Vita Chiesa

Firenze, card. Betori: la nostra è una comunità che accoglie

«Proprio questa notte – ha raccontato – è arrivato a Firenze un piccolo gruppo entrato in Italia attraverso i corridoi umanitari». Si tratta di sei persone: tre donne, due eritree e una etiope, e una di loro ha tre bambini. Saranno ospitati in una casa messa a disposizione dalla parrocchia di Capalle. L’iniziativa dei corridoi umanitari, ha spiegato l’arcivescovo di Firenze, è stata promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Chiesa Valdese, e vede adesso anche l’adesione della Cei: Firenze è una delle 16 diocesi italiane coinvolte.

Betori ha ricordato anche le altre forme di accoglienza di una Diocesi che sotto questo aspetto è «esemplare»: «Abbiamo appena consegnato le chiavi dei primi appartamenti del cosiddetto condominio solidale di via Corelli, è stato commovente sentire le parole di chi per la prima volta aveva un tetto suo». Si tratta della struttura costruita dalla diocesi con i contributi della CEI e della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, come «opera segno» del recente Convegno ecclesiale nazionale che ha riunito proprio a Firenze la Chiesa italiana. La Caritas ha aperto a poco anche una casa per ragazzi che, al compimento dei 18 anni, si troverebbero fuori dalle forme di assistenza riservate ai minori: un luogo in cui potranno studiare o iniziare a lavorare.

L’Arcivescovo ha ricordato anche l’adesione della diocesi alla Giornata mondiale dei poveri indetta da Papa Francesco: «Sul piano della carità, la nostra comunità diocesana è esemplare. Ricordo l’aiuto quotidiano ai poveri, le mense, le case d’accoglienza. Quasi tutte le parrocchie hanno reti di distribuzione di cibo e vestiario».

Un pensiero particolare lo ha rivolto ai carcerati, ricordando le Messe che proprio oggi celebra nel carcere di Sollicciano e nella struttura a custodia attenuata, il cosiddetto «Solliccianino».

A proposito di accoglienza Betori ha parlato anche del giovane Rom morto nel rogo di un capannone occupato all’Osmannoro. In quella vicenda, ha detto, si sono sommati due problemi. Uno è quello delle occupazioni illegali. L’altro aspetto è la cultura rom che non sembra trovare una forma che permetta di unire la dimensione itinerante che fa parte della loro storia con la possibilità di una vita dignitosa. Questo è un tema da affrontare non in forma episodica.

Riguardo all’accordo per la cessione di un terreno a Sesto per la costruzione di una moschea, Betori ha sottolineato: «È stata usata la parola di firma storica: mi piace pensare invece a questa come a una cosa ordinaria. Che ci sia collaborazione tra le comunità religiose è una buona cosa. Ma qui non è stato solo un accordo tra la chiesa cattolica e la comunità musulmana, a quel tavolo eravamo in quattro. È stata una proposta dell’amministrazione che ha coinvolto le due presenze religiose più numerose. A favorire tutto questo è stato anche il coinvolgimento della principale istituzione culturale, l’Università». A proposito della possibilità di costruire una moschea anche a Firenze, ha affermato: «Io fui insultato quando dissi che c’era bisogno di più luoghi di culto per gli islamici. Bisogna rispondere ai bisogni religiosi della gente e non fare emblemi. Non entro su dove fare o non fare una moschea: lascio alle comunità musulmane l’onere di fare richieste, secondo i loro bisogni».

Interpellato sulla legge appena approvata sul testamento biologico, «Dovremmo far valere – ha affermato – l’espressione contenuta nella legge che dice che il medico non può andare contro la propria deontologia. Questo riguarda i medici e le strutture sanitarie. Bisogna trovare un modo: nella legge stessa, se si interpreta in modo intelligente, ci possono essere soluzioni».

Il nodo è quello della nutrizione e idratazione del malato: «Ogni persona – ha detto – è un caso a sé. Spero che ci sia modo di consentire ai cattolici di essere parte di questo paese. Per noi la vita è la vita, una mascherata eutanasia passiva non è accettabile. Dobbiamo trovare un modo perché i cattolici possano continuare a prendersi cura dei malati senza infrangere la loro coscienza. In questo paese tutti hanno diritto alla libertà meno che la coscienza».

Ricordando le parole rivolte da Papa Francesco alla curia romana, parlando del clima interno alla Chiesa, ha affermato: «Non parlerei di dissenso. Il bisogno di un cambiamento era avvertito da tutti. Le dimissioni stesse di papa Benedetto indicavano questo, il bisogno di un cambiamento che lui non si sentiva in grado di fare. Ogni cambiamento porta delle difficoltà, anche da parte di chi lo vuole seguire. Non ci sono oppositori, c’è chi fa più fatica e chi ne fa meno. Anche in diocesi c’è chi ha più difficoltà, ma nessuno ha voglia di divisioni o scissioni».

Pensando all’anno appena trascorso, ha ricordato alcuni avvenimenti importanti: la visita di Papa Francesco a Barbiana («Siamo l’unica città al mondo – ha sottolineato – ad aver accolto il Papa due volte»), l’avvio del Cammino sinodale che vede la diocesi impegnata a riflettere proprio sule parole di Papa Francesco, il ventennale della Facoltà teologica. «Sta per aprirsi – ha aggiunto – la scuola per il dialogo interreligioso che le comunità religiose fondano insieme al comune». E ancora, ha ricordato la partecipazione della diocesi all’organizzazione della grande mostra sul Cinquecento a Palazzo Strozzi: «Una mostra che a noi preme perché è la rilettura di un periodo per la chiesa molto particolare». Prosegue anche la visita pastorale: «Ho visitato ben più della metà delle parrocchie, conto di concludere nel tempo che resta prima della pensione, cinque anni».  Infine, la lettera che i vescovi toscani hanno scritto ai giovani.

L’Arcivescovo aveva aperto l’incontro con i giornalisti ricollegandosi alle parole di Papa Francesco nell’udienza all’Ordina nazionale dei giornalisti (22 settembre 2016), sottolineando l’importanza e la responsabilità dei giornalisti nel fare mentalità e nell’interpretare i fatti presso l’opinione pubblica. per questo, con Papa Francesco, ha raccomandato di «amare la verità», cioè «essere onesti con se stessi e con gli altri», di vivere con professionalità questo mestiere, puntando a far crescere la vita sociale e il senso di cittadinanza e, infine, di «rispettare la dignità umana», ricordandosi sempre che «la doverosa denuncia del male non diventi arma di distruzione delle persone».