Vita Chiesa

Famiglia, guardare oltre la crisi e il disagio

«Diminuiscono i matrimoni, crescono le separazioni, aumentano i problemi nel rapporto fra genitori e figli, nelle relazioni intergenerazionali. Soprattutto si fa sempre più consistente l’incertezza (economica e non solo) sul futuro, la paura di vincolarsi con un legame stabile. Addirittura si fa sempre più strada il disagio a parlare di famiglia e di matrimonio. La crisi della famiglia è sotto gli occhi di tutti. Nella Toscana come nel resto del mondo occidentale».

Mons. Mario Meini, vescovo di Fiesole e delegato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale della famiglia non nasconde le difficoltà e le minacce per la cellula base della società, ma invita a guardare oltre e più in profondità: «Parliamo forse troppo delle famiglie che soccombono e finiamo involontariamente per pubblicizzarle, per farle sentire una maggioranza quasi normale – avverte – E dimentichiamo troppo le famiglie, che sono vere famiglie dove si vivono bene gli affetti, dove anche si prega (le famiglie in cui si prega sono molto più numerose di quanto si immagini, anche tra coloro che non vanno a messa la domenica), dove si educano i figli con entusiasmo e si curano i malati con rispetto. Non dimentichiamo queste famiglie. Non sono marziani. Sono uomini e donne veri, accanto a noi: cristiani, ebrei, islamici, non credenti… Le famiglie buone non mancano e debbono fare notizia. La crisi è seria e va considerata seriamente. Allo stesso tempo è doveroso considerare anche la realtà di tante famiglie sane, robuste anche in mezzo alle difficoltà, capaci di affrontare con coraggio la malattia, la crisi, le difficoltà quotidiane».

Ci stiamo preparando al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, come hanno risposto le Chiese della nostra regione? Quali le richieste più significative?

«Ogni diocesi ha inviato le risposte direttamente alla Cei, perché vengano trasmesse al Segretariato per il Sinodo. Non sono a conoscenza delle singole risposte».

Alla famiglia è stato dedicato anche l’ultimo Concistoro che si è aperto con una relazione del card. Kasper, adesso pubblicata in un volumetto. Lo stesso Osservatore Romano ha pubblicato alcuni passaggi delle repliche del card. Kasper. E in quel testo si percepisce una forte spinta a trovare risposte nuove per situazioni nuove…

«Un bel testo, elogiato dal Papa stesso. Un testo assai lineare nella struttura e con un’ampia architettura di trattazione. Presenta un forte spessore teologico e al tempo stesso si esprime con uno stile assai semplice e ben comprensibile. Affronta molti problemi di attualità e li inquadra nel pensiero “tradizionale” della Chiesa: non in un segmento di tradizione, ma nell’intera tradizione bimillenaria della cristianità. Parla della famiglia secondo la volontà di Dio creatore e della famiglia nella concreta condizione di peccato, di quel che Gesù ha detto e fatto per la famiglia e della famiglia come prima ed essenziale struttura della Chiesa (famiglia come Chiesa domestica). Infine parla anche delle problematiche inerenti la pastorale delle persone separate ed eventualmente risposate. Non sarebbe giusto limitare l’intervento del cardinale Kasper solo a questo ultimo aspetto».

Mi sembra che si metta a fuoco, in vista del Sinodo, anche il problema dei sacramenti ai risposati, auspicando di trovare vie nuove senza cadere nel lassismo. Cosa ne pensa?

«Di questo dovrà interessarsi il Sinodo, forse anche senza dare una risposta immediata nel prossimo autunno. Chi ha voluto e potuto, ha inviato le proprie osservazioni. È bene attendere con fiducia quello che il Papa vorrà comunicare a tempo opportuno e intanto pregare per lui e per i padri sinodali».

In Toscana ci sono diverse esperienze di accompagnamento spirituale di separati e divorziati. Cosa emerge? C’è bisogno di fare di più?

«Esistono tentativi ed esperienze in varie diocesi. Alcune esperienze sono ormai consolidate, altre vengono portate avanti con non poche difficoltà e talvolta si assiste anche a interruzioni e ripartenze. Non mancano associazioni che raccolgono cristiani divorziati e risposati, oppure “separati fedeli”. Sono esperienze lodevoli da incoraggiare e sostenere. Purtroppo però ne beneficiano solo poche persone , in rapporto alle molte che hanno vissuto o vivono le ferite della separazione».

Come si potrebbero intensificare?

«Chi può fare molto sono le parrocchie. Nelle parrocchie si può esprimere uno stile di accoglienza, di vicinanza di accompagnamento alle persone ferite per la separazione, considerandole non come gruppi speciali dei quali prendersi cura “a parte”, ma semplicemente considerandole sorelle e fratelli che vivono la vita della parrocchia accanto a tutti gli altri fedeli. Così, grazie ad una serena integrazione nella comunità, le persone separate possono sentirsi aiutati a vivere meglio la loro condizione personale. Anche a questo riguardo appare importante la realtà delle parrocchie, delle “parrocchie vive”».

