Vita Chiesa

Conferenza ecumenica su razzismo e xenofobia nel contesto delle migrazioni: no a paura e populismi

«Siamo qui perché le Chiese sono chiamate ad affrontare insieme le forze distruttive della paura, della xenofobia, del razzismo e del populismo e del nazionalismo esclusivo». Sono «gli strati nello stesso muro che ci divide come esseri umani. Noi contro loro, la nostra sicurezza contro la loro vulnerabilità, la nostra ricchezza contro il loro diritto alla vita e al sostentamento». Con queste parole il Rev. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Wcc, ha aperto questa mattina a Roma la «Conferenza mondiale su xenofobia, razzismo e nazionalismi populisti nel contesto delle migrazioni globali» promossa per la prima volta insieme dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e il World Council of Churches (Wcc), in collaborazione con il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani.

«Siamo qui riuniti per una ragione molto significativa, un compito impegnativo, una chiamata di Dio che viene a noi attraverso i molti migranti di oggi», ha detto il Rev. Tveit. «Molti di loro si trovano esclusi da un futuro di sicurezza e di speranza che tutti gli esseri umani condividono. Ma stiamo affrontando anche la paura dell’altro, le espressioni di quella paura, l’uso politico o l’abuso della paura, e il cinico profitto della paura dei rifugiati e dei migranti». Il ruolo delle Chiese – dice il rappresentante del Wcc – è chiaro: «Aiutare i milioni di migranti e rifugiati e garantire loro sicurezza»; «assicurare che donne e bambini siano sempre e ovunque protetti da ogni forma di abuso e trattati con dignità»; «sanare le società che sono profondamente divise da xenofobia, razzismo e odio».

 «L’accoglienza dei migranti, specialmente di chi è in pericolo, è un principio morale che trae fondamento e forza dal Vangelo e dalle Sacre Scritture, e fa parte dell’essere cristiano, cioè dell’appartenere a Cristo», ha detto il card. Peter Turkson, prefetto del Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale, intervenendo alla Conferenza. Nel suo intervento, il cardinale ha sottolineato che «siamo testimoni di storie di uomini e donne, bambini e bambine che mettono a rischio le loro vite e quelle dei loro cari, alla ricerca di una vita migliore». «Le vite di queste persone, le loro ferite e le loro speranze – aggiunge -, interpellano le nostre coscienze e ci inducono a riflettere sullo sguardo che le società di accoglienza rivolgono sui nuovi arrivati». Il porporato si è chiesto se davvero l’umanità, in questi 70 anni dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, «abbia saputo costruire società nelle quali la razza, il sesso, il colore, la lingua, la religione, l’opinione politica, l’origine nazionale o sociale, la ricchezza o la povertà non siano motivi sufficienti per giustificare l’indifferenza, l’emarginazione, l’odio, l’esclusione o lo scarto di un essere umano». Infine, una constatazione. «Ci duole constatare che, nel contesto delle migrazioni internazionali, troppo spesso la diffidenza e la paura prevalgono sulla fiducia e l’apertura all’altro. Allo stesso tempo, confidiamo nelle tante dimostrazioni di solidarietà e di compassione che pure caratterizzano i nostri tempi».