Vita Chiesa

Famiglia in crisi, anche se i giovani ci credono ancora

«Serve una nuova cultura della famiglia. L’annuncio della bellezza del matrimonio è parte dell’annuncio del Vangelo». Sono queste le raccomandazioni che il vescovo di Parma, Enrico Solmi, presidente della commissione Cei per la famiglia e la vita, ha rivolto durante il «Dies annualis» del Tribunale ecclesiastico regionale Etrusco. Nell’aula magna del Seminario di Firenze, monsignor Solmi ha allargato la riflessione alle «sfide» della pastorale familiare, anche in vista del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà in due tappe: la prima, nell’ottobre 2014, per raccogliere testimonianze e proposte, la seconda nel 2015 per cercare linee pastorali operative.

«Sono convinto – ha affermato il presidente della Commissione famiglia e vita – che nel cuore degli italiani ci sia un grande desiderio di famiglia». Un’affermazione supportata da dati concreti: secondo una recente indagine dell’Istituto Toniolo sui giovani, quasi il 60% degli intervistati non rinuncia a pensare di poter formare una propria famiglia che, per due giovani su tre, deve essere fondata sul matrimonio. Quando si chiede quanti figli si pensa realisticamente di avere, tre giovani su quattro rispondono due o più. E una percentuale altissima, superiore al 40%, afferma che in assenza di impedimenti e costrizioni vorrebbe averne almeno 3. Solo una marginale minoranza (il 9,2% fra gli uomini e solo il 6,2% fra le donne) pensa di non averne.

Se queste sono le attese e i desideri dei giovani, altri numeri però fotografano una realtà ben diversa. I dati dell’ultimo rapporto Istat, usciti proprio in questi giorni, parlano del rischio di una società «defamilizzata», in cui quelle che vengono chiamate le «famiglie unipersonali», ovvero le persone che vivono sole, sono 7 milioni e mezzo; una società in cui il numero di matrimoni è in continua diminuzione (e il numero di matrimoni civili ha raggiunto o superato, in molte regioni del centro e nord Italia, quello dei matrimoni religiosi) e i tassi di separazione e di divorzio sono in continua crescita.

Mons. Solmi ha ricordato anche la situazione demografica, che non ha esitato a definire drammatica: dal 2008, con l’avvio della crisi economica, si è invertita la tendenza di crescita e nel 2013 risultano iscritti in anagrafe poco meno di 515 mila bambini, nuovo minimo storico dopo quello del 1995. «La culla vuota è la tomba dell’Italia», è il commento amaro del Vescovo che ha messo in evidenza un altro dato: «Viviamo in una cultura che disgiunge completamente matrimonio e natalità». Ecco quindi la presenza crescente di coppie sposate senza figli e allo stesso tempo di figli cresciuti da coppie conviventi o da un genitore solo. C’è una perdita di significato della parola «amore», ha affermato monsignor Solmi, e vengono messe in discussione le diversità inerenti il sesso, il ruolo, l’età: si pensa che ognuno possa scegliersi il proprio essere maschio o femmina, giovane o adulto, figlio o genitore. Ci troviamo di fronte un «uomo di sabbia», per usare il termine coniato dalla psicanalista francese Catherine Ternynck. Un uomo che dopo aver seguito il richiamo all’autodeterminazione si ritrova inconsistente, friabile: corre il rischio di sgretolarsi, soggetto com’è a una continua erosione. E anche la legge sul «divorzio breve» che sta avanzando in Parlamento, secondo monsignor Solmi «è un ulteriore segno di questa continua erosione della famiglia: sembra che il matrimonio sia un vestito che si indossa già con la possibilità di poterlo togliere». Occorrerebbe invece dare un tempo alle persone per vedere gli impegni che si sono assunti reciprocamente, un tempo per la riconciliazione.

C’è una «confusione antropologica» che ritroviamo anche tra i battezzati: lo confermano le risposte al questionario che è stato diffuso in tutto il mondo in vista del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Le risposte arrivate dalle diocesi italiane sono state raccolte in una sintesi che non è stata resa pubblica, ma che andrà (insieme alle sintesi giunte da tutto il mondo) a comporre l’«instrumentum laboris» del Sinodo. Monsignor Solmi però ha lasciato intuire alcune delle tendenze emerse dalle risposte delle diocesi italiane: l’impressione di una visione antropologica, anche tra i cristiani, influenzata da relativismo e soggettivismo; la costatazione che nei confronti della dottrina cristiana della famiglia e del matrimonio oggi non ci sia più contestazione ma semplice indifferenza, fino alla formazione di una «morale fai da te». Un altro grande argomento del Sinodo è quello dell’atteggiamento di fronte alle coppie conviventi, sempre più numerose anche tra coloro che si rivolgono alle parrocchie per chiedere di sposarsi. Secondo le risposte al questionario del Sinodo, devono trovare il «volto accogliente» della Chiesa, attraverso cammini graduali che li guidino ad una crescita nella fede. Da alcune diocesi però emerge l’impressione che questa «apertura» non porti, salvo che in rari casi, a reali percorsi di conversione.

