Vita Chiesa

Don Manetti: «La mia missione in Brasile»

di Riccardo Clementi

Don Franco Manetti, sacerdote della Diocesi di Fiesole, già vicerettore del Seminario fiesolano e ricordato con affetto e stima da tutti i fedeli delle parrocchie in cui è stato, è ormai un brasiliano adottato. Tra qualche settimana festeggerà i 14 anni, tanti quanti quelli trascorsi nella nazione verdeoro come Missionario della Chiesa di Cristo. Ogni volta che torna in Italia per un breve periodo di riposo, l’occasione è propizia per incontrarlo ed arricchirsi con le parole e la testimonianza di un vero uomo di Dio.

Don Franco, è passato tanto tempo. Dopo 14 anni, come riassumeresti la tua «avventura missionaria»?

«Anzitutto desidero precisare che io non sono un missionario speciale. Sono un apostolo di Cristo che ha cercato di capire e di seguire il progetto di amore preparato da Dio per me. Però, è importante avere chiaro che tutti siamo discepoli e missionari: ascoltare il Padre, abbandonarsi a Lui e lasciarsi guidare dal Suo amore lungo il sentiero della vita è la missione a cui tutti siamo chiamati. Poi, come ci insegna San Paolo, in virtù dei carisimi ognuno sarà chiamato ad un compito piuttosto che ad un altro: ma tutti, dal Sacerdote di una parrocchia italiana a quello in Missione in un altro Paese fino al padre o madre di famiglia, ogni cristiano consacrato o laico è chiamato ad essere missionario nel mondo. È un aspetto che tengo a precisare perché spesso tendiamo a sottovalutarlo e invece, se c’è una cosa che ho capito in questi anni di Brasile, è proprio questa ovvero che ognuno di noi è essenziale laddove il Signore lo invita ad esserlo. A me ha chiesto di farlo prima in Italia e poi in Brasile. Una responsabilità tanto bella quanto affascinante: era il 6 gennaio 1996 quando il Vescovo Luciano mi comunicò la decisione; poco più di un mese dopo, il 15 febbraio 1996, calpestai per la prima volta il suolo di Vitoria do Mearim, nel Maranhao, uno degli Stati più poveri tra i 26 del Brasile. Una terra che da allora mi è entrata dentro diventando la mia vita ed il senso della mia azione apostolica».

E qual è, se dovessi dirlo in poche parole, il senso della tua missione?

«Penso al Vangelo e a Gesù. E mi vengono in mente le sue parole: “sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Parole che in Brasile mi si sono inchiodate fin da subito nella mente. Ricordo che, pochi giorni dopo il mio arrivo, una suora, Irma Maddalena, mi condusse in uno dei quartieri più poveri di Vitoria. C’erano bambini che giocavano nel fango, donne abbandonate dai mariti che non avevano niente per sfamare i loro figli e case di fango che cadevano a pezzi. Tanta miseria mi entrò nel cuore. Da lì nacque l’idea del “Progetto famiglie” che coinvolge tanti amici italiani della Diocesi di Fiesole, grazie ai cui contributi in 10 anni siamo riusciti a costruire quasi 200 case e a sostenere tante famiglie. Ma quel giorno, più di ogni altra cosa e prima di qualsiasi intuizione pratica o progetto di natura sociale ed economica, capii che il senso della missione era vivere le parole di Gesù: “sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Portare la vita, essere incarnazione del Cristo per portare la sua luce a quei fratelli e a quelle sorelle dimenticati dagli uomini e dalla storia. Solo così ogni azione buona a livello sociale trova un senso e dà i suoi frutti. Ecco il senso del mio essere missionario».

Come è cambiato il Brasile in questi 14 anni in cui lo hai vissuto?

«Il Brasile è un Paese immenso: 8 milioni di km quadrati e 200 milioni di abitanti che, per densità, sono pochissimi. Una nazione potenzialmente ricchissima, con tante materie prime e risorse naturali di inestimabili valore, quali l’acqua, il petrolio e la foresta amazzonica. Ciò nonostante, a fronte di una minoranza ricchissima e di una classe media benestante che insieme raccolgono circa la metà della popolazione brasiliana, vi è un’altra metà composta da una classe medio-bassa e soprattutto da 40 milioni di poveri. Un dislivello che è conseguenza di un’ovvia maldistribuzione delle risorse e che vede alcuni Stati, quali il Maranhao o il Piauì, soffrire più di altri. Una situazione che tende a rimanere tale per la forte influenza di lobbies e gruppi, quali i latifondisti, che non intendono mollare la loro fetta di potere. Certo, otto anni di Lula hanno inciso: tutti sanno che, nonostante le difficoltà, il Presidente ha dato una svolta alla politica brasiliana e, in un certo senso, anche internazionale. Capacità di stare dentro un sistema di libero mercato, ma attento e dedicato ai poveri. Certo, alcuni interventi quali la riforma agraria sono ancora bloccati per i motivi suddetti, ma certo Lula e la sua azione costituiscono una ragione di speranza in mezzo a tanta sofferenza».

E la Chiesa, come contribuisce al riscatto degli ultimi? Che futuro vedi per il Brasile?

«Il Brasile è lo Stato con più cattolici al mondo, oltre il 73% della popolazione. La Chiesa è viva ed è organizzata in Comunità di Base, ovvero gruppi di fedeli laici che nei villaggi o nei paesi si ritrovano per pregare e per portare nel mondo il messaggio di Cristo. Ecco, rispetto all’Italia, il Sacerdote ha un ruolo diverso, perché i laici sono più responsabilizzati, anche se in questi ultimi anni il Brasile ha visto crescere il numero di seminaristi e di preti, tanto che se un tempo li “importava” da altri Paesi ed io sono un esempio, oggi li manda in missione in tanti angoli del pianeta che hanno bisogno della parola salvifica di Gesù. Nel complesso direi che, anche se forse oggi più di ieri e più di quando arrivai, mancano voci profetiche anche nella Chiesa brasiliana, in Brasile c’è una Chiesa vivace, animata da movimenti di forte spiritualità e comunque attenta alla dimensione sociale, basti pensare alla “Campagna della fraternità” che ogni Quaresima affronta un tema di attualità per la società brasiliana. Ci sono, come detto, alcune zone d’ombra in termini di visione profetica e altri problemi con le sette protestanti, alcune in particolari, che non hanno una visione ecumenica e agiscono per dividere. Ma nel complesso la Chiesa di Cristo è sempre portatrice di speranza. E tocca a noi, tutti, essere missionari ed agire “perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”».