bilancio fatto oggi da monsignor Domenico Pompili nel «passaggio di consegne» al suo successore, don Ivan Maffeis. Pompili ha ricordato come l’Ufficio abbia «svolto un ruolo di orientamento della linea editoriale ed economica» dei media Cei (Avvenire, Sir, Tv2000, Radio InBlu), svolgendo al tempo stesso una «interlocuzione importante» con la Rai. «Pubblico e noto» è «l’impegno per il rinnovamento della trasmissione ‘A sua immagine’», cui si è affiancata «la ridefinizione dei programmi radio (Il pensiero del giorno, Ascolta si fa sera, L’ora di religione)», «la presenza su altre emittenti e in generale sui media laici intesi non come strumento per fare proselitismo, ma come luoghi dove incontrare anche i lontani». Ancora, «l’apertura, nel dicembre 2012, dell’account Twitter», la «rinnovata campagna 8 per mille», «tante iniziative di mobilitazione, come la recente veglia per i martiri cristiani #free2pray, o le prese di posizione pubbliche contro pedofilia, gioco d’azzardo, corruzione». Infine, il sito per il V Convegno ecclesiale nazionale, «con innovativo formato interattivo, inedito per i siti Cei, dove si è potuto far tesoro delle esperienze e delle riflessioni maturate nel corso degli anni sul web».

«Lavorare con il territorio, con progetti che rispondano a esigenze specifiche, ad esempio per la formazione», ponendosi «a servizio delle diocesi, dei vescovi e di quanti nelle Chiese locali hanno responsabilità nella comunicazione». È l’impegno dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei, declinato dal neo-direttore, don Ivan Maffeis.

«Dal ‘centro’ – spiega don Maffeis – le diocesi si aspettano proposte concrete e semplici. Siamo in un tempo in cui il territorio fa fatica, si stenta ancora a credere che la comunicazione sia decisiva per la pastorale». Allora, «ai grandi convegni privilegiare iniziative mirate di formazione», «occasioni di confronto e pensiero», come pure «facilitare la messa in circolo di buone prassi ed esperienze positive che nascono nei territori». «Nelle nostre diocesi – osserva – l’importanza della comunicazione rischia di essere avvertita nella sua rilevanza quando ci si trova ‘costretti’ a comunicare perché vi è una pressione esterna, magari a seguito di spiacevoli casi di cronaca. In questi casi ci si rende conto che servirebbe un buon ufficio, come pure rapporti corretti e veri con i giornalisti. Ma una buona comunicazione non s’improvvisa». «In gioco – conclude – c’è la possibilità di far sentire la propria voce o, viceversa, il rischio di restare afoni».