Vita Chiesa

Firenze, in Battistero Il coro anglicano canta il vespro «Evensong»

Domenica 12 marzo, il giorno in cui morì nell’anno 604 il papa che aveva inviato missionari a evangelizzare l’Inghilterra, Gregorio Magno,  alle ore 17  si celebrerà il vespro secondo il rito della Chiesa d’Inghilterra nel Battistero di San Giovanni a Firenze alla presenza del clero cattolico della cattedrale. A presiedere sarà il Padre William Lister, Cappellano della English Church di Firenze, St. Mark’s in Via Maggio, e a cantare sarà il Coro di St. Mark’s diretto da Tom Moy e accompagnato dall’organista della comunità anglicana fiorentina, Peter Shepherd. Voluto dall’Arcivescovo, il cardinale Giuseppe Betori, e dal Capitolo della Metropolitana, il vespro Anglicano  è aperto alla cittadinanza fino all’esaurimento dei posti.

«Questa celebrazione ha grande importanza storica», scrive Padre Lister, sottolineando  che «l’antico Battistero di Firenze è il luogo più idoneo in cui mettere in evidenza la fondamentale unità di tutti i cristiani, affratellati dal sacramento del Battesimo».  Lister ricorda che la celebrazione fiorentina anticipa l’analogo evento della sera successiva, lunedì 13 marzo, nella Basilica Vaticana, dove su invito dell’Arciprete, il cardinale Angelo Comastri, il coro di Merton College, Oxford, canterà il vespro all’Altare della Cattedra di San Pietro, e ricorda che già l’ordinamento liturgico generale e il lezionario della Chiesa d’Inghilterra sono quasi identici con quelli della Chiesa di Roma: mentre la Chiesa Universale contempla la Trasfigurazione del nostro Signore nel vangelo del 12 marzo (la seconda domenica di quaresima), ci viene rammentato che sovente incontriamo la grazia divina nei modo più inaspettati. Per noi, poter cantare il vespro nella straordinaria ’madre chiesa’ della nostra bella Firenze, il Battistero antistante il Duomo, è un esempio significativo del sospirato incontro con Dio in questo tempo di Quaresima. Siamo grati a Sua Eminenza e al Capitolo del Duomo per questa possibilità di pregare insieme».

I missionari inviati in Inghilterra da san Gregorio Magno alla fine del VI secolo erano monaci, e la millenaria tradizione cattolica degli inglesi ebbe sempre l’impronta monastica. Nel VII secolo il monaco Benet Biscop, fondatore dei cenobi di Wearmouth e Jarrow nella Northumbria, si recò più volte sia nella Gallia romanizzata che a Roma stessa, assicurandosi i servigi di artigiani ed artisti, tra cui musici. Secondo Beda il Venerabile, tra questi ci furono vetrai francesi e addirittura un cantore della Basilica Vaticana, un certo ’Giovanni’, invitato a attraversare la Manica per insegnare ai monaci inglesi i canti sacri «come venivano cantati in San Pietro in Roma».    Dopo la Riforma del XVI secolo,  fu l’amore monastico per la liturgia che garantì lo sviluppo di nuove forme musicali al servizio della salmodia corale, il ’plainchant’ inglese: il canto applicato alla traduzione in prosa dei salmi, ai cantici e ad altri testi religiosi, facendo combaciare la prosodia delle parole di ogni verso con la metrica musicale. La fisionomia delle melodie non è molto dissimile da quella salmodica della Chiesa cattolica, e una delle differenze è la composizione polifonica. I primi esempi di canti anglicani risalgono al XVI secolo, ai tempi dell’uso del falso bordone; nei periodi successivi venne abbandonato l’utilizzo del latino e la struttura ritmica musicale prese il sopravvento su quella metrica. Tra i più importanti compositori, si ricordano Thomas Tallis e Orlando Gibbons.

La liturgia della chiesa d’Inghilterra ha conosciuto alterne stagioni. Nella prima fase ’riformata’ ha grande importanza il Book of Common Prayer, il libro della preghiera comune, scritto dall’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer nel 1549 e adottato da tutte le Chiese anglicane,  che hanno nella liturgia più che nelle confessioni di fede il loro denominatore comune. Esistono anche i 39 articoli di religione, composti nel XVI secolo per garantire l’uniformità religiosa in Inghilterra che utilizzano talvolta espressioni teologiche vicine al calvinismo. Questi articoli non sono generalmente più considerati strettamente vincolanti. Dal 1547 fino al 1571 vennero pubblicati i Books of Homilies, una raccolta di due libri contenenti in totale 33 sermoni, attraverso i quali furono sviluppate le dottrine riformate della Chiesa d’Inghilterra e spiegati nel dettaglio i 39 Articoli.

Dall’Ottocento in avanti c’è stato, grazie al Oxford Movement che vide molti religiosi anglicani riscoprire con entusiasmo le radici cattoliche della loro tradizione – si pensi a John Henry Newman – , un riavvicinamento della liturgia della Chiesa d’Inghilterra alle forme in uso nella Chiesa di Roma, pur nel rispetto della propria tradizione musicale.

*Direttore del Centro per l’Ecumenismo  dell’Arcidiocesi di Firenze