Vita Chiesa
Costruttori pazienti della città terrena
«I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per il modo di vestire. Abitano ciascuno la propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco. [ ] Dimorano sulla terra ma sono cittadini del cielo» (Lettera A Diogneto V).
Questo testo del II secolo, molto caro alla Chiesa antica, non perde la sua attualità anche al presente; ci appare anzi bene adatto a introdurre una riflessione – in queste domeniche in cui la liturgia ci presenta le parabole del Regno – sulla collocazione dei credenti laici nel mondo e nella storia dei nostri giorni.
Già l’apostolo Paolo nel suo epistolario esorta più volte i cristiani della Chiesa apostolica, e con essi anche noi oggi, ad adempiere con tutto l’impegno ai doveri politici e sociali (ad es. in Rm 13,1-7; Ef 6,1-9; Fil 2,15) senza però mai distogliere lo sguardo dalla prospettiva di eternità cui come figli di Dio siamo interiormente protesi. «La nostra patria – infatti – è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil 3,20).
È questa spiritualità, propria del cristiano consapevole e coerente che non relega la sua esperienza nei confini dell’esistenza terrena ma affida ogni giorno la sua vita al Signore, che alla fine ci fa detentori di una scelta nuova, perché evangelica, rispetto ai parametri culturali del nostro tempo.
Si è spesso parlato, in passato, della funzione repressiva e alienante della religione cristiana, considerata «oppio» dell’intelletto e ostacolo alla libertà morale. Ancora oggi si paventa per i credenti il pericolo di una fuga di stampo intimistico dalle responsabilità del mondo