Vita Chiesa

Firenze 2015, le impressioni dei delegati toscani: piace il metodo dei tavoli e il clima familiare

Se potesse essere trasmesso per contagio, l’entusiasmo che emerge a distanza di pochi giorni dalla chiusura del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze rischia davvero di far «ammalare» di una «malattia» sana e positiva la Chiesa toscana. Le risonanze di alcuni dei delegati raccolte a margine dell’appuntamento fiorentino sono tali, che ne viene fuori una Chiesa bella, positiva, coinvolta, ma non in preda ad un’emozione facile, quanto invece appassionata nella ricerca di vie di dialogo con l’umanità che ci è contemporanea e di cui facciamo parte.

«Come lievito madre… È l’espressione che trovo più azzeccata per definire ciò che abbiamo vissuto nel Convegno – racconta Gabriella Pennino, tra i delegati dell’Arcidiocesi di Firenze – Non ricette, né linee per ristrutturazioni pastorali, ma un insieme di attenzioni che ci vengono di nuovo consegnate: temprate, purificate, affinché possano ancora far lievitare le nostre azioni e le nostre comunità. Papa Francesco – continua – ci ha indicato un compito preciso: rileggere e applicare la Evangelii Gaudium raccomandandoci di stare insieme, popolo e pastori. In una parola, utilizzare il metodo sinodale, sperimentato e verificato negli scorsi giorni, in prima istanza proprio dalla delegazione fiorentina». Per il futuro Gabriella Pennino getta il cuore oltre l’ostacolo: «Possiamo sognare concretamente una Chiesa beata, sul passo degli ultimi, perché le “periferie”, aiutate attraverso percorsi di accoglienza e autonomizzazione, possano diventare centro».

Tra i delegati più giovani delle diocesi toscane c’era senz’altro Giovanni Gentili, della diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello, che a Firenze ha avuto anche la possibilità di trascorrere del tempo col nuovo vescovo Giovanni Roncari. «A Firenze – racconta – ho visto una Chiesa bella. Una Chiesa giovane, aperta e consapevole di ciò che è e di ciò che deve essere. Ho visto e vissuto finalmente una Chiesa sinodale e conciliare. Mi viene da pensare – continua – che quello che diciamo spesso, cioè che la Chiesa buona sia quella dal basso, sia una grande cavolata. Ci sono un sacco di vescovi, presbiteri, religiose, religiosi e laici ai quali dobbiamo solo dire grazie per il lavoro che svolgono quotidianamente e nel silenzio nelle loro realtà. Mentre abbiamo a che fare spesso, nel piccolo, con un sacco di incrostazioni e resistenze, che impediscono alla Chiesa di essere in uscita, abitante, trasfigurata, educatrice, annunciatrice». Altra cosa riguarda l’esito del Convegno: «Non abbiamo prodotto carta o riflessioni intellettuali – fa notare Giovanni Gentili – Abbiamo inaugurato uno stile, che è quello della misericordia, che ci mette in cammino verso il Giubileo».

Sulla stessa lunghezza d’onda Massimo Rossi, tra i delegati di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. «Prescindendo dai contenuti e dagli obiettivi – quelli ce li ha dati chiari Papa Francesco – sul piano dell’esperienza, mi sono portato a casa la gratitudine di aver vissuto un momento di autentico cammino ecclesiale, sperimentato nell’amicizia tra delegati, facilitato anche dalla modalità del confronto nei tavoli da dieci. Appuntamenti come questi – continua Massimo Rossi – ci costringono a verificarci sul cammino fatto dal Concilio ad oggi sul fronte della corresponsabilità dei laici, della opzione preferenziale per i poveri, dell’impegno dei sacerdoti. Questo Convegno ci dice che la Chiesa italiana molto ha fatto e che certamente non si parte dall’anno zero, ma ci regala anche parole nuove: il bisogno di una nuova spiritualità, formazione dei laici e dei presbiteri, la responsabilità nella gestione dei beni materiali, perché siano a servizio dell’uomo».

«Una realtà di Chiesa in movimento», è il commento a caldo di Eleonora Fracasso, tra i delegati della diocesi di Prato. Per lei il primo Convegno, che ha lasciato nel suo animo la consapevolezza di aver vissuto «un’esperienza bella, nuova e molto stimolante» che le ha lasciato addosso «tanta voglia di rivivere nella mia diocesi quanto sperimentato come stile».

L’immagine di una «Chiesa bella» è quella che si è portata dentro anche Paola Fratini, delegata della diocesi di Fiesole. «Il timore dell’inizio – racconta – per una “avventura” che sembrava troppo grande per me, è svanito velocemente culminando nel calore dell’abbraccio che ha concluso il Convegno, abbraccio al quale si è riferito il presidente della Cei nella sua conclusione. Quella che mi porto a casa è proprio l’immagine di una Chiesa che abbraccia tutti: al suo interno e al suo esterno. Con un abbraccio si esce da noi stessi per andare verso gli altri, si annuncia l’amore di Dio, si abitano le relazioni, si educa all’amore e si trasfigura ogni nostro rapporto a immagine dell’abbraccio che Gesù dà ad ogni uomo nella croce. Un’altra idea che mi porto a casa con convinzione  – prosegue – è che un Convegno ecclesiale di questa portata non è una cosa inutile, come a volte alcuni possono pensare. Non è sicuramente inutile il contributo di 2.200 delegati, persone che vivono la vita delle loro Chiese particolari di giorno in giorno. Sicuramente adesso sta a noi riportarlo nelle nostre chiese locali, certi che il “metodo sinodale” è vincente, e dimostrare quello che già da bambini al catechismo abbiamo imparato, ossia che la chiesa non è un edificio di mattoni ma che la Chiesa siamo noi cristiani, e che insieme siamo una Chiesa bella».

Tra i delegati c’era anche suor Tosca Ferrante, dell’Arcidiocesi di Pisa, che parla del Convegno come di una «esperienza forte di comunione e di speranza». «Comunione – spiega – perché ci ha permesso di “gustare” il desiderio di Dio attraverso la liturgia, l’ascolto, la condivisione di esperienze. Speranza perché abbiamo avuto modo di “sentire” una Chiesa buona, bella, desiderosa di presente pieno e di futuro possibile. Davvero un momento di grazia. Ascoltando le prospettive di futuro, mi sono resa conto che la nostra Chiesa di Pisa è già incamminata, nel desiderio e nella concretezza, verso gli orientamenti ricevuti… e questo è un’ulteriore dono», conclude.

Parla di «senso di pienezza» e della «volontà di lavorare sempre meglio per Gesù e la sua Chiesa» Paola Biondo, tra i cinque delegati della diocesi di Grosseto. «L’amicizia fondata sulla fede che abbiamo sentito nascere tra noi delegati a Firenze e l’accoglienza familiare dei frati del convento in cui abbiamo abitato insieme, ci hanno fatto gustare ancora di più questi giorni ed è stato veramente stupendo vedere la Chiesa all’opera per organizzare nei minimi particolari un convegno del genere ed il metodo messo a punto per i lavori mi sembra già un risultato della concretezza che chiede ripetutamente il Santo Padre», osserva. Considerazioni analoghe arrivano da Giuliana Migliorini, della delegazione di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino. «È stata una grande esperienza di Chiesa, in cui si è respirato un clima di comunione, di impegno, di riflessione alla ricerca di strade che portino la Chiesa ad essere sempre più immersa nel mondo. Avevo scelto la via dell’educare e ho apprezzato molto le modalità di lavoro nei tavoli».