Vita Chiesa

Firenze 2015: Magatti (sociologo), «un nuovo umanesimo della concretezza»

Essere concreti, ha spiegato Magatti, «significa non disgiungere i mezzi e le possibilità» nella consapevolezza che «tutto è connesso», ossia «rimanere attaccati alla realtà particolare senza perdere la prospettiva dell’universale». Espressioni di concretezza sono, in Italia, «il volontariato, le cento città, l’artigianato, l’arte, la cura e la carità, le tante forme di sussidiarietà ed economia civile, la famiglia»: sono queste che possono aiutarla ad «uscire dalla sua crisi di identità» e costituire un antidoto «contro gli esiti del trans-umano e del disumano».

«Non si batte l’astrazione con un’astrazione. Ciò che serve è piuttosto un metodo – quello dell’ex-odos (un esodo, un uscire) e del syn-odos (un sinodo, un camminare insieme) – che permetta di attraversare, abitandole, la mancanza (a essere) e il desiderio di altri che continuano a interpellare l’uomo contemporaneo», ha detto il sociologo Magatti, nella relazione introduttiva ai lavori dei gruppi, auspicando «una Chiesa ardente, coraggiosa, povera», «in cammino, che si sa popolo e vicina al popolo», guarda con simpatia ogni uomo, soprattutto «chi è scartato». Questa, secondo Magatti, la «grande responsabilità della Chiesa nella sfera pubblica contemporanea». Mai come in questo momento, ha aggiunto, «è necessario coltivare la fratellanza e l’ospitalità». Se, come «rete sinodale», radicata «in tutto il Paese, ci facessimo convertire» dai due «movimenti dell’uscire – avviandoci verso quell’umanesimo della concretezza verso cui ci sollecita Papa Francesco – e del trasfigurare, l’annuncio tornerebbe a essere ascoltato, la fede a radicarsi nella carne del Paese, l’intera società italiana a mettersi in cammino». Rilanciare l’economia, affrontare l’emergenza profughi, accompagnare il cambiamento demografico: queste le sfide per l’Italia, che sono anche «occasioni per vivificare la nostra Chiesa».

«L’umanesimo della concretezza suggerisce di cercare le soluzioni nella tessitura di nuove alleanze» rimettendo insieme «l’educazione con il lavoro, la famiglia con l’ospitalità, l’efficienza con il senso», ha detto ancora Magatti. «Non si tratta di cominciare da zero. Le nostre comunità sono già al lavoro. Senza clamore». Per Magatti non si può non partire dalla questione storica dei rifugiati. «Papa Francesco ha invitato a un’ospitalità diffusa», con lo stesso stile «si potrebbe lavorare attorno al tema di una generazione di giovani che non studia e non lavora» rilanciando gli oratori come luoghi di trasmissione di competenze lavorative. Pensando al cambiamento generazionale, Magatti invita ad «accompagnare e sostenere, anche mettendo in campo i patrimoni ecclesiali, nuove forme dell’abitare, più consone ai corsi e percorsi di vita, lunghi, articolati, qualche volta tortuosi, delle persone e delle famiglie di oggi». La Chiesa italiana «ha, nei confronti dell’Italia, una grande responsabilità: essere custode audace e creativa di una storia e di una terra che hanno molto da dire al tempo che l’umanità sta vivendo. La società italiana – ha concluso il sociologo – ha bisogno di una Chiesa viva», sempre più capace di trasfigurazione e in uscita. Maestra di umanità perché capace di parresia e ricca di misericordia».