Riguardo alla preparazione al matrimonio, ha spiegato monsignor Solmi, in molte diocesi si nota che gli incontri che precedono il sacramento non sono seguiti (se non in pochi casi, dovuti alla particolare sensibilità di singoli sacerdoti) da un accompagnamento delle coppie dopo il matrimonio stesso. Poi c’è la delicata situazione di coppie che chiedono il matrimonio, in cui una delle due persone viene da un matrimonio precedente: come comportarsi? Anche qui viene sottolineata la necessità di accogliere e di accompagnare. Così come per i separati o divorziati che chiedono i sacramenti: anche se qualche diocesi, amaramente, sottolinea che molte di queste persone non si rivolgono più alla Chiesa, ritenendosi ormai escluse dalla vita ecclesiale. Temi importanti e questioni delicate: anche se, ha sottolineato il vescovo Solmi, bisogna stare ben attenti a non cadere nella trappola di pensare che il prossimo Sinodo sarà rivolto solo a questi argomenti e non invece a una ben più ampia riflessione sull’annuncio del Vangelo alla famiglia e per la famiglia.

Davanti a una platea di operatori e collaboratori del Tribunale ecclesiastico, non poteva mancare un riferimento al tema delle cause di riconoscimento della nullità matrimoniale. Lo snellimento delle procedure canoniche, ha affermato, appare come un contributo positivo, e in questi anni sono stati fatti grandi passi per ridurre i tempi e i costi delle cause. Un aspetto importante, tenendo conto che in molti casi si tratta di persone che vivono situazioni di sofferenza familiare, in cui c’è già alle spalle una separazione o un divorzio. Un aspetto su cui monsignor Solmi ha messo con forza l’accento è quello dell’accompagnamento spirituale e pastorale, che deve andare di pari passi con il percorso giuridico. In questo senso, ha sottolineato l’importanza che potrebbe avere una maggiore sinergia tra i tribunali ecclesiastici e i consultori familiari: «È una pagina nuova che possiamo scrivere, sapendo che ci sono approcci diversi  e metodologie diverse ma che lavorando insieme si può avere uno sguardo più completo sulle persone». Per questo può essere utile, nei consultori familiari, proporre al momento opportuno l’incontro con un canonista; così come il percorso verso il riconoscimento della nullità del proprio matrimonio, che per molti è doloroso e scioccante, può trarre giovamento dall’incontro con psicologi, consulenti, assistenti spirituali.

Quando il «sì» degli sposi è nullo

L’attività del Tribunale ecclesiastico ha anche una dimensione pastorale che non può essere separata da quella giuridica. È questa la sottolineatura che il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha proposto lo scorso 30 maggio nel suo saluto al «Dies annualis» del Tribunale ecclesiastico regionale etrusco, di cui il cardinale Betori è Moderatore. Un concetto ripreso nella sua relazione anche dal Vicario Giudiziale, monsignor Roberto Malpelo, che ha richiamato in proposito le parole di Giovanni Paolo II che già nel 1990 affermava che «la dimensione giuridica e quella pastorale sono inseparabilmente unite». Anche Papa Francesco, nel suo discorso alla Rota Romana dello scorso gennaio, ha ribadito che l’attività giudiziaria ecclesiale «ha una connotazione profondamente pastorale, perché finalizzata al conseguimento del bene dei fedeli e alla edificazione della comunità cristiana».

Parole che, secondo monsignor Malpelo, sono fondamentali per comprendere l’attività del Tribunale ecclesiastico regionale, attività pienamente inserita nel cammino e nella vita della Chiesa. «La realtà del Tribunale ecclesiastico – ha affermato – è spesso fraintesa anche all’interno della Chiesa, è spesso poco apprezzata per le nostre lungaggini, il nostro linguaggio e per la fatica che ancora facciamo nell’avere sempre presente che dietro ogni pratica, dietro ogni causa, ci sono persone che attendono giustizia». Per questo, ha proseguito, servono «tratti riformatori e innovatori» per esaltare la valenza del Tribunale come «servizio ecclesiale, nella verità e nella carità».

Per quanto riguarda i dati statistici, nel 2013 sono state introdotte al Tribunale 145 cause di prima istanza (provenienti dalle diocesi toscane), che si sono aggiunte alle 358 residue dall’anno precedente; le cause decise sono state 146 (di cui 130 con sentenza affermativa, 16 con sentenza negativa) mentre 7 sono state archiviate o ritirate. Restano quindi 350 cause pendenti. Il Tribunale di Firenze è anche tribunale di seconda istanza per le cause provenienti dai tribunali Piceno e Umbro: in questo caso le cause introdotte nel 2013 sono state 176, quelle concluse 186. Tra le motivazioni che hanno portato al riconoscimento della nullità del matrimonio, tra le cause provenienti dalle diocesi toscane la grande maggioranza riguarda l’esclusione della prole o l’esclusione della indissolubilità del matrimonio da parte di uno dei coniugi.