Vita Chiesa

Ecumenismo, aperta sessione Sae su Chiese di fronte a ricchezza e povertà»

«La vostra lunga storia di dialogo tra le Chiese cristiane ha contribuito a far crescere nella Chiesa italiana la necessità di conoscere e comprendere l’altro». Lo ha scritto mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, in un messaggio in occasione dell’apertura, stamattina, alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, della 56 ͣ sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche (Sae), che ha per tema «Le Chiese di fronte alla ricchezza, alla povertà e ai beni della terra».

Mons. Spreafico ha sottolineato il tema su ci è focalizzata la settimana, quello della povertà: «Davvero le Chiese cristiane sono chiamate a uscire ponendosi sempre più di fronte al dramma crescente della povertà o, come direbbe più spesso la Bibbia, dei ‘poveri’. Uomini e donne come noi che hanno diritto ad essere ascoltati ed amati. L’abisso che separa poveri e ricchi è sempre più profondo. Chi lo colmerà? Questo impegno comune dei cristiani attenuerà le nostre divisioni». A questo proposito il vescovo ha ricordato l’esperienza dei «corridoi umanitari», «nato e cresciuto in una fraterna collaborazione ecumenica». Il saluto è terminato con un ringraziamento «per l’impegno e la passione con cui ogni anno arricchite il cammino ecumenico nel nostro Paese».

Alla sessione di formazione ecumenica del Sae partecipano circa duecento persone da tutta Italia.

I diversi significati del termine povertà, a partire dalla ricerca di un concetto elementare di ecumenismo, mutuando una definizione sull’etica di Luisito Bianchi: li ha toccati il presidente del Sae, Piero Stefani, stamattina, nell’introduzione della 56 ͣ sessione.

«Che cos’è l’ecumenismo? La Chiesa come vorrebbe essere», ha affermato Stefani. In questa definizione c’è sia il presente della Chiesa, sia il desiderio di essere quello che ancora la Chiesa non è. Definizione che indica una realtà presente e mancante, una forma di povertà. Consapevoli che la ricerca dell’unità della Chiesa non può essere separata dalla ricerca dell’unità dell’umanità – qui Stefani ha citato il pastore Paolo Ricca dagli atti della sessione 2018 – il Sae ha deciso di dedicare due sessioni al rapporto delle Chiese con ricchezza e povertà. Una decisione «necessaria» e «temeraria»: perché la divisione maggiore tra gli esseri umani è quella tra ricchi e poveri e perché si tratta di un tema divisivo tra le Chiese in ordine alle scelte compiute per farvi fronte. Spesso azioni antitetiche rispetto allo stesso Vangelo ascoltato. Spesso le Chiese hanno parlato dei poveri ma non hanno ascoltato la loro voce, non hanno aperto spazi inclusivi. Nella società grande, ha detto Stefani, citando l’economista Luigino Bruni Stefani, «esperti non-poveri di povertà parlano, anche in buona fede, di una realtà che non hanno visto né tanto meno toccato e abbracciato come fece, invece, san Francesco di Assisi».

Il presidente del Sae ha ricordato che proprio ad Assisi l’anno prossimo si terrà il grande convegno voluto da Papa Francesco su suggerimento di Luigino Bruni «Economy of Francesco». Stefani ha, poi, ricordato le due mani dell’icona che caratterizza la sessione Sae 2019: la mano del ricco che offre un sacchetto pieno e la mano della povera vedova che offre i suoi due spiccioli, sottolineando da una parte «la responsabilità di chi oggi riceve l’offerta dei poveri» e dall’altra che «nelle contraddizioni della società Dio è in grado di vedere e di giudicare le profonde e invisibili intenzioni del cuore». «La preghiera del povero fa un fardello di tutte le altre preghiere del mondo» è scritto nello «Zohar», «libro dello splendore». Qui, ha concluso Stefani, si mostra in maniera indimenticabile cosa significhi agli orecchi di Dio la «scelta preferenziale a favore del povero».

Dopo la preghiera mattutina e l’introduzione del presidente del Sae, le prime due relazioni della giornata hanno riguardato il futuro visto dal sud e dal nord del mondo. Hans Gutierrez Salazar, della Facoltà avventista di teologia, ha parlato della divisione insormontabile tra nord e sud del mondo, che non è solo un divario economico sempre più radicalizzato, ma in cui si intravvedono diversi modi di intendere il mondo. Un modo «europeo», nato nella modernità, che si stacca, che esclude le altre civiltà considerate primitive e la natura, che ha il mito del progresso a ogni costo. E una società dell’equilibrio, che valorizza le persone, che preferisce la cura dei rapporti all’accelerazione e all’ipertrofia dell’io.

Vincent I. Ifeme, delegato dell’ecumenismo della diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, ha portato una testimonianza di un uomo tra due mondi, l’Italia e la Nigeria, a partire dalle discriminazioni economiche, dalla mancanza di giustizia, da un pervasivo neo colonialismo mascherato, dalla corruzione dei governanti. L’Africa come paradosso di un continente ricco che affonda nella povertà e in cui spesso conflitti tribali e politici vengono spacciati come conflitti religiosi. Anche le Chiese, ha osservato Ifeme, hanno spesso la responsabilità di non essere state dalla parte dei poveri. Ma «l’Africa è anche bella, forte, resiliente, spirituale. La risposta ai suoi numerosi problemi deve venire dalle sue qualità più positive, più belle».

Nel pomeriggio il tema della povertà come metafora delle divisioni delle chiese con il monaco Guido Dotti e la pastora luterana Eva Guldanova. Al termine i Vespri ortodossi a Rivotorto.