Vita Chiesa

Cure palliative: documento Comece, diritto da garantire in ogni Stato

«In una società che invecchia e in cui un numero sempre maggiore di persone con malattie croniche necessitano di tali cure» occorre che queste siano «attivamente supportate affinché possano svilupparsi ulteriormente e soddisfare le esigenze crescenti». Le 30 pagine ritracciano la genesi di questo ramo della medicina a partire dall’esperienza della dottoressa inglese Cicely Saunders che nel 1967 aprì il primo «hospice» per malati di tumore terminale. Riconosciute come «servizio essenziale per la popolazione» nel 2003, dal 2008 sono un servizio presente in tutti gli stati membri dell’Ue, anche se a volte si tratta di «una manciata di iniziative ampiamente insufficienti in relazione alla popolazione».

Prendendo a riferimento l’articolata definizione di cure palliative fornita dall’Oms, il documento sottolinea come oggi non siano «riducibili alle cure terminali», ma siano da considerare «terapie di supporto» in cui, oltre ad alleviare il dolore fisico, si offre un «accompagnamento» per la sofferenza interiore ed esistenziale.

Se nel contesto delle cure palliative si fa ricorso alla «sedazione in fase terminale di una malattia» occorre vigilare che non si tratti «di pratiche sedative che non evitano solo le sofferenze, ma accelerano deliberatamente la morte, cosa che meriterebbe loro la qualifica di atti di eutanasia», precisa il documento della Comece. L’articolato testo prende in esame anche il tema dell’uso degli ansiolitici per «alleviare l’inquietudine e l’angoscia» invitando a un «uso prudente e ragionato» per sollevare dall’angoscia «senza impedire che il paziente possa esprimersi e si possa restare in relazione con lui». O ancora il confine sottile entro cui si pongono le cure palliative, distinguendosi dall’accanimento terapeutico e dall’eutanasia. Mentre la ricerca va avanti, occorre che «nella legislazione di ogni Stato membro dell’Ue sia inserito il diritto di accesso alle cure palliative», con un’attenzione speciale «ai gruppi di persone particolarmente vulnerabili». È necessario inoltre che gli Stati sviluppino istituzioni adatte e sufficienti e si curi la formazione di personale che, oltre ad essere dotato di «competenze nel controllo del dolore», riceva anche una formazione riguardo «i modi di approccio e assunzione dei bisogni sociali, emotivi, spirituali» di questo particolare malato.