E per la pastorale dei fidanzati cosa si pensa di fare? Corsi prematrimoniali vengono fatti da tante parti, ma talvolta si ha l’impressione che vengano subiti come una sorta di «tassa» da pagare per sposarsi in chiesa…

«La settimana scorsa un parroco mi ha raccontato di due uomini che si erano presentati al “corso”, dichiarando di non aver interesse, né a seguire il corso, né a sposarsi in chiesa. Erano venuti solo per non opporsi alle pressioni ricevute dalle loro conviventi e dalle rispettive famiglie. Cammin facendo, hanno preso interesse agli incontri e progressivamente ne sono diventati i veri animatori. Un episodio simile a quelli che si ripetono in tante parrocchie dove ormai gli incontri in preparazione al matrimonio sono una occasione di nuova evangelizzazione: se sono affidati a persone veramente capaci e vengono ben condotti con intelligenza e amore, si rivelano per i nubendi come una vera missione popolare. Se condotti in maniera pesante e da persone inadeguate… possono anche far danno. Indicazioni preziose a questo riguardo si trovano nell’opuscolo preparato dalla Commissione episcopale per la Famiglia e la Vita della Cei, dal titolo “Orientamenti sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia”, pubblicato in data 22 ottobre 2012».

Si stanno diffondendo nelle Diocesi anche le «giornate della famiglia». Cosa fare perché non rimangano episodi isolati, sganciati dalla pastorale ordinaria?

«Praticamente in tutte le diocesi, sia pure in modalità e date diverse, viene celebrata una “giornata della famiglia”. Questo si fa lodevolmente anche in molte parrocchie. Si tratta di ottime occasioni per riflettere e approfondire, ma anche di occasioni per fare festa. Presentare le coppie che celebrano nell’anno il 50° o il 60° di matrimonio costituisce già di per sé un insegnamento. Ma al di là della “giornata”, è importante che la vita della parrocchia tenga sempre in considerazione la famiglia e che ogni comunità parrocchiale si senta e si presenti sempre come “famiglia di famiglie”».

Kasper: Risposte basate su «Misericordia e verità»

Senza dubbio non possiamo rispondere a tutte le attese. Ma se ripetessimo soltanto le risposte che presumibilmente sono state già da sempre date, ciò porterebbe a una pessima delusione». Lo ha detto il card. Walter Kasper durante l’ultimo Concistoro (20-21 febbraio) nella replica alla discussione seguita alla sua relazione sul prossimo Sinodo dei vescovi, dedicato alla famiglia. Il testo è stato diffuso da «L’Osservatore Romano» del 12 marzo 2014 con un titolo molto indicativo: «Misericordia e verità per i divorziati risposati» e viene riproposto in un volumetto appena uscito per Queriniana («Il Vangelo della famiglia»), che comprende anche l’intera relazione introduttiva del Concistoro, voluta da Papa Francesco. Kasper suggerisce che non basta considerare il complesso e spinoso problema dei divorziati risposati esclusivamente dal punto di vista canonico-giuridico e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione; abbiamo invece bisogno di cambiare paradigma, considerando la situazione – come ha fatto il buon Samaritano – anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto. «Quali testimoni della speranza – ha detto Kasper – non possiamo lasciarci guidare da un’ermeneutica della paura. Sono necessari coraggio e soprattutto franchezza biblica. Se non lo vogliamo, piuttosto allora non dovremmo tenere alcun sinodo sul nostro tema, perché in tal caso la situazione successiva sarebbe peggiore della precedente. Nell’aprire la porta dovremmo lasciare almeno uno spiraglio per la speranza e le aspettative delle persone. E dare almeno un segnale che anche da parte nostra prendiamo sul serio le speranze, come pure le domande, le sofferenze e le lacrime di tanti cristiani seri».

Nella sua relazione di apertura al Concistoro, tutta incentrata sul concetto di «verità nella misericordia», Kasper ha spiegato l’urgenza di trovare soluzioni, facendo anche esempi concreti. La conclusione del ragionamento è una domanda rivolta ai cardinali: ad un divorziato risposato «se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio», «se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro», «se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile», «se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede», se –infine – «ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione»,  «dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento, di “metanoia”, il sacramento della penitenza e poi della comunione?».

«Questa possibile via – ha proseguito il cardinale – non sarebbe una soluzione generale. Non è la strada larga della grande massa, bensì lo stretto cammino della parte probabilmente più piccola dei divorziati risposati, sinceramente interessata ai sacramenti. Non occorre forse evitare il peggio proprio qui? Infatti, quando i figli dei divorziati risposati non vedono i genitori accostarsi ai sacramenti di solito anche loro non trovano la via verso la confessione e la comunione. Non mettiamo in conto che perderemo anche la prossima generazione, e forse pure quella dopo? La nostra prassi collaudata, non si dimostra controproducente?».

Kasper ha poi esaminato la pratica delle Chiese ortodosse e quella della stessa Chiesa primitiva prima di Agostino. Non c’è dubbio, ha osservato, «che nella Chiesa dei primordi, in molte Chiese locali, per diritto consuetudinario c’era, dopo un tempo di pentimento, la pratica della tolleranza pastorale, della clemenza e dell’indulgenza».