Vita Chiesa

Enzo Bianchi, allarme liturgia: «Se la chiesa è un non-luogo»

di Massimo Orlandi«Cristiani, se voi stessi siete il corpo di Cristo allora sulla mensa eucaristica dell’altare si trova il vostro stesso mistero. Voi dovete essere ciò che vedete sull’altare e dovete ricevere dall’altare ciò che siete chiamati a essere». Su un foglio scritto a mano, Enzo Bianchi ha appuntato questa frase di Sant’Agostino. Quando pronuncia il suo intervento, prende queste parole e le pronuncia con forza, come se contenessero il senso profondo di ciò che vuol comunicare.

Siamo a Figline Valdarno, teatro dei salesiani, dove il priore di Bose è stato chiamato per concludere la settimana teologica della Diocesi di Fiesole, tradizionale appuntamento che apre l’anno pastorale. L’Eucaristia è il tema, e Bianchi lo svolge davanti a una platea di oltre cinquecento persone con la solita lucida e dotta passione. «L’Eucarestia – incalza – è il gesto di Gesù ricevuto dalla Chiesa e trasmesso di generazione in generazione perciò è anche un dono ricevuto nelle nostre mani, un dono da comprendere sempre di più, da custodire, da porre al centro della vita ecclesiale».

Nel suo ultimo libro, Vivere la domenica, Bianchi ha voluto evidenziare il valore della festività: come si può vivere la nostra appartenenza alla comunità cristiana se non si parte dall’incontro domenicale? Di quell’incontro l’Eucarestia è il cuore, la fonte zampillante; la vita del cristiano e quella della Chiesa ne dipende, perché tra chiesa e Eucarestia c’è un rapporto inscindibile, e l’energia del sacramento è energia vitale per la comunità.

Bianchi invita a guardare anche con occhi pieni di stupore come questa energia si propaghi ogni domenica. «Secondo le statistiche circa il 25 per cento delle persone in Italia va a messa la domenica. Questo vuol anche dire che ci sono 13-14 milioni di persone che ogni domenica vivono il sacramento, accolgono Gesù che si fa pane e vino». Ma questa possibilità di comunicazione col divino si compie solo se ogni cristiano accetta di immergersi con tutto se stesso nel mistero. Occorre dunque una presenza responsabile alle celebrazioni, così come occorrono spazi accoglienti.

«Purtroppo – sottolinea Bianchi – molti spazi religiosi non sono luoghi di incontro, ma non luoghi, cioè spazi inospitali, fatti per la comunicazione e dove invece comunicazione non c’è, destinati all’incontro con Dio, ma che finiscono per non favorirlo». Non luogo, per il priore di Bose, può essere la chiesa trasandata, con la muffa alle pareti, l’arredo sporco, così come la chiesa dove la messa viene celebrata senza cura, in fretta. L’esistenza di spazi così è, per il priore, un rischio grave, ma che si può superare: i non-luoghi possono tornare a essere luoghi purché si creino le condizioni per un’ospitalità attenta alla bellezza, per una celebrazione vissuta con partecipazione. «Certo, so bene che in tante realtà non si possono fare liturgie bellissime. E allora dico: è sufficiente una liturgia povera, ma seria. Anche in una piccola parrocchia, davanti a poche persone, se il prete celebra con serietà l’Eucarestia, se quell’Eucaresta è convinta, quella è l’Eucarestia della Chiesa».

È necessario nutrire di questa cura la vita comunitaria per alimentare il proprio cammino di fede, e allo stesso tempo per mantenere vivo il tessuto ecclesiale. In Francia, ricorda Bianchi, si sono recentemente incontrate tutte le grandi comunità monastiche femminili. In molti casi non hanno più neanche l’eucarestia domenicale: i preti, che la domenica devono seguire sette-otto parrocchie, non ce la fanno a portare la comunione nei monasteri. E allora, si chiede il priore, cosa può significare una Chiesa a cui viene mancare quella prassi sacramentale che ne è fonte viva? E di fronte all’interrogativo, il tentativo di risposta: occorre alimentare la vita delle comunità.In questo senso il priore di Bose guarda con favore al fenomeno della nascita nel mondo cattolico di tante piccole comunità, le quali spesso riescono a rispondere al forte bisogno di appartenenza delle persone. L’importante, precisa, «è che questo movimento non rappresenti un frazionamento individualistico, ma che contribuisca all’edificazione della chiesa»: ogni comunità esprima pure la sua diversità, ma per partecipare alla grande sinfonia della chiesa universale.